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Regressione del comunismo

Dopo segnalazioni varie ho giocato un pochino a A bewitching revolution (che si traduce rozzamente con Una rivoluzione stregonesca ma anche come Una rivoluzione che incanta).

La storia è ambientata in una città grosso modo distopica e futuristica, con videocamere di controllo ovunque, polizia in assetto antisommossa che si muove minacciosamente a casaccio e cittadini che sembrano tutti aggrappati alla precarietà, lavorativa, abitativa o esistenziale.

E nel gioco noi siamo una strega, e comunista.

Perché proprio una strega? Perché il gioco si ispira alle teorie di Silvia Federici (e, direi, a quello di una serie di altre teoriche) che collega la caccia alle streghe con l’accumulazione primitiva di un surplus di capitale che ha permesso la nascita del capitalismo e che ricicla una serie di altri argomenti che fanno delle streghe sostanzialmente i capri espiatori del tentativo maschile di sottomettere il lavoro femminile, particolarmente quello riproduttivo, e di sfruttarlo per la citata accumulazione primitiva.

Sto leggendo il Caliban and the Witch: Women, the Body and Primitive Accumulation della Federici e trovo le sue teorie poco convincenti dal punto di vista storico e più o meno mitologiche in rapporto alla lettura della caccia alle streghe e della condizione femminile dell’epoca, col recupero oltretutto di parte dell’ambaradan neopagano in merito (il mio punto preferito è la rozzezza della didascalia che spavaldamente dichiara – in una società contadina! – che le donne erano le depositarie della conoscenza delle qualità delle erbe medicinali, confondendo la conoscenza con il ruolo sociale della cura, che è un’altra cosa).

Ma il libro della Federici, per quanto non regga, è comunque il testo di una studiosa. A bewitching revolution sta a quel lavoro più o meno come uno potrebbe dire di essere un militante socialista perché si mette un garofano rosso all’occhiello: noi siamo una strega, e questo basta. Poi nel gioco il riferimento a dinamiche di genere, per esempio, è del tutto assente. Ma la protagonista è un strega, e quindi è tutto a posto.

Figata. What a diverse game.

Comunque, siamo una strega. La città ci invoca a gran voce, e noi usciamo sulle tracce delle suppliche che abbiamo ricevuto, a raddrizzare torti, spargere la salvezza e leggere i tarocchi alla gente, convertendola così al comunismo.

Ah, e tiriamo raggi magici ai poliziotti, trasformandoli in maiali rosa.

Allora, diciamolo subito: A bewitching revolution è un gioco sorprendente per la sua bruttezza.

Ed è anche sorprendente perché, nonostante sia palesemente orrendo, ha recensioni tutte favorevolissime, fino a essere considerato un piccolo cult.

Prima di andare avanti, sgombriamo il campo dagli equivoci. Come avrete visto dalla grafica, A bewitching revolution è un gioco rozzo. Ora, non sono così ingenuo da non sapere che, nel mondo indie, certa rozzezza corrisponde (può corrispondere) a una precisa scelta artistica. Quindi non sto dicendo che si tratta di un gioco brutto perché è rozzo. Un gioco rozzo, come certa musica punk sgrammaticata, può avere energia, freschezza, idee che più che compensano la confezione, e anzi trasformano la nudità dell’esecuzione in lodevole rifiuto di inutili orpelli.

Il problema è che idee, freschezza e energia A bewitching revolution non ne ha. L’unico sberleffo veramente feroce è quello dei poliziotti/maiali, ma il resto è di una banalità sconcertante, come i testi che si ottengono nelle letture dei tarocchi, una specie di catechismo marxista che sarebbe sembrato poco accattivante perfino a un commissario politico uzbeko.

Nel capitalismo, la disoccupazione è trattata come un fallimento personale. Ma ci sono sempre più disoccupati che posti di lavoro disponibili. Rifiutarsi di cercare lavoro è pertanto un atto politico, non un difetto individuale. Chiede un futuro nel quale l’assenza di lavoro ci porta tempo libero, invece che povertà.

Il nostro amico uzbeko, peraltro, troverebbe la maggior parte delle letture dei tarocchi anche piuttosto sospette dal punto di vista dell’ortodossia marxista, ma su questo magari torniamo dopo.

Se uno crede che un bel gioco abbia a che fare con scelte interessanti, A bewitching revolution non ne ha. Se crede che debba avere una narrazione importante, qui non ce n’è. In termini di game design, il gioco è poverissimo di estetiche perché è privo di meccaniche significative, di qualunque genere.

Preso semplicemente come strumento di propaganda (e siamo già fuori della categoria dei giochi, a questo punto, e casomai nei serious games) A bewitching revolution è quanto meno sospetto, diretto come è, senza alcuna sottigliezza e col tono di catechismo. Sospetto però che sia qui che trova il suo pubblico di fan, fra i già convertiti affamati di identità ai quali basta, no, serve, che si menzioni la parola comunismo per interrompere il digiuno di una vita. In tempo di carestia anche le streghe, se comuniste, fanno brodo. Tutti gli altri sono respinti, ma gli adepti sono soddisfatti.

Come occhiata dentro la vita quotidiana dei wannabe della sinistra radicale è agghiacciante.

Il problema è complicato dal fatto che, se si va a vedere le azioni rivoluzionarie innescate dalla strega, si riconoscono magari idee vicine a pratiche parainsurrezionali metropolitane ma, nonostante il catechismo dei tarocchi, è difficile riconoscerci granché di comunista. Piantare alberi in città certamente non è comunismo. Occupare case sfitte è molto più una pratica genericamente ribellistica – e comunque non stiamo parlando di centri sociali o luoghi comunitari: c’è una senzatetto e viene sistemata in una casa, che formalmente non sapremo mai di chi era; magari ci abitava qualcun altro. Organizzare sindacati di base diventa occupare un centro per l’impiego, ma non diventa una cooperativa: ci si fa musica e si beve.

Dal punto di vista del comunismo, converrebbe l’amico uzbeko, asciugandosi il sudore dopo avere caricato contro le mitragliatrici polacche con l’armata a cavallo, è un po’ poco.

Per dire, tutti i vecchi compagni della sezione Lenin dove mia madre mi parcheggiava da bambino noterebbero che manca la proprietà sociale dei mezzi di produzione.

Probabilmente per gli americani è troppo. Oltre il sindacato non si può andare, è terra incognita.

«Figlio mio, la sai la differenza fra comunismo e socialismo?». «No, mamma». «Il socialismo dice: da ciascuno secondo il suo lavoro, a ciascuno secondo il suo lavoro. Invece il comunismo che, bada bene, è più giusto, dice: da ciascuno secondo il suo lavoro, a ciascuno secondo le sue necessità».

L’Inossidabile, lezioni al figlio decenne.

Di democrazia nel gioco non c’è nulla non c’è nulla. Se fossi un vecchio marxista ortodosso, cosa che non sono, e se fossi cattivo, cosa che sono, noterei che la soluzione dell’oppressione in città è affidata non a un collettivo, ma a una strega.

Magari è figura dell’avanguardia del proletariato, magari.

Ma è anche sospettosamente vicina al culto dell’uomo, pardon, della donna forte a cui si affidano soluzioni miracolistiche che finiscono sempre per prefigurare, alla fine, svolte autoritarie.

E quindi c’è qualcosa che supera la bruttezza di A bewitchwing revolution: la povertà del comunismo che predica.

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