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A quanto pare il politicamente corretto non piace (quasi) a nessuno

Trovo e traduco da The Atlantic un articolo che riporta gli esiti di una indagine statistica sul gradimento del politicamente corretto da parte dell’opinione pubblica degli Stati Uniti.

È un articolo che diffondo con una certa consapevolezza di ambiguità: da una parte questo blog, appartenendo a una persona che si immischia nelle narrazioni popolari e di genere, fa giochi di ruolo e videogame, è nel campo della creatività e appartiene a una serie di tribù minoritarie, è da sempre orgogliosamente schierato contro il politicamente corretto. Dall’altro noto in giro che improvvisamente è di moda parlarne male da parte di soggetti che non appartengono – diciamo – a nessuna tribù postmoderna (altrimenti sarebbe giustificato) o all’estrema destra (e sarebbe ingiustificato ma non sorprendente.)

Le nuove critiche sembrano invece venire da settori dell’establishment centrista e fiuto quindi una campagna conservatrice che inizia a montare oppure l’ennesimo ripiegamento,  tanto più che dentro il termine politicamente corretto si fanno ormai rientrare cose estremamente diverse e non tutte criticabili – e in ogni caso il politicamente corretto può essere la soluzione sbagliata a domande giuste, e vedo nelle critiche più recenti una certa tendenza a buttare via il bambino con l’acqua sporca.

A aggiungersi al disagio c’è il profilo personale dell’autore dell’articolo, che vedo essere il direttore esecutivo della Fondazione Tony Blair (e già parte male) e sostenitore di posizioni del genere: «Assumiamo un nazionalismo consapevole per combattere i populismi», che non è proprio esaltante. Sull’autore mi riservo di approfondire considerato che qui peraltro dice cose condivisibili, e nel frattempo l’articolo era comunque interessante e l’ho tradotto.

Gli americani hanno una forte antipatia per il politicamente corretto

La giovane età non è un buon indicatore riguardo al politicamente corretto, e nemmeno la razza

di Yascha Mounk

Sui social media il paese sembra diviso in due campi chiaramente separati: chiamiamoli gli impegnati e i risentiti. I membri – la battuta è del tutto volontaria [nell’originale il gioco di parole è fra man, “uomo” e manned per “composizione dell’equipaggio”; ho tradotto come potevo, NdRufus] – della squadra dei Risentiti sono persone prevalentemente di una certa età e quasi esclusivamente bianche. La squadra degli Impegnati è giovane, probabilmente femminile, e prevalentemente nera, marrone o asiatica (sebbene alleati bianchi facciano doverosamente la loro parte). Queste squadre sono approssimativamente uguali per numero e litigano veementemente, e anche con assoluta regolarità, riguardo al temine buono per tutte le occasioni noto come politicamente corretto.

La realtà non è per niente così. Secondo quanto argomentano gli studiosi Stephen Hawkins, Daniel Yudkin, Miriam Juan-Torres e Tim Dixon in uno studio pubblicato mercoledì [il 3 ottobre, NdRufus], Tribù nascoste: uno studio del panorama polarizzato dell’America, la maggior parte degli americani non rientra in nessuno di questi campi. Ed essi inoltre condividono più posizioni in comune di quanto gli scontri quotidiani sui social possano suggerire – compresa una generale avversione per il politicamente corretto.

Lo studio è stato scritto da More in Common, un’organizzazione fondata in memoria di Jo Cox, la parlamentare britannica che fu assassinata immediatamente prima del referendum sulla Brexit. Si basa su un sondaggio su un campione rappresentativo a livello nazionale con 8 000 questionari, 30 interviste di un’ora ciascuna e sei focus group condotti fra dicembre 2017 e settembre 2018.

Se si guarda a ciò che gli americani hanno da dire su argomenti come l’immigrazione, l’estensione dei privilegi dei bianchi e la prevalenza delle molestie sessuali, sostengono gli autori, emergono sette distinti raggruppamenti: attivisti progressisti, liberali tradizionali, liberali passivi, politicamente disimpegnati, moderati, conservatori tradizionalisti e conservatori osservanti [nell’originale devoted, “devoti”, NdRufus].

Secondo il rapporto, il 25% degli americani sono conservatori tradizionalisti o osservanti e le loro opinioni sono molto al di fuori del filone mainstream americano. Circa l’8% degli americani sono attivisti progressisti e le loro opinioni sono ancora meno tipiche. Per contrasto, i due terzi degli americani che non appartengono ad uno dei due estremi costituiscono una maggioranza esausta. I loro membri «condividono un senso di affaticamento per il nostro dibattito nazionale polarizzato, una volontà di essere flessibili nei loro punti di vista politici, e una mancanza di voce nel dibattito nazionale».

