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Terapie familiari alla fermata dell’autobus (dolcemaro)

Funicolare Angels FlightCapita con frequenza che la gente non si renda conto che quando parla al telefono, tanto più in un ambiente ristretto come l’autobus, tutto il mondo viene messo a parte della conversazione e dei loro affari personali, cosa che magari non vorrebbe.

Non so perché, ma in questo periodo sembra che queste conversazioni abbiano sempre per tema la famiglia, e spesso si è messi a contatto con sentimenti e situazioni che, insomma, sarebbero intimi e che la gente espone in pubblico, qualche volta senza accorgersi e qualche volta, sembrerebbe, senza minimamente porsi il problema.

Nel cuore e nel…

Talvolta l’effetto è involontariamente buffo in situazioni serissime e magari in sé strazianti, come la signora che parla con l’ex compagno e gli spiega che non deve temere che il suo nuovo compagno possa sostituirlo nel cuore dei figli: «Tu per loro resterai sempre il padre, capito?!».

Quello non è convinto, passano le fermate e lei ripete il concetto più e più volte: «Non ti devi preoccupare, capito? Tu adesso temi che loro ti possano dimenticare, ma nel loro cuore cuore resterai sempre tu!».

E quello ancora non è convinto, finché la signora adotta la frase (secondo lei) risolutiva: «Tu resterai sempre il padre nel loro cuore, ficcatelo nell’anticamera del cervello!!».

A saperlo… ah! saperlo…

Talvolta, al contrario della signora precedente, non ce la fai a prenderli sul serio, come la signora che a telefono racconta di aver raggiunto il compagno in Sardegna per le vacanze e di essersi trovata piuttosto disillusa: «Ma insomma?! Proprio ad agosto doveva farmi le carognate? Io vengo qui in Sardegna per lui e lui mi tratta così? Se lo avessi saputo me ne sarei restata a Milano, guarda… almeno lì la domenica potevo andare a Gardaland!!».

Il dilemma

Altre volte non sai se le persone vorresti abbracciarle o prenderle a schiaffi, o chiamare il CTM e proporgli di dislocare con urgenza uno psicologo ad ogni fermata dell’autobus, altro che controllori.

Sabato mattina. Alla fermata solo io e Maria Bonaria e una signora sui quarantanni, ovviamente al telefono. Parla con una certa signora Letizia: non sembra proprio un’amica perché le dà de lei, sembra piuttosto una datrice di lavoro, una per la quale fa delle commissioni, o gestisce un negozio o fa lavori in casa, qualcosa del genere.

Si mettono d’accordo, ripetutamente, insistentemente, minutamente, per vedersi il giorno dopo, o per sbrigare delle incombenze, non tutto è chiaro. Per noi è impossibile non ascoltare: la signora ha un tono un po’ lamentoso, un po’ col birignao, ma il volume è uniformemente alto.

Dopo la terza volta che fissano l’appuntamento per il giorno dopo la signora cambia repentinamente argomento.

«Signora Letizia, senta: lei sa che io ho casa mia da guardare. Invece mia mamma mi ha chiesto stasera di andare da lei perché non può guardare mio padre. Ma se vado da lei io non faccio le mie cose. Allora le chiedo, signora Letizia, lei che è tanto saggia: cosa devo fare? Ci vado da mia madre? O non ci vado? Perché se bado a mio padre alla casa mia chi ci bada, eh, signora Letizia? O non si dovrebbe piuttosto prendere una badante mia mamma? Cosa ne dice lei, signora Letizia, lei che ne sa tanto…».

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