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La repubblica dei pirati

The republic of pirates (Colin Woodard, Pan Mcmillan 2014)

The republic of piratesHo finito oggi di leggere The republic of pirates del giornalista e saggista americano Colin Woodard.

Il libro ripercorre la cosiddetta “epoca d’oro della pirateria”, cioè gli anni fra il 1715 e il 1725, distinguendo questa nuova epoca d’oro da quella del XVII secolo che aveva come base la Tortuga: qui lo scenario sono principalmente le Bahamas e gli antagonisti non più tanto gli spagnoli quanto gli altri coloni inglesi e il traffico di tutti i paesi europei fra l’Europa e l’America.

Woodard sceglie di raccontare la storia di questi dieci anni concentrandosi sulla vita di quattro capitani, fino a presentare il libro come una sorta di biografia intrecciata (cosa che non è fino in fondo). I quattro capitani sono da una parte Sam Bellamy, Charles Vane ed Edward Teach, Barbanera, tutti e tre pirati, e dall’altra invece Woodes Rogers, un ex-corsaro che viene incaricato dal governo inglese di sopprimere la pirateria, in particolare riconquistando la principale base pirata, il porto di Nassau nelle Bahamas.

Già, le Bahamas. In realtà il libro è principalmente la storia della pirateria basata sulle Bahamas e su Nassau in particolare. Questo giustifica una lunga introduzione all’indietro verso il 1696, per presentare il primo caso di rapporto fra un pirata di grande successo, Henry Avery, e la città di Nassau, e il fatto che per molto tempo il libro non presenti quelli che nominalmente ne sarebbero i protagonisti, Teach, Vane, Rogers e Bellamy, ma una pletora di altri protagonisti peraltro tutti interessanti, come i capitani pirati Henry Jennings o Benjamin Hornigold o altri.

Sotto un altro punto di vista, la scelta di concentrarsi sulle quattro figure principali costringe Woodard a un’altra lunga digressione nella quale racconta le avventure giovanili di Rogers, un corsaro di considerevole successo nel Pacifico: al contrario degli altri tre che non hanno sostanzialmente un passato documentato Rogers giunge al ruolo di governatore delle Bahamas e nemesi della pirateria attraverso un suo complesso percorso personale, che va ovviamente raccontato ma che però trascina scrittore e lettori lontano dagli eventi principali. Anche considerando queste digressioni, comunque, il centro del libro è saldamante ancorato alle Bahamas, anche se le peripezie dei vari protagonisti conducono il lettore lungo la costa americana da Boston al Brasile.

Ho alcune perplessità sul libro, ma prima di elencarle vorrei chiarire che si tratta di una lettura molto interessante: il tono è discorsivo e piacevole, gli eventi avvincenti, la quantità di documentazione raccolta da Woodard enorme e presentata in maniera del tutto non invasiva (può sconcertare la scelta di non interrompere il flusso della lettura con i numeri delle note – secondo un nuovo stile che vedo affermarsi nella saggistica anglosassone – perché inizialmente non ci si rende conto che ogni affermazione proposta ha la sua fonte ben evidenzata al termine del libro, pagina dopo pagina).

Si tratta quindi di una lettura interessante e avvincente. Leggendo per esempio la storia dello sfortunato Maggiore Stede Bonnet, uno dei principali alleati di Barbanera, non si può che pensare che la realtà supera di gran lunga la fantasia: è un personaggio così originale e straordinario che sembra letterario, anzi è il tipo di personaggio che se fosse letterario penseremmo che lo scrittore si è lasciato prendere la mano: è invece è tutto vero, storicamente documentato.

Cosa non funziona allora ne The republic of pirates?

Intanto non funziona il tentativo di accreditarsi come una innovativa riflessione sulle dinamiche comunitarie e paritarie con cui i pirati conducevano i propri affari in un’epoca in cui l’Europa viveva secondo linee strettamente aristocratiche ed autoritarie: l’eleggibilità dei capitani e la possibilità di rimuoverli con un voto dell’equipaggio, le regole per la distribuzione del bottino sono tutti concetti tutto sommato ben noti fin dalle publicazioni settecentesche e sotto questo punto di vista il libro, nonostante il titolo e una dichiarazione iniziale nell’Introduzione, non solo non aggiunge granché di nuovo ma glissa su alcuni punti interessanti, per esempio la presenza di un gran numero di neri fra gli equipaggi e contemporaneamente il fatto che i pirati si dedichino al commercio di schiavi, per dire. In generale tutta questa dimensione appare più enunciata che indagata, laddove il momento storico trattato e la quantità di documentazione consultata da Woodard avrebbe consentito sicuramente un approfondimento. Su questo senz’altro avrei voluto di più e magari mi cercherò qualcos’altro da leggere, anche per verificare la mia ipotesi che non si tratti di una dimensione tipica della pirateria ma di norme di natura medievale – per esempio sarei curioso di confrontare un qualche codice di pirateria con le regole sulle cui basi funzionava, per esempio, una compagnia mercenaria medievale.

