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Guerra di informazione

Una delle cose che trovi più disturbanti di questa settimana orribile è che, complessivamente, le informazioni migliori, più equilibrate e più interessanti provengono dagli analisti militari, cioè gente da cui complessivamente sarebbe meglio tenersi alla larga. Non gli analisti militari italiani, che in molti casi non solo non sono per nulla interessanti ma per di più sono fascisti incalliti (e infatti il fatto che molti siti pacifisti li rilancino è prova del triste stato di larga parte del movimento pacifista italiano), ma da analisti statunitensi, inglesi o australiani, gente che è stata contenta di votare Obama e che pensa che nella Guerra di Secessione i Confederati fossero dei razzisti imperdonabili.

Gente quasi più pericolosa dei fascisti, insomma.

Leggendo in giro da quelle parti là mi sono imbattuto in un lungo thread di Peter W. Singer, un esperto di strategia affiliato al think-tank americano New America, che ha pubblicato una analisi molto interessante della guerra di propaganda combattuta da ucraini e russi parallelamente alla guerra guerreggiata e del perché i primi stessero, almeno al momento dell’analisi, che è di un paio di giorni fa, prevalendo nettamente.

https://twitter.com/peterwsinger/status/1498355174649311232

Si tratta di un thread importante che merita di essere letto anche se, come me, la guerra vi strazia e non volete farvi arruolare. Anzi, proprio per questo dovete leggere, perché la decodifica dei meccanismi comunicativi costruisce consapevolezza. Basta cliccare sul tweet qui sopra e poi scorrere le risposte; se però siete come il mio amico Andrea Assorgia e i lunghi thread su Twitter vi stancano, vi ho preparato qui una visualizzazione alternativa che si legge come un articolo normale.

Tre sole aggiunte: quando dico che decodificare i meccanismi narrativi in questa come in altre cose costruisce consapevolezza, non sto dicendo che la realtà sottostante alla comunicazione è fittizia, e si dovrebbe sempre mantenersi sul sentiero stretto che protegge da cinismo da un lato e tifo sfegatato dall’altro: la vecchietta che offre semi di girasole ai soldati russi, così quando muoiono almeno qualcosa germoglia, non è un’attrice pagata da un regista ucraino da liquidare come operazione di comunicazione, ma è anche vero che di lei sappiamo solo quello che vediamo in quel momento, quindi prudenza.

Seconda cosa, il fatto che gli ucraini si siano dimostrati più bravi in questa competizione e la simpatia naturale per chi è, dopo tutto, l’aggredito, non dovrebbe far dimenticare che alcune strategie comunicative dovrebbero comunque essere condannate: per esempio, come fa notare successivamente lo stesso Singer, esibire i prigionieri di guerra come viene fatto viola le regole di trattamento previste dal diritto internazionale.

Terzo: non va dimenticato che queste analisi sono, sostanzialmente, legate alla percezione del conflitto nel nord del mondo e soprattutto nella sfera occidentale. Altri flussi comunicativi e altre percezioni possono essere diverse: per esempio nel thread un commentatore fa notare che parte della comunicazione della Russia è diretta verso l’Africa, il Medio Oriente e altri paesi asiatici, dove per esempio la storia degli studenti non europei respinti alla frontiera, prontamente rilanciata e diffusa, ha confermato la percezione di un’Europa razzista e sostanzialmente ipocrita (ho dato un’occhiata a Al Jazeera e non mi sembra particolarmente impressionata, ma Al Jazeera ovviamente non è tutta l’opinione pubblica).

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