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Molestie al bar

C’è, a Cagliari, un bar sgrauso.

Ci sono molti bar sgrausi a Cagliari, ma questo è particolare perché è sgrauso in maniera indefinita.

Non è una bettola, non è una bisca, non ha un padrone laido, non è equivoco, non è lurido, non ha un arredamento che decade placidamente fin dagli anni ’50 né uno che era di tendenza negli anni ’80, non ha quattro paste che sedimentavano nella vetrina indisturbate già nell’epoca giurassica.

Eppure è sgrauso, quel tipo di bar nel quale non entreresti mai se non nel caso che ti colga una voglia irresistibile di caffè quando sei entro cinque metri dall’ingresso: già al sesto metro andresti altrove.

Oppure ti può capitare, come a me, che sia domenica mattina presto, il mondo sia chiuso e sbarrato e tu debba fare colazione prima di macinare chilometri.

E così ci troviamo là io, il padrone, una camerierina bionda e un tizio in tuta da ginnastica al quale non ti viene da dare molto credito perché parla con l’accento del Campidano profondo, che al confronto a Truncu Is Puddas sembrerebbero avere il birignao, e che ha una vitalità esuberante che tu davvero, di domenica mattina in un bar sgrauso, non sai come faccia.

Anzi, diciamolo: siccome siamo in un bar sgrauso di Cagliari il signore non è in tuta da ginnastica. È in canadese.

E naturalmente c’è la televisione accesa sul telegiornale di Rete4, cosa che dimostra sempre più che siamo in un bar sgrauso. E alla televisione si racconta, se non ho capito male,  di una dottoressa violentata da un collega che ha denunciato il fatto molti mesi dopo, così che ora il collega non è più perseguibile.

«Provava vergogna», dice il giornalista.

E la ragazzina dietro il bancone non si raccapezza. Dopo tanti mesi, boh…

Il signore in canadese alza le spalle: «Si vergognava». Succede, vuol dire. Ma la cameriera, che dà l’impressione che il significato della parola vergogna per lei sia più o meno dalle stesse parti di unghie in colore che non si abbina al rossetto, insiste.

«Beh, è un fatto psicologico, vede». Pissicologico, ovviamente. «E poi lui la minacciava, non ha sentito? Era intimorita. E si vergognava».

La cameriera non è molto convinta. Minacciata sì, lo capisce. Vergogna, non tanto. Però insomma, sì, può capitare. Ma i tanti mesi trascorsi non li capisce. Lei non avrebbe aspettato.

«Eeeehhhh»,  sospira il signore. E sembra pensare: beata lei che non si è mai dovuta confrontare con nessuna minaccia peggiore di una improvvisa chiusura dello studio dell’estetista Jessicah il sabato pomeriggio.

Un po’ lo penso anch’io. E penso anche: vedi, però; una discussione sulle molestie, al bar, senza tanti luoghi comuni, senza sessismo tranne i miei pregiudizi sulla intelligenza della cameriera, che onestamente credo che quando distribuivano i cervelli lei era in fila per un secondo giro di unghie finte.

Ed è proprio in quel momento che il padrone del bar dice: «Che poi, bisogna vedere se è vero che è stata violentata!».

Crac!!

E il signore in canadese, mio eroe, dice: «Beh, in questo caso ci sono le prove, veda lei». Che lo dice masticando le sillabe alla maniera di Truncu Is Puddas, praticamente vueda lai. Ma è il mio eroe lo stesso.

Ma il padrone non demorde. Perché ci sono queste attrici, tutte violentate adesso, che si scopre dopo anni e non l’hanno mai detto. E blah, blah, blah.

E anche il tizio in canadese: è perché pensavano che non le credevano, oppure c’erano quelli attorno che lo consideravano normale… e il barista: e allora perché ci tornavano, eh? eh??!! Erano consenzienti, dicono, con-sen-zien-ti.

Io spero di finire in fretta il maledetto ventaglio che ho preso, che prima di inghiottire bisogna masticare ottanta volte.

«Momento», dice il signore.

Momento in un dibattito cagliaritano segnala l’arrivo di un argomento inconfutabile.

«Scusi, ma era perché le ricattavano. Se volevano la parte… eeeh… ci dovevano stare. Era un ricatto, era. E scusi, per esempio è come se lei alla signorina qua le dice che se vuole il posto di lavoro deve venire a letto con lei. E se la signorina ci viene con lei è anche consenziente, ma è perché deve lavorare, non perché la vuole. È ricatto, e scusi, e non è molestia quella?!».

Mio eroe.

Il padrone del bar trasalisce, impallidisce e rialza la testa di colpo. Guarda la cameriera, poi di nuovo il signore, poi la cameriera ancora: «Eh! Ma quello è diverso…».

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