Sotto questo punto di vista sarei tendenzialmente più propenso a considerare l’ondata di pirateria del 1715-25 come uno dei tanti episodi di persistenza di ideali comunitari tendenzialmente medievali che come un prodromo di movimenti proletari successivi, come sembra in qualche modo suggerire Woodard in qualche passaggio. In realtà non è proprio chiaro quale sia la tesi di Woodard, a parte qualche frase suggestiva buttata qui e là: ma se è condivisibile ritenere che la brutalità con cui erano normalmente trattati i marinai da armatori e capitani contribuì a gonfiare i ranghi della pirateria (molti dei prigionieri divenivano immediatamente reclute) non è covincente pensare che questa sia stata la causa di un fenomeno che andava avanti da metà del secolo precedente – in condizioni produttive diverse – e proseguirà anche successivamente.

In realtà la storia della repubblica pirata delle Bahamas è la storia di una battuta d’arresto, per motivi storici contingenti come gli esiti della Guerra di Successione Spagnola e la lotta fra Stuart ed Hannover, del processo iniziato secoli prima con cui gli stati nazionali andavano costruendosi il monopolio dell’uso della violenza e il controllo totale delle risorse economiche sui propri territori: la battuta d’arresto rende le Bahamas un vuoto che attrae naturalmente avventurieri, disperati, anarchici e tutti coloro che desiderano, per motivi molto diversi, vivere fuori della legge e anche, certo, secondo leggi non oppressive e che, in mancanza d’altro, fanno riferimento alle norme comunitarie, alle consuetudini sui beni comuni che gli venivano dal passato.

Ma questa è anche la storia della facilità con cui questo tipo di esperienza può essere soppressa non appena lo Stato si riorganizza – la republica dei pirati crolla complessivamente piuttosto ignominiosamente e andrebbe notato che alla fine hanno ragione coloro che preferiscono tornare nella legalità e anzi collaborare alla soppressione dei propri antichi colleghi, come Hornigold e Jennings, che non Robin Hood dei mari come Sam Bellamy o partigiani fino all’ultimo degli Stuart – e dei marinai poveri – come Charles Vane.

Il punto però che è contemporaneamente l’elemento di maggiore interesse del libro e l’origine del mio maggiore rincrescimento riguarda quella che potremmo chiamare l’ecosistema che circonda la pirateria. Woodard sceglie di concentrare l’attenzione sulle quattro figure principali, ma attorno a loro – perlomeno: attorno a tre pirati – si muove una pletora di altre figure, che vanno da funzionari pubblici corrotti o complici (compresi uno o due governatori e diversi giudici di alto livello) fino a tutto un mondo di altri marinai, contrabbandieri, ricettatori e così via. Per fare un esempio: la republica dei pirati non potrebbe vivere e mantenersi se lungo la costa, dal Rhode Island alla Carolina del Sud non ci fossero decine di persone che forniscono ai pirati viveri e altre merci indispensabili, ricettano il bottino, intrecciano con loro relazioni familiari e di collaborazione e così via.

Le Bahamas non sono, quindi, un’oasi di illegalità rispetto al resto del mondo, ma i pirati si collocano lungo un continuum di comportamenti legali e illegali – o talvolta legali e talvolta illegali a seconda dell’occasione e di chi fa la valutazione – ed è qui che emerge l’insodisfazione per la scelta di Woodard di concentrarsi su poche figure principali, pur descrivendo, di tratto in tratto, questo altro mondo così composito. Se posso cavarmela con una battuta, Woodard sceglie di raccontare questa storia come se fosse il Beowulf, mentre la vicenda avrebbe richiesto un George R.R. Martin (e secondo me l’intrico di tradimenti, relazioni, amicizie, interessi contrastanti, personaggi minori che improvisamente diventano decisivi e poi tornano nell’oscurità potrebbe più che degnamente proporsi come un degno rivale di Game of Thrones – senza i draghi, lo ammetto).

