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Di film visti in posti improbabili

Come forse ho già detto o fatto capire, qualche settimana fa il mitico Pino si è rotto una gamba e adesso sta recuperando e facendo terapia in una residenza sanitaria assistenziale (in gergo: RSA).

Per quelli di voi che non sanno cosa sia una RSA, diciamo che è una struttura che fa uno sforzo erculeo per non sembrare un ospizio: il che qualche volta è vero, considerati i servizi – medici, controlli, terapie, affettuosa assistenza e compagnia  – di cui godono gli ospiti, qualche volta si scontra con l’oggettiva realtà dei fatti (se tutti gli ospiti sono sulla sedia a rotelle, se molti non si ricordano quasi come si chiamano, non c’è molto da scialare) e qualche volta dirige i propri sforzi in maniera un po’ dubbia.

Per esempio, la prima volta che siamo andati a trovare il mitico Pino, all’epoca in cui ancora era di umore nero per la frattura, nonostante avesse detto: «Guardate che sta venendo mia figlia», l’avevano portato contro la sua volontà («non se ne stia lì da solo») nella “sala intrattenimento” per una “attività di partecipazione e cura della manualità”: che consisteva, sostanzialmente, nel decorare con un pennellino le palle per adornare l’albero di Natale il mese prossimo. Uno spasso, a certe condizioni che purtroppo il mitico Pino non soddisfa. Ecco, diciamo che quando siamo arrivati il suo umore, dopo essere stato sottratto a forza all’ultimo volume di Camilleri, poteva essere descritto con una metafora che impiegasse le medesime palle, metafora che non dico perché sono bene educato.

L’altra sera invece c’era un festa, o meglio un “aperitivo musicale”. Alle quattro e mezza, perché si mangia alle sei e mezzo. Che vuol dire che c’erano tutti questi vecchietti, ordinatamente disposti nelle loro sedie geriatriche lungo le pareti della sala, bitter e aranciate su un tavolo e, a un volume spropositato, Volare di Modugno. Abbiamo detto al mitico Pino: «Vuoi restare?». «Andiamo, andiamo», ha risposto, urlando per sovrastare la canzone.

Poi un giorno alla settimana c’è il cineforum.

Cop target (Umberto Lenzi, USA 1990)

8010927090741Come gli educatori di una RSA dell’hinterland cagliaritano si procurino un film minore girato da Umberto Lenzi in trasferta americana nel 1990 va oltre la mia immaginazione. Voglio dire: si affitta in videoteca?! Preferisco pensare romanticamente a un infermiere che è un cinefilo in incognito alla Quentin Tarantino e ha a casa tutta la filmografia dei poliziotteschi del bel tempo che fu.

Uhm, cinefilo…

L’ortodossia della critica dovrebbe prevedere, se non sbaglio, che Lenzi fosse un genio dell’artigianato cinematografico, capace di prodotti di gran classe costruiti lavorando in ristrettezze. Ho frequentato poco il genere, ma sinora mi sarei fidato dell’ortodossia. Dopo questa visione di un paio di settimane fa non sono più tanto sicuro. Cop target è terribilmente lento (o forse: terribile e basta). In parte è un fatto stilistico: tra il protagonista e Matt Damon, fra i ritmi compassati di questo film e gli action movie ipercinetici attuali c’è un abisso, e questo ci può anche stare, considerato quanto tempo è passato. In parte sarà questione di basso budget – tutto appare posticcio, molti attori sono terribilmente fuori parte e forse è per questo che sembrano imbalsamati. Ma soprattutto il fatto è che è lento lo sviluppo narrativo. I pezzi messi in campo non sono terribilmente originali (lui è un poliziotto fuori dagli schemi, deve fare da balia asciutta a lei, lei ha un segreto ed è bella ma ovviamente traditrice, e ovviamente subito si detestano – se no presumibilmente non possono finire a letto; lei ha una figlia, che ovviamente deve essere presa in ostaggio, siamo ai Caraibi, rum, spiagge ed esotismo), ma il problema è che si sviluppano con la lentezza di un minuetto: una storia così tanto già vista avrebbe richiesto energia, inventività visiva e cattiveria – esattamente le cose che vengono attribuite a Lenzi – ma di tutto ciò non c’è traccia, il che alla fine rende il film soporifero. Che forse è proprio quel che serve agli ospiti della residenza, diavolo di un infermiere cinefilo, ho pensato: un film d’azione ma ansiolitico. Perfetto.

(il trailer è in inglese, ma vi potete fare un’idea: al confronto Chips è un videogame)

Attacco al potere – Olympus has fallen (Antoine Fuqua, USA 2013)

La mia teoria, però, è stata distrutta la settimana scorsa, in cui è stata proiettata questa boiatona galattica:

Quando siamo arrivati, un po’ in ritardo, tutti gli ospiti erano già stati riuniti. Il mitico Pino era in prima fila, e non c’era posto vicino a lui. Da lontano gli abbiamo fatto un cenno, l’universale alzata di mano che vuol dire: siamo qui. E lui ha risposto con un cenno simile. Allora noi, sempre da lontano, abbiamo mosso la mano con le dita verso il basso davanti al corpo, che da destra a sinistra passano da verticali a orizzontali, nell’universale segno che vuol dire: ce ne andiamo? E lui ci ha risposto con un altro cenno universale, la mano con la palma aperta che vuol dire: lascia stare.

Non è che non si poteva parlare per non disturbare la visione: è che sullo schermo c’era una qualche strage, PIM!! PUM!! CRASH!! BANG!! e il volume impediva qualunque conversazione. Meno male che c’è l’universale e efficace linguaggio dei segni.

