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Scritto per l’oggi

59.  Il movimento di banalizzazione che, sotto i mutevoli diversivi brillanti dello spettacolo, domina a livello mondiale la società moderna, la domina anche su ciascuno dei punti in cui il consumo sviluppato dalle merci ha moltiplicato in apparenza i ruoli e gli oggetti da scegliere. La sopravvivenza della religione e della famiglia – che rimane la forma principale del retaggio del potere di classe – e dunque della repressione morale che essa assicura, possono combinarsi come un’unica cosa, con l’affermazione ridondante del godimento di questo mondo, essendo prodotto solo come pseudogodimento che sostiene in sé la repressione. All’accettazione beata dell’esistente può anche unirsi come un’unica cosa la rivolta puramente spettacolare: ciò traduce il semplice fatto che l’insoddisfazione è divenuta essa stessa merce, dal momento che l’abbondanza economica si è trovata in grado di estendere la sua produzione fino al trattamento di una tale materia prima.

60. Concentrando in sé l’immagine di un ruolo possibile, la vedette, rappresentazione spettacolare dell’uomo vivente, concentra dunque questa banalità. La condizione di vedette è la specializzazione del vissuto apparente, l’oggetto d’identificazione alla vita apparente senza profondità, che deve compensare il frazionamento delle specializzazioni produttive effettivamente vissute. Le vedette esistono per rappresentare tipi variati di stili di vita e di stili di comprensione della società, liberi di esercitarsi globalmente. Esse incarnano il risultato inaccessibile del lavoro sociale, mimando dei sottoprodotti di questo lavoro, che sono magicamente trasferiti al di sopra di esso come suo fine: il potere e le vacanze, la decisione e il consumo, che sono all’inizio e alla fine di un processo indiscusso. Là, è il potere governativo che si personalizza in pseudovedette; qui è la vedette del consumo che si fa riconoscere plebiscitariamente come pseudopotere sul vissuto. Ma come queste attività delle vedette non sono realmente globali, allo stesso modo esse non sono neanche variate.

61. L’agente dello spettacolo messo in scena come vedette è il contrario dell’individuo, il nemico dell’individuo per se stesso come ovviamente per gli altri. Passando nello spettacolo come modello d’identificazione, egli ha rinunciato ad ogni qualità autonoma per identificarsi con la legge generale dell’obbedienza al corso delle cose. La vedette del consumo, mentre è esteriormente la rappresentazione di differenti tipi di personalità, mostra ciascuno di questi tipi come avente ugualmente accesso alla totalità del consumo, dove troverà parimenti la sua felicità. La vedette che decide deve possedere lo stock completo di quelle che sono state ammesse come qualità umane. Così tra loro le divergenze ufficiali sono annullate dalla conformità ufficiale, che è il presupposto della loro eccellenza in tutto. Kruscev era stato fatto generale per risolvere la battaglia di Kursk, non sul campo, ma nel ventesimo anniversario, quando era padrone dello Stato. Kennedy era rimasto oratore fino a pronunciare il proprio necrologio, poiché Theodore Sørensen continuava in quel momento a redigere per il successore i discorsi in quello stile che era stato così importante per far conoscere la personalità dello scomparso. I personaggi ammirevoli in cui il sistema si personifica sono ben noti per non essere ciò che sono: sono divenuti grandi uomini scendendo al di sotto della realtà della minima vita individuale, e tutti lo sanno.

62. La falsa scelta nel campo dell’abbondanza spettacolare, scelta che risiede nella giustapposizione di spettacoli concorrenziali e solidali, come nella sovrapposizione dei ruoli (principalmente significati e veicolati da oggetti), che sono contemporaneamente esclusivi e ramificati, si sviluppa in lotte di qualità fantomatiche, destinate ad appassionare l’adesione alla trivialità quantitativa. Così rinascono le false opposizioni arcaiche dei regionalismi o dei razzismi incaricati di trasfigurare in superiorità ontologica fantastica la volgarità delle posizioni gerarchiche nel consumo. Così si ricompone l’interminabile serie dei contrasti derisori, che mobilitano un interesse sottoludico, dallo sport alle elezioni. […]

63. È l’unità della miseria che si nasconde sotto le opposizioni spettacolari. Se delle forme diverse della stessa alienazione si combattono sotto le maschere della scelta totale, è perché sono tutte costruite sulle contraddizioni reali rimosse. Secondo le necessità dello stadio particolare della miseria che esso smentisce e sostiene, lo spettacolo esiste sotto una forma concentrata o in una forma diffusa. In entrambi i casi, esso non è che un’immagine di unificazione felice, circondata di desolazione e di spavento, al centro tranquillo dell’infelicità.

(Guy Debord, La società dello spettacolo.
I grassetti sono miei)

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