Ogni volta puntualmente
Da quando il gruppo La Pira ha praticamente cessato le attività capita che, a intervalli regolari, a me o a Maria Bonaria o a tutti e due insieme venga voglia di sostanziare la vita di fede anche con un impegno parrocchiale: entrare nel coro, dare una mano alla gestione della biblioteca, trovare un qualche gruppo che si riunisce per la catechesi o, semplicemente, andare dal parroco a dare disponibilità e sentire cosa ci suggerisce.
E, puntualmente, dalla nostra parrocchia dei Santi Crisponzio e Potecario arrivano notizie che ti fanno pensare: «Ma manco morto».
Tipo, recentemente, l’epurazione di tutti gli operatori dell’oratorio per permettere al nuovo viceparroco di fare e disfare a proprio gusto, peraltro vecchia e onorata abitudine clericale con cui capitava spesso di dover fare i conti ai tempi dell’Azione Cattolica.

Anni fa ho già scritto su questo blog la mia opinione su chi fa scelte pastorali che emarginano o addirittura espellono giovani e adolescenti (toccandola piano, cioè evocando macine al collo e abissi marini) ma la riflessione che facevo è che un tempo questo tipo di operazioni di solito erano, se non altro, funzionali: erano tipiche di figure non autorevoli che non sapevano fare pastorale se non in modo autoritario, che facendo piazza pulita potevano poi mettere in piedi progetti con se stessi al vertice indiscusso, giovandosi del fatto che una platea di partecipanti alla vita ecclesiale era comunque disponibile: ne mandi via cinquanta e gira gira un’altra cinquantina li trovi. In un meccanismo di pastorale di conservazione nel quale non si cresceva mai, piuttosto si rimaneva perennemente allo stesso punto, quanto meno si continuava a esistere.
Oggi, francamente, non conosco il meccanismo e il pensiero che ha portato a questa scelta, ma qualunque sia stata la motivazione quello che mi chiedo è dove si pensi di trovare altrettante persone che possano sostituire quelle che hai mandato via; non c’è più la demografia sufficiente e la pastorale è in crisi ovunque: dalla pastorale di conservazione siamo passati alla pastorale di boccheggiamento. Traumi di questo genere rischiano di essere, semplicemente, non riprendibili – e, per esempio, la vecchia e onorata tradizione laicale di reazione a queste crisi era quella di prendere armi e bagagli e trasferirsi in massa nella parrocchia vicina (tranne in paese, dove le strategie di resilienza erano diverse): oggi le parrocchie che ispirino fiducia per questo tipo di soluzioni non abbondano e quindi la perdita è probabilmente secca.
Sembra brutto fare discorsi utilitaristici in queste situazioni: so benissimo, per esperienza personale, la sofferenza bruciante che si porta dietro subire questo tipo di epurazioni, e non la sto ignorando. Casomai mi sembra di ricordare che ci siano preti (ma anche laici) che in materia hanno la pelle spessa e dispongono di un ampio catalogo di pie giustificazioni morali, anche paradossali. Ricordo un giovane prete, peraltro amico, che durante una crisi di questo genere, quando si chiedeva a un gruppo di giovani di togliersi dai piedi ma di farlo rimanendo sempre a disposizione – quelli evidentemente casomai erano pronti a scuotersi la polvere dai sandali per non farsi più vedere – gli disse: «Come sarebbe brutto se un giorno voi passaste davanti alla porta della chiesa e doveste pensare: “quella è la porta della chiesa da cui sono andato via”». Come gli feci notare, il pensiero che potessero dire: «Quella è la porta della chiesa da cui mi hanno cacciato» non gli era venuto in mente. Se questa mentalità è ancora vera, e probabilmente lo è, almeno ci si ponga il problema della propria sopravvivenza.

