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Quel che ho detto (o volevo dire) a Eben Ezer – la Sardegna

L’altro giorno mi sono dilungato molto di più, oggi sarò (per fortuna di tutti) più breve.

La domanda a cui avrei dovuto rispondere nella seconda parte del mio intervento era, più o meno: com’è la Sardegna vista dalla visuale di Banca Popolare Etica? Più esattamente, come è la Sardegna vista dalla visuale di un socio attivo di Banca Etica, visto che non pretendo certo di parlare per tutti i soci e tutta la Banca?

Risposta: la Sardegna è un posto straordinario, dove accadono molte cose che sono di livello nazionale, esperimenti che qualificano la Sardegna come un laboratorio che riesce a fare cose che l’economia sociale di altre aree geografiche, con maggiori risorse economiche ed umane, non riesce a fare.

Insisto sulla dimensione di laboratorio, perché sappiamo tutti che la Sardegna rimane, comunque, un’area depressa; ma mostra in questa situazione una vitalità, una capacità inventiva, una consapevolezza politica e una dedizione che sono, proprio in rapporto ai problemi che tutti conosciamo benissimo, davvero impressionante.

Questa vitalità si mostra anche in un’area che è spesso sottovalutata, e che è la capacità di costruire reti. Negli anni in cui ho collaborato con la Banca ho potuto sperimentare che non è vero quel trito luogo comune che vuole i sardi pocos, locos y malos unidos.

La persistenza di questo tipo di espressioni, la forza con cui sono continuamente ripetute, dice di una colonizzazione dell’immaginario, di una coazione a farsi del male mortificandosi, di un certo tipo di masochismo, e dà ragione del fatto che il punto d’attacco di qualunque iniziativa di sviluppo in Sardegna non può che essere culturale, come ho imparato con Nuove Officine, il progetto europeo svolto da Banca Etica nel 2005-2008. Sono espressioni spesso ossessivamente ripetute, ma considerate dal punto di vista di chi vede mille aspetti diversi dell’economia sociale in Sardegna semplicemente non sono vere.

Il problema, casomai, non è che non si faccia rete in Sardegna. È che le reti non dialogano fra loro, che è un tema diverso. C’è stato da pochi giorni Scirarindi, che può essere considerato il grande punto di incontro delle reti della sostenibilità, del biologico, del benessere interiore (e già questo è straordinario, perché sono tre reti diverse): negli stessi giorni un’importante rete di artigiani faceva una importantissima manifestazione a Nuoro; l’anno scorso nei giorni di Scirarindi tutti gli operatori culturali cittadini hanno fissato un loro importante congresso in contemporanea, in un’altra parte della città. A Scirarindi non c’era la cooperazione sociale, ed era complessivamente assente la rete dei cristiani attenti ai temi della giustizia e della pace.

Non voglio dare colpe a nessuno, o puntare il dito: anche noi di Banca Etica saltiamo spesso e volentieri gli appuntamenti, e tutti hanno esigenze organizzative e logistiche di mille tipi diversi. Il problema non è fare le cose tutti assieme – evitare le concomitanze di date magari si, ma non è neanche questo il punto – il problema è ancora di una conoscenza e di un riconoscimento reciproco. Se le reti dialogassero si comprenderebbe che le esigenze sono del tutto comuni, si potrebbero sviluppare importanti sinergie, anche economiche, migliorerebbe la rappresentanza politica… ma soprattutto ci sarebbe la possibilità, per ciascuna, di fare un salto culturale in avanti di enormi proporzioni.

Se le reti non dialogano vuol dire che, complessivamente, non ce la fanno, magari semplicemente perché schiacciate dal quotidiano. Due sono i soggetti che potrebbero proporsi come snodi di una costruzione della rete delle reti in Sardegna, o almeno facilitatori della comunicazione. Uno è la politica, sulla quale non mi dilungo. L’altro sono le realtà che hanno una autorità morale, la capacità innata di stare al di sopra delle parti offrendosi come punti di incontro accoglienti. Fra questi, secondo me, ci sono i cristiani, e in questo campo anche un centro culturale come Eben Ezer potrebbe trovare parte della sua vocazione.

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