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Iniziazioni alla Resistenza

Foto di gruppo dei “piccoli maestri”, si riconoscono (da destra) Benedetto Galla, Lelio Spanevello, Dante Caneva, Luigi Meneghello. archivio effigie

Con le messi dell’estate, coi primi frutti, maturavano anche le nuove leve partigiane. Arrivavano reclute, e noi andavamo a prenderle nelle prime ore della notte, in vari punti delle colline; venivano dalla città e dai paesi, in piccoli gruppi; erano giovani per lo più; poche ore prima avevano lasciato le case e le famiglie; erano stati condotti ai piedi del monte da apposite staffette, e avviati per una stradicciola in salita; a una svolta prendevano il primo Alto-là, e forse la sensazione di star facendo una ragazzata si mescolava con una certa tremarella. Poi li prendevamo in consegna; l’idea era di sistemarli in forme semi-autonome, come nostri satelliti. Spiegavamo l’impianto orografico della zona, i reparti confinanti, l’armamento, e concludevamo: «Vi ambienterete subito». Per ambientarli gli si dava qualcosa da fare, ancora al primo giorno, una piccola spedizione in pianura, una missioncina a un reparto vicino. Berto arrivò una notte, con un amico, e alla mattina li mandammo dal Negro a prendere alcuni caricatori.

Partirono di buon passo canticchiando motivi di canzoni; qualcosa di mezzo fra gli Aspiranti e la Giovane Montagna.

Si vedeva che erano ragazzini bene allevati, puntuali alle messe, anzi certamente capaci di rispondervi di persona, prodotti tipici dei nostri oratori vicentini, queste forge di chierichetti-calciatori e di cantori.-alpinisti. Non erano però ragazzi bigotti, anzi allegri e perfino scanzonati: non avrebbero mai detto una bestemmia, ma le brutte parole sì, come i bambini. Il loro interesse per la Resistenza era difficile da valutare. Dice Berto che quando arrivò su da noi, io che ero a riceverli, dopo le prime accoglienze, gli domandai severamente: «Perché sei qua, tu?» e lui, preso alla sprovvista, non sapendo cosa altro dirmi, sperando di farmi piacere, disse: «Per la bandiera della Patria». Sfortunatamente io avevo la luna, e gli dissi ancora più severamente: «E cosa te ne importa a te della bandiera della Patria?» (ma non dissi te ne importa). Berto aggiornandosi immediatamente, disse: «Non me ne importa un fico secco»; e io gli dissi con estrema severità: «Perché?». Qui Berto smise di rispondere, e pensava: “Si vede che questa è la banda dei perché”.

Insomma questi due s’incamminarono verso i crinali di Torreselle canticchiando canzoni, a mezza mattina. “Puri e forti” pensavo; “sempre primi sulle vette: simpatici però”. Ritornarono molto pallidi, nel tardo pomeriggio.

Erano stati accolti cordialmente, al reparto del Negro. Era un ambiente pittoresco; c’era un po’ di trambusto, perché quella mattina era in programma la distribuzione delle camicie. «Potete assistere anche voi» disse il Commissario. Erano arrivate dal cielo, con le armi e il formaggio canadese; erano le solite camicie militari inglesi, quelle di panno cachi, con gli attraenti taschini a trapezio. Berto e il suo compagno, vestiti in borghese, concepirono una mezza speranza di beneficiare della distribuzione anche loro. Un aiuto chiamò l’adunata, e i partigiani vennero a frotte, raggruppandosi davanti al Negro e al Commissario. Berto e il suo amico erano aggregati a questo gruppetto delle autorità. Il cielo era alto e sereno.

Il Commissario cominciò a parlare con la sua aria negligente, e annunciò ufficialmente la distribuzione delle camicie. «Siamo un po’ scarsi anche di scarpe» disse; «ma intanto cominciamo con le camicie». Lui personalmente era in ciabatte di pezza color cenere: era sempre così, e la cosa si addiceva alla sua aria negligente; pareva un vezzo, un modo di viziare i piedi. Era un uomo rachitico, che strascicava i piedi e le parole; appoggiava le mani, come uno che è stanco, al piccolo mitragliatore fuori ordinanza che gli pendeva dal collo.

«Dato che siamo radunati», diceva «ne approfittiamo anche per fare un controllo delle armi per conto del Comando di Brigata. È una formalità».

Gli aiuti si misero a fare il giro, e i partigiani consegnavano le armi. Improvvisamente si fece un trambusto, un rimescolio come quando si aizzano delle bestie. Il gruppo dei partigiani disarmati si allargò formando un semicerchio: in mezzo, stretti fra tre o quattro sgherri con le canne puntate, c’erano due uomini con le mani in alto.

Erano visibilmente due fratelli, abbastanza anziani, molto robusti. “Che sia una specie di Vestizione?” si domandava Berto. I ginocchi impensieriti si facevano anche loro delle piccole domande.

Le canne degli sgherri erano disposte a raggiera; il Commissario aveva fatto qualche passo avanti, sempre appoggiando le mani al suo piccolo mitragliatore. Ora faceva perno sul calcagno del piede sinistro, e con la punta della ciabatta di pezza accompagnava le parole. Diceva: «Riale Giovanni e Riale Saverio, colpevoli di furto, condannati a morte. L’esecuzione avrà luogo ora».

I due fratelli gridarono: «No, dio-ladro!».

Il Commissario gridò: «Sì, dio-boia!».

Il resto del dibattito si svolse concitatamente, ciascuna parte portando gli argomenti dell’altra.

Riale Giovanni e Riale Saverio: «Dio-boia!».

Commissario: «Dio-ladro!».

Riale Giovanni e Riale Saverio: «Dio-ladro!».

Commissario: «Dio-boia!».

Ora il Commissario sparava, sempre continuando a sostenere il suo punto di vista; i due fratelli, rimbeccando, comniciarono a scendere e si accartocciarono. I ginocchi di Berto battevano forte e a Berto pareva che il battito si sentisse.

Il Commissario tornò indietro un paio di passi ciabattando, e disse a Berto: «Vista la mira?» poi diede disposizioni per la riconsegna delle armi. Berto guardò di sfuggita i due fratelli accartocciati: sul corpo avevano spruzzi scuri che si allargavano.

Questa fu la distribuzione delle camicie. Da allora Berto e il suo amico ogni volta che veniva annunciata qualche distribuzione, trasalivano.

(Luigi Meneghello, I piccoli maestri)

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