Insomma, benissimo, il mitico Pino ha deciso che vuole vederselo, ‘sto film. E allora ci sediamo anche noi.

Ora: della trama non ne sapevo niente, ma dalla locandina e dal titolo era già tutto abbastanza chiaro. Terroristi cattivissimi. Presidenti degli Stati Uniti eroici. Nazione unita nelle avversità. Un vicepresidente costretto dalle circostanze a farsi carico del paese mentre il Presidente lotta per la sua vita (in realtà mi sbagliavo: era il portavoce del Governo). Forse un Vicepresidente o un senatore colluso col nemico, o colpevolmente pacifista (mi sbagliavo: questo avrebbe richiesto un livello di sofisticazione della trama che regista e sceneggiatore non avrebbero saputo gestire). L’unico dubbio riguardava l’imprevedibile eroe solitario che avrebbe risolto la situazione: un cuoco? L’idraulico? L’istruttore di origami del figlio del Presidente?

Troppo complicato, regista e sceneggiatore scelgono il sicuro: alla terza scena c’è uno della scorta che viene rimosso per insubordinazione. «Vedrai che questo è quello che alla fine salva il Presidente», ho detto a Maria Bonaria.

Urlavo, perché sullo schermo un AC-130 abbatteva con le mitragliatrici rotanti due F14 e il volume era un po’ alto. RAT-A-TAT !!!WOOSH!! MAYDAY!! ESPULSIONE!! BANG!! BOOM!!

(Per chi non sia in grado di cogliere la finezza enunciata qui sopra, è più o meno come se avessi detto che una 500 ha doppiato una Ferrari).

A mezz’ora dall’inizio, dopo l’attacco, l’agente rimosso è l’unico ancora in vita ed è già chiaro chi salverà gli USA e quindi il mondo. «Ma l’avevi già visto?», mi dice Maria Bonaria, «come lo sapevi?!». Eeeeehhhh, chissà.

Devo dire che contrariamente al solito i vecchietti sembravano belli svegli: anzi magari quelli vicino a me c’avevano proprio gli occhi sbarrati, mi è sembrato, ma non avevo il tempo di osservarli. Sullo schermo i terroristi che hanno catturato la Casa Bianca in dodici minuti dodici improvvisamente dimenticano tutto l’addestramento ricevuto in modo che l’eroico agente possa sorprenderli ed eliminarli a uno a uno: SZACK!!! TRACK!!! OLÊ!!! STROZZ!!! AMMAZZ!!

I vecchietti avevano proprio gli occhi sbarrati. Dal terrore.

A metà del film un vecchietto più eroico degli altri ha alzato timidamente una mano: «Devo fare pipì, portatemi in bagno», ha sussurrato all’assistente prontamente accorso. «Mi dispiace tanto, non poter continuare a vedere questo bel film». L’hanno portato via che sogghignava: gli altri, che avevano il catetere e non potevano usare quella scusa, l’hanno guardato con invidia: traditore vigliacco!

Sullo schermo, il capo terrorista, un coreano nientemeno, svela il suo diabolico piano. «Sappiamo che i codici atomici li avete già cambiati, ah-ah, non mi interessano, io voglio i super-codici atomici».

Ah-beh, allora si, i super-codici atomici. Eh, questo spiega tutto. Caro, fai ciao ciao con la manina alla logica: non la vedrai più. Mai più.

Mentre la logica della trama agonizzava in questo modo tre altri anziani hanno mostrato segni di cedimento, forse per solidarietà con la trama, e sono stati accompagnati via.

Non abbiamo potuto salutarli: sullo schermo veniva torturato l’intero Governo degli Stati Uniti. AAAAHHHH!! ACC…!! OOOOHHHH!!!!!!! NOOOO!!!!!

La signora Pistis ha cominciato a singhiozzare nello scialle.

Un elicottero è esploso. CRASH!! BOOM!!

Il ragionier Cois ha tentato di lanciarsi, carrozzina e tutto, dalla finestra.

Il mitico Pino, ci pareva, resisteva. Noi no. Siamo usciti a prendere un caffè.

Al bar la farmacista stava disponendo flaconi di calmanti da distribuire a cena. «Ho l’impressione che serviranno», ha detto. Subito dopo le porte della sala cinema hanno tremato per l’esplosione dei sotterranei della Casa Bianca. Senza dire niente ha raddoppiato i flaconi.

Al nostro rientro in sala l’eroe stava sterminando un numero ragguardevole di cattivi.

BANG BANG!! SCALC!! PAM PIM PUM!! BA-BOOM!!!!!!!

Ed è stato allora che il mitico Pino ci ha visto. Ed era chiaro che voleva uscire. Molto chiaro. Tipo o mi portate fuori o riduco questa RSA che desiderete che arrivino dei terroristi coreani.

Al tavolo del baretto interno, Pino non era proprio felice. Scopriamo che talvolta, diciamo, l’universale linguaggio dei segni può essere ingannatore e che lui il film l’avrebbe mollato fin dal principio.

«Scusa Pino, noi credevamo che tu volessi vederlo…».

«Io?!», lo sguardo del mitico Pino da solo avrebbe nuclearizzato l’intera Corea, anche senza codici segreti.

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2 pensieri riguardo “Di film visti in posti improbabili

  • decisamente una lettura divertente… …spero che a gennaio, quando tornerò in sardinia, il mitico pino sia bello arzillo a zampettare sulle sue gambette e quindi fuori dall’rsa, altrimenti vengo anch’io a vedermi qualche bel film!!! bacioni a tutti

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