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Gotico, romantico: Udolpho

I misteri di Udolpho (Ann Radcliffe, 1794)

mysteriesofudolphoNel mio sforzo di essere un austeniano perfetto sto leggendo (in lingua originale) The mysteries of Udolpho, il romanzo che tutte le eroine della zia Jane hanno letto e che è anche alla base di uno dei suoi romanzi più divertenti, L’abbazia di Northanger, che è una parodia di tutti i luoghi comuni del romanzo gotico, categoria di cui Udolpho è sicuramente estremamente rappresentativo.

Sono a pagina 70 circa – su 720 – e non è accaduto praticamente niente, però la lettura mi sta riservando lo stesso più di una sorpresa.

Continuità fra scrittrici

Intanto ero convinto che fra la Radcliffe e la Austen ci fosse una sostanziale discontinuità, dato il tono scherzoso con cui i bei tomi dei romanzoni gotici sono trattati nel corpus austeniano, invece al contrario fra le due scrittrici c’è, a livello ideologico, una evidente continuità:  entrambe contrappongono la sobrietà di una piccola aristocrazia di campagna impoverita ma non misera alla pompa della nuova borghesia commerciale cittadina, entrambe affermano il primato del buon senso e del decoro tradizionali, entrambe aderiscono a una ideologia, non so quanto consolatoria, che vede nei successi dell’intelletto – cultura, capacità di apprezzare le cose belle, comprensione della dimensione spirituale dell’esistenza – scopo sufficiente a dar senso alla vita anche in presenza di povertà e sofferenze.

È una similitudine, temo, abbastanza di facciata, nel senso che la Austen è infinitamente più complessa – e molto più borghese, nonostante le premesse – della Radcliffe, ma intanto è stata una sorpresa ed è una delle chiavi di lettura che mi sto dando, in un procedere abbastanza difficoltoso: forse quando arriverò alla fine avrò qualcos’altro da raccontarvi in merito.

Un romanzo pieno di difetti

Dicevo di un procedere difficoltoso: perché Udolpho ha un sacco di difetti che lo rendono leggibile solo a condizione di non sentirsi in colpa in quei casi in cui, per sopravvivere, si decida di saltare una mezza pagina (talvolta anche una o due) qui e là. Non è solo che il passo è, diciamo, non incalzante – temo che la Radcliffe avrebbe trovato il modo di infilare una pausa anche in una processione di lumache – ma è soprattutto perché il gusto della narrazione è totalmente descrittivo, in una affabulazione di panorami che si dipanano continuamente davanti al lettore e che vengono descritti nei minimi particolari. E quando è terminata la descrizione del panorama della zona che i protagonisti stanno attraversando questi non trovano niente di meglio che scendere dalla carrozza per osservare meglio un particolare pittoresco e subito parte un’altra descrizione, alla fine interrotta dalla comparsa di un bucolico pastore la cui bucolica dimora e il cui bucolico comportamento non possono che meritare un’altra mezza bucolica dozzina di pagine e la citazione di dodici stanze di un’ode di Thompson: c’è da uscirne pazzi.

Turner Tintern AbbeyIn realtà se si è capaci di lasciare quando la fatica è un po’ troppa, saltare qualche pagina e riprendere, la cosa è perfino divertente: perché permette di confrontarsi in maniera protetta con una sensibilità che ci è normalmente estranea e che etichettiamo in maniera imprecisa: romanticismo, per esempio. Su Anobii ho parlato di heightned senses – i protagonisti sono sempre commossi di fronte alle meraviglie della natura, piangono facilmente, declamano poesia in contesti incongrui – e volevo dire sensualità esasperata e sentimentalismo: Giuseppe Ierolli, che è uno che ne sa, mi ha amabilmente indirizzato all’espressione esatta:

Sulla figura della Radcliffe c’è un bel libro di Beatrice Battaglia: “Paesaggi e misteri. Riscoprire Ann Radcliffe”, dove la tesi di fondo è che l’autrice più che la regina del gotico sia stata la regina del “pittoresco” di gilpiniana memoria.

