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Personale viaggiante

Sabato sono andato a Bologna (e poi a Roma) per questioni varie di Banca Etica, fra le quali un invito del C.R.E.S.E.R. (Coordinamento Regionale per l’Economia Solidale Emilia-Romagna) a fare un intervento a una tavola rotonda in occasione di Terra Equa, dove erano tutti più importanti di me e dove moderava Pietro Raitano, direttore di Altreconomia.

La relazione è andata bene, credo, ma ve la trascriverò più tardi: adesso vorrei raccontare tre episodi capitati in viaggio e che riguardano tutti, in un modo o nell’altro, delle hostess.

Gli occhiali di Google

Di mattina presto faccio colazione all’aereoporto di Elmas: a fianco a me l’equipaggio del volo che prenderò poco dopo. Uno degli stewart, che è un po’ il tipo “molto informato”, sta spiegando a un collega le meraviglie dei nuovi occhiali di Google. Fra tutte le cose che potrebbe raccontare per spiegarli ne sceglie una forse un po’ imprecisa: «Capisci, tu ti metti questi occhiali e quello che vedi tu si vede tutto su un computer. Magari tu sei da una parte e tua moglie a casa sul computer vede tutto quello che vedi tu, esattamente».

La hostess che fa colazione con loro, una bella signora, si gira e con una voce che mirabilmente riesce a distillare insieme sensualità, finta ingenuità e una buona dose di malizia dice: «Ooooooh, mi toccherà stare attenta a tua moglie, allora…».

Che avrà voluto dire, mi chiedo. O meglio: resto ammirato della molteplicità di significati di una frasetta, buttata là così.

Potenza dell’uniforme

Non molte ore dopo lasciata Bologna sono su un treno che dalla stazione Ostiense di Roma porta a Fiumicino (se mai scriverò un libro sulla mia vita in Banca Etica lo intitolerò Fiesta mobile, ma più che altro “mobile”). Alla fermata dopo Trastevere entra nel vagone una ragazza vestita (elegantemente, o forse è lei di quelle a cui sta bene tutto) con un classico abito d’ordinanza da fiera o esposizione. Un tailleur blu, camicetta bianca, fazzoletto al collo. Sembra una hostess, solo che ha un badge che indica chiaramente che viene o è diretta a un qualche convegno di una multinazionale: siamo nel campo, mi pare, dei cosmetici, o forse va a Fiumicino a convincere frettolosi viaggiatori dell’opportunità di comprare un boccione di qualche essenza rinomata per le mogli in attesa a casa: non sono riucito a leggere tutto il badge.

Quello che sicuramente non è? Una dipendente di Trenitalia: a parte tutto, la divisa è sbagliata…

Nello stesso istante in cui mette piede nel vagone, però, mentre il treno è ancora fermo, una signora meridionale chiede: «Devo scendere qui per San Pietro?». Io non saprei che dire, un signore anziano comincia a dare spiegazioni, poi ha un’idea migliore: «Signorina, glielo spieghi lei alla signora: come può arrivare a San Pietro?».

La ragazza, sorpresa, spiega: tornare indietro di una fermata, scendere a Trastevere, prendere l’altro trenino. Mentre spiega anche io arrivo alle stesse conclusioni, ricordado il gruppo di peruviani appena sceso che parlava del Papa, e: «Si, si» fa con la testa il signore anziano.

Fra tutti e tre facciamo scendere la signora e la indirizziamo nella direzione giusta. A questo spunto sarebbe forse il caso di spiegare al signore che la ragazza non è una ferroviera, ma prima che si possa fare alcunché lui tira fuori una tessera di abbonamento e inizia: «Oh, bene, adesso che è libera voglio chiederle…» e si lancia in una questione esoterica di uso di facilitazioni in giorni festivi.

La ragazza, forse timida, forse troppo ben educata, certo esperta nell’uso dei treni, compitissima rivela riposti segreti dell’uso degli abbonamenti per anziani. Finalmente si libera del signore, ma nel frattempo sono saliti nel vagone a fianco tre tedeschi grassissimi che guardano perplessi il loro biglietto, poi la puntano da lontano e la fanno cenno: «Venga qui, per favore».

Quella ingenuamente fa con la mano: «Dite a me?». «Proprio a lei», fanno cenno quelli. Quella fa due passi verso di loro e viene catturata di nuovo.

Quel treno infernale

La ragazza è appena sparita che appare, finalmente, una vera ferroviera. Si siede nel sedile dall’altro lato rispetto a me, si toglie le scarpe e le poggia sul sedile davanti. Tutto in lei dice: sono sfatta. Io le guardo i piedi un po’ sorpreso, lei assume una posa che dice: ma sfatta davvero, non puoi capire.

Un po’ mi dispiace, ma dopo un sorriso di solidarietà faccio: «Scusi, ha finito il turno?». Lei fa cenno di si, ma mi sorride: «Dica pure», e io traditore le dico che ci sono tre turisti sperduti che hanno bisogno di spiegazioni.

Lei sospira, si rimette le scarpe, si alza e fa: «Me stanno a massacra’, me stanno. ‘sto treno è ‘n inferno». E va, come diretta al fronte.

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