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La famosa rissa delle ragazzine di Bologna

Venerdì ho scritto su Facebook di essere rimasto coinvolto in una rissa di ragazzine a Bologna, e la cosa ha suscitato un po’ di commenti, battute e richieste di chiarimento.

Oh, ho anche scritto che sono rimasto circondato per lunghi minuti, a un certo punto, da altre ragazzine (le stesse sarebbe stato troppo) che si esibivano reciprocamente lingerie, in maniera piuttosto suggestiva sebbene del tutto innocente, e che all’aeroporto mi hanno fermato perché si sono accorti che avevo un taglierino nella borsa (mi sono successe un sacco di cose, venerdì a Bologna) e anche su questo si sono sprecate le battute, ma la storia della rissa ha colpito maggiormente l’immaginazione, chissà perché, e quindi ho promesso di raccontarla qui sul blog.

Non è una gran storia, tranne forse per il finale, quindi immagino che tutti resteranno delusi, ma insomma: eccola qui.

Million dollar babyLa riunione a cui dovevo partecipare finisce ad orari nordici, cioè alle tre e mezza, e io ho un sacco di tempo libero: mentre tutti se ne vanno a prendere il treno decido di ammazzare il tempo fino all’ora di andare in aeroporto girovagando per il centro di Bologna.

Prima tappa: Stefino; non quello di Cagliari, ovviamente, ma il capostipite bolognese. Solo che il laboratorio non è più dove me lo ricordavo ma a San Vitale, io mi perdo (un fatto del tutto inusuale, per me, certo, come no) e a un certo punto mi ritrovo sotto uno dei tanti portici dalle parti di via Indipendenza.

Ed è allora che vedo davanti a me due ragazzine. Una, coi capelli corti, più tracagnotta, con addosso una salopette in jeans a pantaloncino (quella che ai miei tempi avremmo chiamato, chissà perché, “tutina”), tiene per i capelli un’altra, biondina, graziosa, coi capelli lunghi. Le ha preso i capelli dietro la nuca, ma le sta davanti, quindi quell’altra è piegata in avanti.

Non c’è violenza apparente e quindi non si capisce se è rissa o se stanno solo scherzando in maniera pesante: le due girano su se stesse in una specie di minuetto, piano piano. Io che sto camminando verso di loro guardo perplesso il commesso del tabacchino che prende il fresco appoggiato allo stipite: anche lui si è puntato, ma anche lui sembra incerto; intanto quelle continuano a girare: la biondina fa due passi per liberarsi e l’altra ne fa altri due per continuare a mantenere il braccio teso.

Finché la biondina non dice: «E lasciami, stronza!» e dà uno schiaffone all’altra. Ok, è rissa. Il commesso si lancia a separarle, io che sono più avanti e c’ho una certa età mi limito a: «Beh, smettiamola subito, ragazze» con la mia migliore voce autorevole e quelle si separano un secondo prima che il commesso si interponga valorosamente.

Faccio in tempo a dire: «Ok, adesso basta, va bene?». La ragazza coi capelli corti fa cenno di sì, noi ci giriamo verso la bionda per conferma e mentre siamo girati la prima ci aggira con eleganza, le si fa sotto e le molla un calcio frontale nello stomaco con ottimo stile. Noi ci giriamo verso di lei con la faccia di chi dice: «Ma come?!» e nel frattempo la biondina, povero angelo, ci aggira dall’altra parte con eleganza e sbam!, le molla uno schiaffo con mira perfetta.

E insomma, per essere adulti che vorrebbero autorevolmente riportare la pace quelle due ci fanno ben presto ballare la rumba, anche perché scopriamo che alcune prese che fin da ragazzi abbiamo imparato per separare due che si picchiano nel caso che questi siano ragazze diventano un pochino ambigue, e quindi non sappiamo bene dove mettere le mani (in senso letterale).

Alla fine ci risolviamo all’interposizione pura, facendo scudo coi nostri corpi alla biondina, mentre l’altra ci gira intorno come una tigre cercando il varco per piazzare qualche altro colpo. E la biondina, maledetta, non collabora, ma da dietro le nostre spalle si protende: «Troia!!», e noi non possiamo girarci e dirle di star zitta, ‘sta cretina, perché come ti distrai quell’altra, fulminea, zac!, calcio mirato, «Così impari, puttana!».

Come Dio vuole, comunque, pian piano la violenza si placa. Il segnale è quando la tizia in salopette, che noto ha anche dei fantastici piercing, dice: «Vai via!». La bionda, imperterrita, le risponde: «Ma vai via tu, puttana!», «No, tu, troia», ma intanto la prima sta retrocedendo e si fruga in tasca, alla ricerca del cellulare.

«Si, dai, chiama papino, stronza!».

«Puoi star certa che lo chiamo, puttana, così vedi», ma il cellulare non salta fuori e allora si gira verso uno col cappellino da baseball messo al contrario che, giuro!, sinora non si era visto, e gli dice, isterica: «Chiama mio padre, che gli fa vedere a questa troia!!», e quello – l’ho già detto che non si capisce da dove salta fuori? – tira fuori il cellulare e compone un numero, e allora la bruna si gira verso un altro col cappellino da baseball messo al contrario che, giuro!, anche lui sinora non si era visto e gli dice: «Dammi il cellulare!» e quello – l’ho già detto che non si capisce da dove salta fuori? – subito le porge il suo telefono – poco manca che non si metta in ginocchio come il cavaliere con la regina – e tutt’e due, la bruna col piercing e la biondina, si mettono agli estremi opposti del portico e chiamano casa, mentre i due tizi col cappellino da baseball fanno del loro meglio per mimetizzarsi contro i muri.

Il commesso torna a vendere sigarette e caramelle. Io vado via: ho un gelato da prendere.

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Un pensiero su “La famosa rissa delle ragazzine di Bologna

  • Perché dovremmo restare delusi? Chissà se riuscirò mai a capire come fai ad attirarti addosso tutte queste situazioni…

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