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Film a metà – 3 (e basta, spero!)

Dopo i due film sentimentali di cui ho parlato nei giorni scorsi ho deciso di cambiare completamente genere e sono andato a vedere 47 Ronin con mio cognato Alberto, mio complice abituale in queste escursioni con giocattoloni hollywoodiani.

47 Ronin si è rivelato il film più a metà di tutti.

La trama è basata su un episodio ben noto della storia giapponese, trasposto più volte su schermo in Oriente – e credo mai in Occidente, però è un elemento notissimo nella cultura nerd e non solo: ne ricordo a memoria almeno tre trasposizioni diverse a fumetti. Gli sceneggiatori decidono però di darne una curiosa versione blandamente fantasy, come se un episodio minore della storia italiana, diciamo la Congiura dei Pazzi e l’ascesa al trono di Lorenzo il Magnifico, fosse narrata con tutti i protagonisti reali al posto giusto ma aggiungendo qui e là un due basilischi, una strega, un piccolo gnometto, un’aquila reale, un elfo, un orco, l’olifante e magari perfino i due liocorni in altre occasioni assenti. Così, tanto per complicare le cose, nel senso che strutturalmente la trama funzionerebbe anche senza l’iniziezione di materiale estraneo: Mizuki la strega sarebbe una normale dark lady, e buonanotte. Non dico che in sé l’operazione non  avesse elementi di interesse (ho apprezzato particolarmente la resa dei tengu), il fatto è che 47 Ronin alla fine non è un film fantasy, e quindi tutto questo sforzo sembra pretestuoso.

Anche in altri contesti la produzione sembra avere lavorato con una strana idea di vorrei ma non posso, o forse senza sapere bene dove voleva andare a parare: per esempio i costumi sono magnifici, ma non c’è il tripudio visivo dei wuxia pian che sembrano essere serviti da ispirazione (per non parlare di Kurosawa, ma lì siamo su un altro piano).

Soprattutto vengono enunciati una serie di materiali narrativi che non vengono mai sviluppati a fondo: in molti casi basterebbe una battuta in più, una scena aggiuntiva a dare compiutezza allo sforzo, ma evidentemente è rimasta nel computer dello sceneggiatore; così 47 Ronin non è un film d’amore, non è una storia epica di vendetta e di riscatto, non è un film sull’amicizia virile, non è la difesa del mondo (o del regno, o dello shogunato) da una cospirazione mostruosa, non è la storia di come attraverso il valore un reietto guadagni il rispetto dei suoi uguali: ma è anche ciascuna di queste cose… a metà. Come direbbero dalle mie parti: fatto e lasciato.

È ironico, in questo senso, che il protagonista (Keanu Reeves) sia un mezzosangue, cioè il figlio di un marinaio inglese e una donna giapponese, particolare per altro anacronistico: tutti gli elementi annunciati, infatti, potrebbero trovare compimento in una figura esemplarmente mediana, a metà fra due mondi, due condizioni sociali, due mentalità. Ma Reeves offre una insolita interpretazione da bisteccone e al suo personaggio non viene concesso mai di decollare.

D’altra parte perché uno degli Studios americani decida di fare un film giapponese rimane un mistero: con Reeves, un gruppo di buoni caratteristi e gli elementi essenziali della trama si poteva fare un gran film fantasy (o fantascientifico, o un ottimo western, o un action urbano) senza bisogno di sovraccaricarsi con una dimensione culturale che palesemente la produzione non è capace di padroneggiare: certo, qualche rara volta l’operazione riesce, come ne L’ultimo samurai (o almeno, non gli va troppo male), questa volta purtroppo no.

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