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Nonostante tutto

Capitan Harlock (Shinji Aramaki, Giappone 2013)

Allora, devo ammettere prima di tutto che non ho visto Final Fantasy, che mi dicono avesse un’animazione molto simile a quella di Harlock. E non sono nemmeno un grandissimo esperto di film d’animazione giapponesi. La dirò tutta: da ragazzino il cartone di Capitan Harlock non mi piaceva neppure, per un motivo che giudicherete inoppugnabile: trovavo assurdo che uno avesse una spada che era anche una pistola. Dal che si deduce che all’epoca non ero ancora abbastanza nerd da sapere che diversi tipi di spade-pistole sono realmente esistiti:Pistol SwordE poi dopo un eroe così positivo come l’Actarus di Goldrake Harlock era troppo ambiguo, troppo dall’altra parte della legge per soddisfare il quindicenne molto perbene che ero.

Quindi, vi chiederete, perché sono andato a vederlo? Un po’ perché mi piace andare al cinema, scusate la banalità. E mi piacciono i film di animazione. Un po’ perché il 2 gennaio, dopo una riunione dedicata a esaminare la situazione politica e sociale della città di Cagliari e dopo una veloce pizza consumata a casa nostra il gruppo La Pira ha deciso di andare al cinema. Solo gli uomini: moglie e compagne, chissà perché, hanno preferito andare a letto presto.

Comunque, che film è Harlock?

Prima di tutto, direi, un bel film di animazione. Come dicevo non ho molti parametri di confronto, ma a me è sembrata straordinaria. E mi è sembrato molto buono il 3D: per esempio prima dell’inizio del film è stato trasmesso il trailer in tridimensionale de La desolazione di Smaug (che ho visto in formato normale) e il 3D di Harlock mi è sembrato molto migliore: sarà perché girato direttamente in computer grafica, sarà perché lo spazio è in sé tridimensionale (come insegna Ender Wiggin) e permette probabilmente soluzioni grafiche migliori.

E poi?

Poi è molto giapponese, anche oltre la fedeltà al personaggio originale. E qui un po’ cominciano i difetti. Perché i personaggi non parlano: declamano. E quando pensano tra sé e sé declamano più forte. E hanno solo quattro modalità di ragionamento e discorso: struggente, appassionato, rabbioso e sentimentale. Solo Harlock ha in più la modalità “misterioso e sfuggente”. I cattivi invece ne hanno solo due: “satanicamente soddisfatto” e “arrogantemente machiavellico”.

È una fortuna che il film non ce li mostri mai occupati in operazioni semplici, tipo ordinare un caffè al bar di Efisio.

Efisio: «Buongiorno, desidera?»

Yama: «Amico! Fratello! Là, oltre il bancone tu presiedi a un compito fondamentale. Ci darai mai un caffè? Assaporeremo mai la dolce fragranza della bevanda tipica della nostra terra lontana?».

Efisio: «Quindi… un caffè?».

Yuki (adocchiando Yama con seducente desiderio): «No, Yama, quest’uomo non vorrà dunque mai concederti il desiderio del tuo cuore? Lascia che mi sacrifichi per te, affinché tu possa gustare la deliziosa bevanda!».

Yattaran: «Ah-ah!! Lascia che gli spacchi la faccia!! Dov’è la mia armatura da battaglia?! Ah-ah».

Efisio: «Quindi quanti caffè?».

Passa Harlock con fare misterioso: egli ha evidentemente un piano segreto, quindi Yama risponde a Efisio in maniera vaga. «La risposta, amico, fratello, è racchiusa nelle viscere segrete dell’Arcadia. Solo un uomo la conosce. Egli – indica Harlock – cela nel suo seno quel terrribile segreto».

Yuki: «Oh capitano! Mio capitano».

E così via. Poi si arriva sempre a un punto topico, tipo una congiura stellare, un confronto con l’intera flotta della Gaia Sanction, l’esigenza di un salto interstellare, il fatto che Efisio ha finito le bustine di zucchero di canna: a questo punto si accende il motore a “dark matter” (che poi, perché la versione italiana abbia deciso di lasciare certe espressioni in inglese è un mistero, probabilmente celato anch’esso nel cuore di Harlock e nelle viscere dell’Arcadia), tutti dicono «GASP!! Il motore a DARK MATTER!! Me’ cojoni» e il problema è risolto. Dev’essere facile fare gli sceneggiatori di film giapponesi.

In realtà non tanto. Un po’ perché il film soffre della nota “trappola del Cosamenefrega” (al contrario). La conoscete? No? È quella storia per cui se metti la magia in un racconto, o doti gli eroi di un oggetto molto potente o addirittura onnipotente, qualunque difficoltà tu gli opponga diviene inconsistente. «Hai di fronte la flotta stellare!». «E cosamenefrega?! Motore a dark matter, avanti!». «Hai ricevuto ferite mortali!». «E beh? C’ho il Cosamenefrega!! Poteri del dark matter, a me!!».

Qui il problema per gli sceneggiatori è opposto: perché siccome è un film giapponese a un certo punto gli eroi devono prenderle di santa ragione, così possono fare il loro monologo struggente ma anche un po’ sentimentale, rabbioso e appassionato di quando sono in punto di morte. Solo che menarli un sacco per gli sceneggiatori diventa difficile. Congiura e tradimento: Cosamenefrega! Cannone a sistema stellare! Cosamenefrega! Caledos Star system! Jovian Blaster! «Cosamenefrega», fa Harlock ogni volta serenamente, mentre Yuki è tutta un brivido al solo guardarlo: probabilmente si chiede se il dark matter rafforza le prestazioni di Harlock in tutti i campi.

Ok, gli sceneggiatori alla fine ricorrono alla vera arma finale: il facciamofinta. Funziona così: facciamo finta per dieci minuti che sinora abbiamo scherzato e il dark matter non funzioni. Meniamo gli eroi, li facciamo piangere e sanguinare e poi riprendiamo con il cosamenefrega.

Però prima compare un fiore sbocciato dove nessuno se l’aspettava: un tenero anelito alla vita, che dimostra che la dolcezza alberga anche nei cuori più duri, la vita e più forte di ogni avversità e c’è sempre speranza. Una metafora innovativa vista sinora solo in circa il 99% dei film di animazione giapponesi.

I buchi della sceneggiatura sono un peccato in un film che ha dei contenuti di sottofondo anche non banali (la forza delle illusioni, il tema del doppio, una bella specularità nella costruzione di molti personaggi) e che potevano essere sviluppati meglio. D’altra parte, è un film di animazione, giusto? Certo, ditelo ad Akira.

Nonostante tutto questo a me Capitan Harlock è piaciuto molto… l’unica cosa è che pensavo che dopo un’uscita fra uomini così saremmo andati a farci una birra. Invece abbiamo constatato con soddisfazione che era ancora presto e siamo andati diritti a casa. Dopotutto, era il gruppo La Pira.

 

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