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Dura la vita in Egitto per le cantanti pop

Credo che molti abbiano visto passare in giro, magari sui social o come messaggio da amici su Whatsapp, un video nel quale un tizio che si dichiara ateo viene scacciato da un dibattito televisivo su un canale egiziano.

In realtà non voglio parlare del video in sé, prima di tutto perché è evidente che ci sono parecchie avvertenze da dare: per esempio, per lo spettatore occidentale è necessario affidarsi a una traduzione fatta da terzi – per quel che ne sa, magari i tre stanno litigando sulla formazione dell’Al-Zamalek in vista del derby con l’Al-Ahly («vuoi far giocare Marwan Mohsen terzino?! Esci di qui e vai a farti ricoverare subito!!»), oppure la controversia è sulla corretta ricetta degli spiedini di manzo, perché l’eretico ci mette l’origano invece del tradizionale dragoncello.

Per la verità la traduzione è (grosso modo) corretta, ma la seconda avvertenza è che la fonte del video è comunque sospetta: il sito di informazione M.E.M.R.I. è ritenuto essere sostanzialmente una operazione di propaganda dei servizi israeliani, volta a dare una lettura tendenziosa del mondo arabo enfatizzandone gli aspetti meno palatabili al mondo occidentale – come in questo caso – e facendo credere che in quei paesi siano tutti così (c’è sul Guardian un lungo scambio di e-mail fra il giornalista che inizialmente ha sollevato il problema e l’ex colonnello del Mossad che dirige il centro e mi pare che le posizioni siano abbastanza chiare; del resto basta dare un’occhiata al sito per rendersi conto che le notizie riportate vanno di solito in un’unica direzione). Magari quelli che l’hanno riportato per amore dell’ateismo e dei diritti umani e per mostrare quanto oppressive siano le religioni dovrebbero anche ragionare sul fatto che stanno di fatto alimentando razzismo, sciovinismo, conflitti e campagne d’odio.

Magari.

E poi naturalmente il dibattito fra scienza e religione è piuttosto stucchevole, e la trasmissione alla quale assistiamo è già in sé un’operazione di propaganda volta a rafforzare la polarizzazione del conflitto: a seconda dell’inclinazione dello spettatore questi tenderà a concordare con l’una o l’altra delle due posizioni, trascurando la possibile esistenza delle posizioni intermedie, esponenti dell’islam moderato o scienziati mediorientali religiosi; ce ne sono degli uni e degli altri, sicuramente.

Quindi, diciamo, se l’avete condivisa non ci fate una gran figura.

Ma quello che mi ha colpito è il fatto che ripetutamente il conduttore senta il bisogno di scusarsi col pubblico. Perché la cosa un po’ è strana, no? Cosa potranno mai fargli gli spettatori? O i direttori della testata, potranno prendersela con lui?

E mi sono ricordato di un articolo della BBC transitato sul mio Feedly che riporta, sempre a proposito dell’Egitto, le sgradevoli traversie incontrate da una serie di cantanti – donne – anche piuttosto note. Ne riporto un paio di estratti (i grassetti sono miei).

La cantante egiziana Sherine Abdel Wahab è stata condannata a sei mesi di prigione per avere fatto una battuta sulla purezza [dell’acqua] del fiume Nilo.

Sherine, una delle cantanti più famose del paese – e una dei giudici della versione araba dello show televisivo The Voice – ha detto a un fan che bere l’acqua del famoso fiume potrebbe causare una parassitosi.

«Bevi Evian, invece», ha scherzato.

[…]

Sherine, nel frattempo, è stata condannata da un tribunale del Cairo con l’accusa di spargere false notizie. L’agenzia di stampa Ahram riporta che ha dovuto pagare 5 000 sterline egiziane come cauzione, più un’ammenda di 10 000 sterline, per rimanere in libertà fino alla conclusione del caso.

[…]

Oltre alle accuse subite in sede giudiziaria, il sindacato egiziano dei musicisti ha annunciato che le è stato vietato di esibirsi a causa della sua «ingiustificata denigrazione del nostro caro Egitto».

Abdel Wahab si è più tardi scusata del suo «stupido scherzo» […] «Egitto, mio amato paese, io mi scuso con te con tutto il mio cuore per il dolore che ti ho causato».

Alla controversia conseguente al caso di Sherine è seguito in gennaio l’arresto di Laila Amer, a causa di un video per la sua canzone Bos Omak (“Guarda tua madre”).

Il nome è apparentemente un gioco di parole su una parolaccia in arabo.

Il video mostrava Amer che ballava e faceva gesti provocanti – qualcosa che l’avvocato che ha presentato l’esposto ha definito un «grave rischio» per l’Egitto e «un attacco alla società».

L’agenzia di stampa EFE ha riportato che la difesa di Amer davanti alla corte è stata che aveva semplicemente seguito le istruzioni del direttore e del produttore.

Il regista è stato condannato a sei mesi di prigione, mentre un altro uomo che compariva nel video insieme ad Amer ha ricevuto una condanna a tre mesi.

[…]

La sentenza odierna porta a tre il numero di artiste condannate a pene detentive negli ultimi mesi.

In dicembre, Shaimaa Ahmed – conosciuta semplicemente come Shyma – è stata incarcerata per due anni dopo essere apparsa in un video in biancheria intima e intenta a mangiare in maniera provocante una banana.

È stata ritenuta colpevole di invitare alla dissolutezza e di avere pubblicato un film indecente, ed è stata condannata insieme col regista.

Prima di essere incarcerata si è scusata con chiunque potesse avere preso il video della canzone, I have Issues (“Ho questioni”) «in maniera non appropriata».

Non ho proprio tantissimo tempo per approfondire; vedo comunque che periodicamente queste notizie emergono dall’Egitto: un altro articolo della BBC del settembre 2015 riferisce che diverse artiste di danza del ventre erano state condannate per video considerati inappropriati; una di queste, fra l’altro, per attacco alla bandiera nazionale per essere comparsa vestita nei colori nazionali; le altre erano semplicemente poco vestite: anche in questi casi i tribunali hanno agito, apparentemente, su querele di parte, presentate da ben intenzionati avvocati della morale pubblica – vale la pena di notare: laici, non su azione diretta delle autorità religiose.

Ripensandoci, il mix di moralismo e nazionalismo che queste vicende rivelano, la presenza di occhiute organizzazioni private pronte a agire le vie legali per tutelare i costumi o a sanzionare privatamente le ree, la prontezza con la quali i tribunali acquiescono alle richieste, la pressione sociale e dei media che spinge le donne condannate a vere e proprie abiure non è un buon indizio sullo stato delle libertà in Egitto – naturalmente, noi italiani non abbiamo bisogno di scoprirlo: il cadavere martoriato di Giulio Regeni dovrebbe ricordarcelo ogni giorno – e certamente spiega la cautela del conduttore: hai visto mai che lo accusino di avere promosso l’empietà e mettano in gattabuia pure lui!

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