La maggior parte dei componenti della maggioranza esausta, e alcuni altri ancora, non amano il politicamente corretto. Tra la popolazione in generale ben l’80%  ritiene che «il politicamente corretto è un problema nel nostro paese». Anche i giovani sono a disagio Al riguardo, compreso un 74% nell’età fra i ventiquattro e i ventinove anni e il 79% sotto i ventiquattro. Su questo particolare problema gli impegnati sono in evidente minoranza lungo tutti gli archi di età.

La giovinezza non è un buon fattore predittivo del supporto al politicamente corretto – e, a quanto pare, non lo è nemmeno la razza.

I bianchi sono costantemente appena meno portati della media delle persone a ritenere che il politicamente corretto sia un problema nel paese: il 79% di loro condivide questa opinione. Invece sono gli asiatici (82%), gli ispanici (87%) e i nativi americani (88%) che hanno maggiori probabilità di opporsi al politicamente corretto. Come ha detto un quarantenne nativo americano dell’Oklahoma nel suo focus group, a quanto riferisce  lo studio:

Sembra che ogni giorno ti svegli e qualcosa è cambiato… dici ebreo? o ebraico? Quel tizio è nero?  o afroamericano?… Devi stare sempre attento perché non sai mai cosa dire. Quindi il politicamente corretto in questo senso fa nascere la paura.

L’unica parte della narrazione abituale che è parzialmente confermata dai dati è che gli afroamericani siano i più propensi a sostenere il politicamente corretto. Ma la differenza tra loro e gli altri gruppi è molto più piccola di quanto si supponga generalmente: tre quarti degli afro-americani si oppongono al politicamente corretto. Ciò significa che sono solo quattro punti percentuali meno propensi dei bianchi a ritenere che il politicamente corretto sia un problema, e solo cinque punti percentuali in meno rispetto alla media.

Se l’età e la razza non predicono il sostegno il politicamente corretto, allora cosa lo fa? Reddito e istruzione.

Mentre l’83% degli intervistati che guadagnano meno di 50 000 dollari non ama il politicamente corretto, solo il 70% di coloro che guadagnano più di 100 000 dollari sono scettici al riguardo. E mentre l’87% di coloro che non hanno mai frequentato l’università pensano che il politicamente corretto sia diventato un problema, solo il 66% di coloro che hanno un titolo di studi successivo alla laurea condivide questa opinione.

La tribù politica, così come definita dagli autori, è un fattore predittivo ancora migliore riguardo alle opinioni sul politicamente corretto. Tra i conservatori di stretta osservanza il 97% crede che il politicamente corretto sia un problema. Tra i liberali tradizionali la percentuale scende al 61%. Gli attivisti progressisti sono l’unico gruppo che sostiene fermamente il politicamente corretto: solo il 30% lo considera un problema.

Che aspetto ha questo gruppo? Rispetto al resto del campione di intervistati (rappresentativo a livello nazionale), gli attivisti progressisti hanno molte più probabilità di essere ricchi, altamente istruiti e bianchi. Hanno in media quasi il doppio delle probabilità di guadagnare più di 100 000 dollari all’anno. Hanno quasi il triplo delle probabilità di avere un titolo universitario post laurea. E mentre il 12% del campione complessivo dello studio è afroamericano, solo il 3% degli attivisti progressisti lo è. Con l’eccezione della piccola tribù dei conservatori osservanti, gli attivisti progressisti sono il gruppo più  omogeneo dal punto di vista razziale del paese.

Una domanda ovvia è ciò che la gente intenda per politicamente corretto. Nelle interviste approfondite e nei focus group i partecipanti hanno indicato con chiarezza di essere preoccupati della loro possibilità quotidiana di esprimersi: temevano che per la mancanza di familiarità con un certo argomento  o per una scelta di parole sbadata potessero incorrere in serie sanzioni sociali. Ma dal momento che le domande del sondaggio non hanno definito il politicamente corretto dal punto di vista degli intervistati, non possiamo essere sicuri di cosa esattamente abbia in mente l’80% degli americani che lo considera un problema.

C’è, tuttavia, abbondante sostegno addizionale all’idea che le opinioni sociali della maggior parte degli americani non siano così nettamente divise per età o per razza come si crede comunemente. Secondo il Pew Research Center, ad esempio, solo il 26% dei neri americani si considera liberale. E nello studio di More in Common quasi la metà dei latini ha sostenuto che «molte persone oggi sono troppo sensibili a come vengono trattati i musulmani», mentre due afroamericani su cinque concordavano sul fatto che «al giorno d’oggi l’immigrazione non fa bene all’America».