E a proposito di questo…

Crossbones, la serie televisiva

Su The republic of pirates è basata, secondo quanto dichiara la NBC, la nuova serie televisiva Crossbones, con John Malkovich, che è uscita a maggio 2014.

Ho potuto vedere solo la prima puntata quindi non mi pronuncio sulla storia, che mi è parsa per il momento terribilmente convenzionale (c’è perfino la piratessa nera che fa la spadaccina, a occhio mancano solo i ninja). Quello che posso dire, però, è che la serie è basata sul libro solo nel senso con cui si potrebbe dire che Ombre rosse è una ricostruzione credibile della vita quotidiana nel west

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16 pensieri riguardo “La repubblica dei pirati

  • Ciao Roberto
    ti scrivo due anni dopo questo post perché cercavo una recensione di questo libro, in realtà cercavo anche la traduzione italiana ma non ho avuto fortuna, quello che mi ha fatto approdare a questo libro è un’altra serie tv che si sta concludendo in questi mesi e che iniziò più o meno insieme a Crossbones, solo che secondo me è fatta meglio si chiama Black Sails e te la consiglio se ti incuriosisce l’argomento “pirateria” e “repubblica dei pirati”.

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      • Si lo conosco già, l’ho letto l’anno scorso.
        Magari ci proverò in inglese, grazie

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      • Ciao Roberto, quindi non esiste una versione in italiano? Che peccato!
        Qualcosa sulla vita di Samuel Bellamy (Black Sam)? Esiste qualcosa.
        Ciao e grazie
        Francesco

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        • Ciao Francesco. Ho fatto per scrupolo una nuova ricerca su ibs e non trovo niente in italiano di Woodard, ma la sicurezza te la dà un libraio che controlli il catalogo del suo distributore. Devo dire che con l’occasione ho scoperto che Woodard ha scritto anche un libro sulla regione costiera del Maine che mi sembra interessante, e qualche altra cosa sulla storia degli Stati Uniti.
          Su Bellamy vedo che il National Geographic ha prodotto dei documentari e poi c’è il sito del museo della Whydah (occhio che uno dei link è profondamente sbagliato, salvo che non ti piacciano gli abiti da sera). Vedo anche un libro di sociologia sui pirati che mi sembra interessante e che mi sembra partire da Bellamy, ma comunque in italiano mi pare ci sia poco.

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          • Grazie Roberto farò come hai detto ed andrò da un libraio. Per quanto riguarda il libro che mi hai suggerito è proprio quello che sto leggendo da un paio di giorni! È interessante ma finora su Bellamy solo qualche accenno alle solite cose. Tramite Google ero arrivato anche io a quel documentario della National Geografic Channel, ma tu hai idea di come si possa fare per vederlo? Su YouTube non ne ho trovato traccia così come sul sito della National Geografic. Ho visto qualche video del museo, bellissimo! Magari un giorno…
            Grazie di tutto
            Ciao
            Francesco

      • Buongiorno, concordo con voi sul fatto che black sails sia di gran lunga la serie meglio fatta a tema pirateria. Leggendo vari libri sull’argomento mi sono imbattuto in una figura che mi piacerebbe approfondire ma su cui non trovo quasi nulla. Si tratta di Simon Danzeker , secondo pirata più temuto del mediterraneo e secondo in flotta di Ward a cui si univa per le imprese più importanti.

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    • Bello Black Sails! Lo sto guardando in questi giorni.

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  • Pingback: Grazie a voi – La casa di Roberto

  • Ciao Roberto,
    Bellissima questa tua recensione.
    Spero non sia troppo fuori tema chiederti cosa pensi della Storia della pirateria di David Cordingly.

    Ciao

    Riccardo

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  • Riccardo/Rufus, se mi è consentito, trovo il volume nominato di D. Cordingly tra i più interessanti sul tema Pirateria.
    Per gli appassionati del genere e del periodo storico consiglio “Canaglie di tutto il mondo “- Marcus Rediker , ” Pirati dei Caraibi. Ascesa e Caduta ” di D Cordingly e l’omonimo titolo di cui sopra di Philip Gosse. Certamente, e qui concludo, di tutti i volumi che ho letto nessuno supera ” Storia generale dei Pirati di Captain Charles Johnson ( letto in bibioteca in quanto introvabile in lingua italiana e non più ristampato).

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