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Vivere di espedienti (narrativi)

Con Maria Bonaria stiamo guardando Suits: siamo più o meno a metà della quarta stagione e, devo dire, stiamo un po’ rallentando la visione.

Dal punto di vista narrativo, però, lo trovo piuttosto interessante per un approccio che non come definire se non falso movimento (e che forse alla lunga si è anche rivelato la causa di un po’ della stanchezza): intendo dire che è notevole come in Suits non succeda mai niente.

Mi immagino la reazione: ma come, ma se quello lì viene licenziato, quello viene riassunto, quello diventa capo, quello viene lasciato, quei due si sposano, la ditta cambia nome una volta all’anno, si fonde, si sfonde, non è più diretta da quella, è ancora diretta da quella, quello va in prigione, quello esce di galera?

Il problema è che a questi fatti non corrisponde, sostanzialmente, un’evoluzione dell’arco narrativo complessivo e dello sviluppo dei personaggi: sceneggiatori gattopardeschi bravissimi riescono continuamente a risolvere situazioni gravissime riportando i personaggi al punto di partenza. Fra l’altro, allungando il brodo a dismisura; il Grande Segreto di Mike, la Testardaggine di Jessica, la Presunzione di Harvey o il Puro Caso Beffardo mettono a rischio la studio: si concretizza una Minaccia. La Minaccia sarebbe parabile col Metodo A, ma il metodo A non funziona. Tu dici, ok, addio studio ma niente paura, si può sempre utilizzare il metodo B, C, D, E, finché, quando tutte le battaglie sono state perse e il brodo è ormai omeopatico (ci sarà una memoria della trama, quando non ti ricordi più che diamine voleva il cattivo è giunto il momento di chiudere), si scopre che in realtà tutto si può risolvere utilizzando il Metodo A Modificato, cosa alla quale forse si poteva pensare da prima. Se non c’è il Metodo A Modificato si può sempre ricorrere al Discorso col Cuore in Mano, che quello è infallibile e risolve sempre ogni situazione. Lo studio cambia nome e alla prossima stagione si può ripartire come prima.

Ironizzo, ma non ho detto a caso che gli sceneggiatori sono bravissimi: perché funziona, almeno per un certo numero di stagioni. Il punto è che il vero motore della trama non sono gli avvenimenti, ma le relazioni fra i personaggi e le loro debolezze interiori. Fra le prime, l’amore di Mike e Rachel, il rapporto conflittuale fra Mike e Harvey, la relazione fra Harvey e Donna, Harvey e Jessica e Harvey e Louis; fra le seconde, il Segreto di Mike, l’Ambizione di Rachel, la Possessività di Jessica rispetto allo studio, l’Egomania di Harvey, la Falsa Stima di Se Stesso di Louis. L’unica che non ha debolezze è Donna, o meglio, la sua debolezza è Harvey, e questo ci riporta di nuovo alle relazioni.

Con un approccio del genere alla narrazione, è chiaro che i temi di fondo dei personaggi non possono cambiare: Mike, per dire, deve sempre essere a rischio di essere scoperto; se per un motivo o per l’altro lo fosse, o se il rischio venisse esorcizzato per sempre, la benzina narrativa si esaurirebbe. Il che non vuol che questo sarebbe un insuccesso per gli sceneggiatori: ci sono accenni al fatto che la serie avrebbe potuto avere come tema il fatto che il segreto di Mike è una sorta di veleno che man mano intossica tutto ciò che tocca, distruggendolo o pervertendolo; ma allora non sarebbe stato Suits, ma Breaking Bad. Però gli sceneggiatori non hanno avuto il coraggio di prendere questa strada, e neanche, dopo le prime due serie, di risolvere definitivamente il personaggio di Mike, scegliendo una narrazione più tradizionale: il risultato è coerente con le premesse, ma alla fine stancante, anche se Suits rimane un esempio che sarebbe da studiare di come gestire una serie senza sviluppo della trama né orizzontale né verticale.

Quello che salva la serie per molto tempo, naturalmente, è la cattiveria nella lettura dell’ambiente – tutti questi porci laureati di Harvard – e la qualità dei personaggi, che è notevole soprattutto nei comprimari: Donna e Louis soprattutto, ma poi tutti gli altri, compresi gli antagonisti, e il fatto che i temi delle relazioni fra i personaggi profondano archetipi a pieni mani, con una galleria di complessi che farebbe la gioia di uno squadrone di psichiatri viennesi. Ci sono un sacco di bei personaggi, e sotto questo punto di vista secondo me Suits rinnova l’usuale bestiario dei serial di intrigo metropolitano (mi piacerebbe riguardare The Good Wife o House of Cards per verificare meglio quest’idea, ma mi pare complessivamente di sì) e credo che il suo cast andrebbe inserito di diritto nella galleria di fonti di ispirazione di tutti i narratori in erba.

Altre volte sul blog ho discusso di espedienti narrativi, per esempio il noto furto del grisbì: di solito gli espedienti servono per risolvere una narrazione, sia che si tratti di farla partire (come il citato furto del grisbì), farla andare avanti (il classico McGuffin) o risolverla (un bel Deus ex machina non si nega a nessuno). Suits è l’unica opera narrativa che conosca che invece profonda espedienti narrativi per non far andare avanti la trama e impedire lo sviluppo dei personaggi: il fatto che ci riesca è un pezzo di bravura, però non è un caso che l’espressione vivere di espedienti abbai così cattiva fama.

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