Nei giorni precedenti alla pubblicazione di Tribù nascoste, ho fatto un piccolo esperimento su Twitter, chiedendo ai miei follower di indovinare quale percentuale di americani ritenga che il politicamente corretto sia un problema in questo paese. I risultati sono stati notevoli: quasi tutti i miei follower hanno sottovalutato fino a che punto la maggior parte degli americani rifiuti il politicamente corretto. Solo il 6% ha dato la risposta giusta (quando ho chiesto loro come le persone di colore considerino la politicamente corretto, le loro supposizioni sono state, ovviamente, ancora più stravaganti).

Ovviamente, i miei follower su Twitter non sono un campione rappresentativo dell’America. Ma come indicano i loro sentimenti largamente favorevoli riguardo alla il politicamente corretto, probabilmente sono un’approssimazione decente di un particolare ambiente intellettuale al quale appartengo anch’io: americani politicamente impegnati, altamente istruiti, orientati a sinistra – il tipo di persone, in altre parole, che guidano le università, redigono i più importanti giornali e riviste della nazione e consigliano i candidati politici democratici nelle loro campagne.

Quindi il fatto che noi siamo così ampiamente fuori bersaglio nella nostra percezione di cosa la maggior parte delle persone pensi del politicamente corretto dovrebbe probabilmente anche portarci a riconsiderare alcune delle nostre altre ipotesi di base riguardo al paese.

È ovvio che alcuni elementi della destra additino al pubblico ludibrio i casi nei quali il politicamente corretto va fuori misura per avere il permesso di vomitare vero e proprio odio razziale. Ed è comprensibile che, agli occhi di alcuni progressisti, ciò rende chiunque osi criticare il politicamente corretto come un complice volontario – o un utile idiota – della destra. Ma questo non è giusto nei confronti di quegli americani che si sentono profondamente alienati dalla cultura dell’impegno. Infatti, mentre l’80% degli americani crede che il politicamente corretto sia diventato un problema nel paese,  l’82% ritiene che anche l’incitamento all’odio sia un problema.

Si scopre che mentre gli attivisti progressisti tendono a pensare che solo l’incitamento all’odio sia un problema e i conservatori osservanti tendono a pensare che solo il politicamente corretto sia un problema, una netta maggioranza di tutti gli americani ha un punto di vista più sfumato: aborriscono il razzismo, ma non pensano che il modo con il quale noi pratichiamo attualmente il politicamente corretto rappresenti un modo promettente per superare l’ingiustizia razziale.

I risultati dello studio dovrebbero anche rendere i progressisti più autocritici riguardo al modo col quale le norme sul modo corretto di esprimersi fungono da marcatori di appartenenza sociale. Non metto in dubbio la sincerità delle persone benestanti e altamente istruite che rimproverano gli altri se usano termini problematici o compiono un atto di appropriazione culturale. Ma ciò che la stragrande maggioranza degli americani sembra vedere – almeno secondo la ricerca condotta per Tribù nascoste – non è tanto una sincera preoccupazione per la giustizia sociale quanto un esagerato pavoneggiarsi nella propria superiorità culturale.

Per milioni e milioni di americani di tutte le età e di tutte le razze che non seguono la politica con attenzione rapita e che sono molto più preoccupati di pagare l’affitto che di discutere del vestito per il ballo della scuola indossato da una adolescente nello Utah [il riferimento è a una poveretta che per il classico ballo annuale si è presentata con un vestito tradizionale cinese senza esserlo ed è stata accusata di appropriazione culturale, NdRufus],

Il vestito dello scandalo. In un articolo contro il politicamente corretto ci sta anche l’osservazione: «Bella pischella, fra l’altro»

la cultura contemporanea volta a additare gli errori degli altri sembra semplicemente una scusa per deridere i valori o l’ignoranza altrui. Lo dimostra la preoccupazione di una donna di 57 anni del Mississippi:

Il modo in cui devi definire tutto esattamente nella giusta maniera. E se non lo definisci bene, li discrimini. È come se tutti fossero a parte del segreto di come le persone chiamano se stesse ora e alcuni di noi semplicemente non lo sanno. Ma se non lo sai allora c’è qualcosa di veramente sbagliato in te.

Il divario tra la percezione progressista e la realtà delle opinioni pubbliche su questo tema potrebbe danneggiare le istituzioni che l’élite impegnata collettivamente conduce. Una pubblicazione i cui redattori pensino di rappresentare le opinioni di una maggioranza di americani quando in realtà si rivolgono ad una piccola minoranza del paese potrebbe alla fine vedere la sua influenza svanire e i suoi lettori diminuire. E una candidato politica [sic, al femminile, NdRufus ] che credesse di parlare per metà della popolazione, quando sta effettivamente esprimendo le opinioni di un quinto, rischia di perdere le prossime elezioni.

In una democrazia, è difficile portare i propri concittadini dalla propria parte, o costruire sostegno pubblico alle misure volte a rimuovere ingiustizie che rimangono fin troppo reali, quando fondamentalmente si fraintende come essi vedono il mondo.

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