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Identità negate

Sul numero del Portico in circolazione in questo momento è stata pubblicata una lunga intervista al Presidente diocesano dell’Azione Cattolica, Andreina Pintor.

Credo che con la redazione commenteremo l’intervista nei prossimi giorni. Io oggi vorrei soffermarmi su un particolare abbastanza secondario ma secondo me significativo.

L’intervista è stata infatti pubblicata nella sezione “giovani”. «Come, giovani?!», mi sono chiesto, «Giovani?? Possibile che il titolista del Portico non sappia che l’AC non è un’associazione giovanile?».

Forse il nostro titolista è rimasto vittima di quello stesso errore di prospettiva che faceva dire, ricordo, al nostro vecchio parroco: «Ringrazio il gruppo giovani per avere animato la Messa» anche quando ormai la maggior parte del gruppo aveva passato da un pezzo i trenta o i quaranta, era sposata, aveva figli…

L’idea, insomma, che ciò che è animato, e vivace, e attivo, nella Chiesa, deve essere per forza “giovane”.

Naturalmente, ci sono dei motivi per un simile salto mentale: per esempio, da tempo le Giornate Mondiali della Gioventù e gli altri grandi raduni giovanili sono diventate l’elemento più riconoscibile e facilmente identificabile della pastorale, una sorta di “marchio di fabbrica” di Giovanni Paolo II e anche dell’attuale Papa. E certamente la crisi del rapporto della Chiesa con i giovani (come ricordavamo pochi giorni fa) fa considerare a tutti positivamente ogni occasione in cui questo rapporto sembra ricomporsi.

Non credo però che sia tutto qui. Personalmente sono cresciuto in una Chiesa in cui l’enfasi era posta sulla figura del cristiano adulto. “Formare cristiani adulti nella fede” era l’obiettivo dichiarato della pastorale  e il punto d’arrivo logico di ogni percorso formativo. Naturalmente, il corollario di una simile impostazione era l’importanza data alla formazione continua e quotidiana, l’apprezzamento per l’ordinarietà di vita virtuosa, la preferenza data al gruppo (in contrapposizone alle adunate numerose) come luogo tipico della crescita nella fede. Era, d’altra parte, il modello stesso dell’AC.

L’indebolirsi del tessuto parrocchiale e una serie di altre contingenze storiche hanno portato a ridefinire quel tipo di pastorale, in favore di impostazioni più movimentiste. Uno dei prezzi, però, è l’eclisse del cristiano adulto, ordinariamente operoso, in favore del “giovane entusiasta”.

Se la Chiesa vive immersa nella cultura del suo popolo, questo tipo di eclisse non può che dipendere anche dalle condizioni sociali. Oggi essere adulti non è di moda (essere anziani, poi, è direttamente un tabù). Siamo circondati da adulti che “fanno i giovani”, a partire da figure pubbliche di primo piano.

Ma il confronto con la vita sociale aggiunge un tassello alla nostra riflessione: mai nel Paese, infatti, il potere, in politica, nei posti di lavoro, nelle organizzazioni che contano, è stato così saldamente nelle mani degli adulti avanti con gli anni, tanto che molti parlano di vera e propria “gerontocrazia”. Se fossi un sociologo di quelli un po’ contestatori, potrei pensare che assistiamo a una mistificazione del potere che propone, tramite i mass-media, un’immagine di sé ossessivamente giovanile per mascherare la propria faccia rugosa e cadente…ma questi sono esercizi di stile che possiamo lasciare da parte.

Tornando alla Chiesa, però, non possiamo che chiederci se anche qui questa dinamica, ovviamente attenuata, non sia all’opera. Secondo me, per esempio, mentre cresce l’esposizione mediatica della pastorale giovanile, diminuisce la capacità di fare “promozione umana” (per usare un altro termine dei bei tempi andati) con i giovani, cioè emanciparli, donare loro libertà e autonomia. Questo obiettivo è affidato sempre più a esperienze percepite di frontiera come il progetto Policoro, ma è scadente nella vita ordinaria delle parrocchie. In qualche modo mi sembra che tendenzialmente si affermino modelli di pastorale in cui i giovani sono sempre più spesso “oggetto” di attività e sempre meno “soggetto” della propria crescita umana e spirituale.

E così il paradosso è speculare: mentre l’identità dell’adulto nella fede è svalutata in linea di principio (ma non nei fatti, se buona parte delle attività delle nostre parrocchie è affidata a persone spesso avanti con gli anni) quella dei giovani è svalutata nei fatti, con una proposta formativa di cui non possono essere protagonisti.

Il passo logico che rimane ci riporta, ovviamente, all’AC, ispiratrice del modello formativo alternativo – oggi un po’ in secondo piano -, rispettoso delle età e ricco di opportunità di protagonismo per tutti. A livello nazionale l’Azione Cattolica continua a fare da punto di riferimento e mostra chiari segni di rilancio. A livello diocesano i nostri numeri ridotti non ci permettono di incidere sui modelli di pastorale come sarebbe necessario: ma un percorso di discussione e formazione per i responsabili parrocchiali e diocesani sull’identità  formativa dell’AC permetterebbe almeno di rafforzare le fila in vista di uno scatto in avanti.

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