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Due rangers del Texas

Saguaro numero 18, La tribù del cielo (Sergio Bonelli Editore ottobre 2013, Mignacco/Foderà)

Saguaro-18-ottobre 2013Ho l’impressione che molti lettori di fumetti, pubblicati dalla Bonelli e no, snobbino un pochino Saguaro, ma devo dire che a me piace, anche abbastanza.

Sono sicuramente di parte perché amo molto i gialli di Tony Hillerman ambientati nella polizia tribale Navajo, e qui l’ambientazione è la stessa. Certo, forse non ha grandi elementi distintivi o sceneggiature scoppiettanti, però riprende un discorso interessante sugli anni ’60 che nella stessa casa editrice era stato iniziato con Cassidy (che era una bella miniserie, secondo me, passata un po’ sotto silenzio). Cassidy era più secca, più dura, Saguaro è un po’ più compassata, forse qualche volta anche un po’ legata, qualche volta direttamente zoppicante, però a me piace.

E poi in una casa editrice che ha fatto di un ranger del Texas la sua icona e del west la sua ambientazione di elezione l’idea di riprendere lo stesso tipo di figura e di ambienti spostandosi avanti di un secolo è interessante, poteva essere l’apertura di una prospettiva nuova, una specie di uovo di Colombo. Non so se Bruno Enna, che è il creatore della serie, abbia questa cosa in mente, ma a me certe volte Saguaro sembra davvero Tex, il Tex prima maniera degli albi a strisce, durissimo e quasi invincibile.

Qualche volta. Altre volte non mi pare che Saguaro e, soprattutto, il cast che lo circonda siano in grado di reggere minimamente il paragone. Pazienza. I motivi di interesse rimangono.

Per esempio il numero 18 mi ha fatto fare un paragone col numero di Dragonero in edicola nello stesso periodo, e con cose che dicevo a proposito di Orfani. E un fumetto che ti fa fare paragoni con altri comunque è interessante.

Il numero 18, come il 5 di Dragonero, è un volume di passaggio, o comunque è abbastanza slegato dalla continuity della serie. Saguaro è a New York per fare un favore ai colleghi dell’FBI e alla polizia locale. La storia in sé non ha molto di particolare, ma quello che è interessante è che Mignacco dispone i pezzi sulla scacchiera per storie successive: presenta con eleganza un gruppo di colleghi newyorkesi che potranno affiancare Saguaro in altre storie successive, e un poliziotto urbano nel ruolo di amico-nemico che sarebbe un peccato non rivedere. In più un gruppetto di nativi americani di città che potranno anche loro essere lo spunto o i comprimari di future storie, con Saguaro di nuovo in trasferta lontano da casa. E il tutto viene fatto in maniera molto semplice, nel fluire di una storia che è avventurosa il giusto e che intrattiene il lettore per conto suo. Non amo molto il motto mostra, non raccontare! che è il vessilllo di un certo tipo di critica, ma qui ci sta bene: Mignacco ci mostra i nuovi personaggi in azione, lungo la storia, senza stare lì a menarla con lunghi spiegoni.

Il confronto con Dragonero è impietoso: lì la presentazione di un cast di nuovi personaggi è fatta con una trama immobile, che va avanti per gag successive slegate fra loro o per lunghe scene descrittive. Una storia, complessivamente, non c’è. C’è come un occhio di bue che di volta in volta illumina personaggi immobili, e l’autore man mano li presenta con un commento fuori campo. Racconta, non mostra.

Purtroppo la storia di Saguaro ha però anche dei difetti. Con Orfani mi sono lamentato del citazionismo. Ho letto poi che Recchioni dichiarava che il suo non è citazionismo, ma giocare con gli archetipi. Non sono convinto, ma certo il suo lavoro è più fino di quello di Mignacco in questo numero, che invece abbonda, appunto, in citazioni. Già gli indiani che Saguaro incrocia a New York sono quelli che lavorano sui grattacieli, e la cosa non è proprio originalissima. Poi c’è un agente che lavora sotto copertura, che si chiama Serpari, un capellone che veste camicie a fiori, e ti sembra bolso. E poi il cattivo è tolto di peso da American gangster, e lì decidi che è troppo. Davvero troppo. Un peccato, perché sono tutti elementi accessori che si potevano sostituire con cose più originali: mentre così ancora una volta Saguaro non decolla del tutto. Un peccato, accidenti.

Tex numero 637, El Supremo (Sergio Bonelli Editore novembre 2013, Boselli/Dotti)

bonelli-editore-tex-gigante-637-el-supremoVisto che siamo in tema di rangers del Texas aggiungo due note sull’ultimo Tex, che ho preso stamattina per il mitico Pino (seeee, non per me, proprio no), che così si distrae dalla gamba rotta.

Quando leggevo Tex da ragazzino mi piacevano un sacco i comprimari e gli avversari. Non parlo di personaggi passati alla storia come il famoso Mefisto, che tutti citano. Dico per esempio Lucero, il bandito di una storia di apache e predoni messicani. Oppure, nella famosa storia in cui Tex e Carson scortano una carovana di quaccheri, i loro avversari sono divisi in due gruppi: degli indiani e dei banditi o trafficanti. A un certo punto, per un motivo che non ricordo i due gruppi da alleati diventano rivali, e gli indiani attaccano un trading post in cui sono asserragliati i trafficanti. È una scena che all’epoca avrò riletto mille volte, sebbene sia in fondo una scena secondaria: né Tex né Carson sono in scena in quel momento.

Bonelli padre nei sui momenti migliori aveva questa capacità di sceneggiatura, sia di creare degli antagonisti credibili e spesso memorabili, sia di gestire la storia cambiando i punti di vista e il campo di narrazione, facendola progredire senza bisogno che ci fosse sempre Tex in scena. Una caratteristica di Tex che negli anni mi sembrava un po’ sparita.

Boselli ha sempre avuto la capacità di disegnare dei comprimari molto credibili, a tutto tondo, a partire, sospetto, da una serie di istruzioni ai disegnatori su come “vestirli” e caratterizzarli graficamente. Quando non era però lo sceneggiatore ufficiale della serie mi sembra che questa cura nei personaggi secondari si concentrasse sui compagni occasionali di Tex e sugli alleati del ranger. Adesso che ha preso in mano la serie come curatore noto una gran cura anche negli antagonisti. In questo numero appena preso ritrovo la capacità di Bonelli padre di dare grande spazio (forse troppo: da pagina 87 a pagina 110 Tex e pard non compaiono mai) agli avversari. Sono molto contento: se qualche dialogo fosse meno impacciato, qualche situazione meno letteraria il nuovo Tex lo troverei perfetto.

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