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Corazzate narrative: parlando ancora di Castle, Beckett, Derrick Storm e Nikki Heat

Se avete letto il titolo di questo post e poi ascoltato il brano qui sopra vi sarete sentiti un po’ confusi, credo.

Che nesso c’è? Il fatto è che da molto tempo avevo voglia di fare una puntata di Oggi parliamo di libri dedicata al tema delle franchise, o meglio delle multimedia franchise (così non ci confondiamo con i negozi di catena e altre cose per le quali in Italia si parla comunemente di franchising).

Se non sapete cos’è una multimedia franchise prima ascoltate la puntata:

E quindi: cos’è Star Wars? O, allo stesso modo, Star Trek, Montalbano, I pirati dei Caraibi, Matrix, A game of thrones, Conan, Il gioco di Ender, Il signore degli anelli, L’Uomo Ragno, Resident Evil e perfino Barbie? Per un motivo o per l’altro “un film”, “un’ambientazione”, “un libro”, “un personaggio”, e altre possibili risposte sono tutte definizioni insoddisfacenti, se non in certi casi del tutto sbagliate (per esempio, per moltissimo tempo Star Wars ha costruito il suo universo narrativo prescindendo dal media cinematografico, esclusivamente attraverso l’esperienza ludica, da tavolo o al computer). Serve una definizione unificante e multimedia franchise è l’espressione che hanno trovato gli americani. È un nome che si concentra, non sorprendentemente, sul marchio; in italiano io preferirei che ci si concentrasse invece sul fatto che si tratta di narrazioni che procedono attraverso mezzi differenti, e se fossi di quelli che hanno autorità in materia proporrei narrazione transmediale. D’altra parte far procedere una narrazione plurale di questo genere in maniera coerente richiede grandi mezzi produttivi, e quindi si torna per forza alla dimensione della proprietà e del marchio (mi chiedo, incidentalmente, come sarebbe un’esperienza narrativa transmediale non proprietaria, un pensiero che dà il capogiro).

Avevo in mente di dedicare una puntata a questo argomento da un sacco di tempo, già dalla stagione precedente. Sotto certi punti di vista inserirla nel ciclo dedicato al fantasy e alla fantascienza, o in quello dedicato all’avventura, sarebbe potuto sembrare più coerente, visto l’argomento di moltissime franchise e soprattutto di quelle più potenti. Un po’ non ne ho parlato perché spesso la parte affidata ai libri di queste narrazioni non è esaltante (con l’eccezione dei libri di Timothy Zahn per Guerre stellari), e d’altra parte alcuni altri libri hanno una personalità tale da mettere fra parentesi la franchise da loro derivata, come Il signore degli anelli e Lo hobbit. Le franchise basate su storie gialle non sono moltissime, e spesso non molto note.

In realtà credo che la scelta di Castle sia fortunata perché proprio la bizzarria del suo sviluppo (dei romanzi gialli di finzione il cui autore è a sua volta un personaggio di finzione, con un gioco di rimandi speculari fra le due narrazioni molto interessante) permette di cogliere il carattere a un tempo avvolgente e multiforme delle franchise. Un carattere avvolgente, una vera e propria user experience, che d’altra parte la casa produttrice di Castle persegue in maniera piuttosto intensa: non solo Rick Castle ha un suo sito come se fosse un vero scrittore, con tanto di citazioni e recensioni di altri veri scrittori, ma il sito ufficiale si concentra su materiali narrativi interni: ci sono, è vero, gli orari di messa in onda, le foto di anticipazione della puntata successiva, ma soprattutto c’è, per esempio, il blog di Ryan (non dell’attore, del personaggio), le mappe dei luoghi in cui si sono svolte le vicende delle puntate precedenti, e così via. Narrazioni che prendono vita, appunto, fuori del piccolo schermo e procedono per conto proprio.

Sono operazioni, d’altra parte, molto raffinate, così raffinate che non si capisce se sono cose furbissime o prese in giro. Per esempio il fatto che i titoli dei romanzi scritti dal falso-vero Rick Castle siano dei giochi di parole basati sul cognome del protagonista (Derrick Storm, Nikki Heat, come in Gathering stormTempesta in arrivo – o in Heat waveOndata di calore, peraltro Heat wave è anche il titolo di un giallo di John Sandford della serie di Virgil Flowers): sarà una critica sottile dei meccanismi ossessivi di riconoscibilità del mercato editoriale o l’assunzione acritica dello stereotipo? Vista la raffinatezza dell’operazione editoriale, io propendo per la prima ipotesi, ma il dubbio è legittimo.

Un appunto per il futuro: mi chiedo se proprio questa dimensione plurale delle multimedia franchise sia, in fondo, ciò che autorizza i fan a farsi proprietari del racconto e a ampliarlo a loro volta, con i vari siti di fanfic, ifinali alternativi, eccetera. Ma magari di questo si parlerà un’altra volta…

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