Io manco sapevo chi fosse Gilpin (è per questo che sto su Anobii, per imparare dai migliori di me), ma ho messo la Battaglia in wishlist e trovo la precisazione del tutto esatta.

Dal pittoresco all’esotico

In questo senso si può perdonare alla Radcliffe un altro notevole difetto, che è la combinazione di anacronismi e anatopismi: in Guascogna ci sono le palme, confini e delimitazioni geografiche sono quanto meno fumosi, il romanzo è ambientato nel XVI secolo ma i personaggi pensano, agiscono e sono immersi in una cultura materiale come se fossero nella stessa epoca dell’autrice, e così via.

Come per il romanticismo esasperato, alla fine la cosa non è seccante, ma divertente, laddove si riconosca il ruolo seminale di un romanzo come Udolpho e le difficoltà che la Radcliffe ha dovuto superare. Anche qui una mia amica anobiana, Emma, mi ha fornito la chiave di lettura e mi sembra opportuno lasciarle la parola:

Io mentre leggevo Udolpho, pensavo a Salgari, e a tutto quel sud esotico che ha scatenato la sua fantasia! E che fantasia! Mi sono vista una signora, che si è documentata (come meglio poteva), del suo Sud… Ha letto i resoconti di pellegrini che attraversavano le Alpi e l’Appennino: racconti macabri e oscuri […] anch’io ho sorriso per tutto l’esotismo descritto nel romanzo, ma….vogliamo sottilizzarci??? Quante piccole imprecisioni ci sono in quei bellissimi romanzi di Salgari? È un romanzo d’invenzione e di suggestione!

Pensa a quella donna, sola nel suo salotto buio, che si lascia imprimere da tutte le suggestioni causate dall’Orrida Italia …. e ne trae un romanzo denso (faticoso, sì), lugubre, ma alla fine assolutamente realista… una donna-scrittrice che viene tutto sommato, sottovalutata.

Un romanzo “importante” e il linguaggio che rimane

I misteri di UdolphoCon la specificazione che io sono ancora agli inizi e mi riservo il giudizio, per il momento non saprei trovare parole migliori e sottoscrivo volentieri quel che dice Emma, compresa la notazione sul fatto che parliamo di un’autrice donna.

Ma soprattutto non ho usato a caso, prima, la parola seminale. È difficile da spiegare, ma per il momento leggendo mi rendo conto che in questo romanzo, pieno di errori com’è, pieno di ingenuità com’è, ci sono dentro delle idee, sulla narrazione, sulla costruzione della trama, sui personaggi, che sono pesanti.

Sarà perché ho appena ripreso in mano Manzoni per Oggi parliamo di libri (a breve posto la puntata) ma sono sicuro, passabilmente sicuro, che senza Udolpho non ci sarebbero stati I  promessi sposi. Non saprei citare un passo esplicito, un nesso evidente aldilà della vicinanza cronologica e del fatto che sono entrambi romanzi storici, ma leggendo si capisce: non so spiegare meglio ma è così, fidatevi.

E infine, si trova sempre un passo da citare

Una decina di pagine prima del punto in cui sono arrivato c’è un episodio, apparentemente casuale. Uno dei personaggi, Valancourt, trova una famiglia di pastori (bucolica, ovviamente) e, per una serie di vicende, fa loro una grossa beneficenza che comporta un evidente sacrificio personale. La Radcliffe si sofferma minutamente su tutti i vari morti dell’animo del personaggio: esitazione, slancio, gioia pura dell’aver dato disinteressatamente.

Ora, non so se l’episodio è inserito come premessa di futuri sviluppi nella trama, per definire meglio il carattere di Valancourt o per un gusto del bozzetto patetico: lo scoprirò più avanti, immagino. Ma improvvisamente mi sono immaginato sensibili giovinette settecentesche che, dopo avere versato qualche lacrima, immagazzinavano nella memoria l’episodio e lo usavano per spiegare se stesse e il mondo: «Cara Fanny, non so spiegarvi come mi sono sentita in quel momento, ho provato una gioia pura come quella di Valancourt nel libro della signora Radcliffe che leggevamo insieme l’altra sera, dopo che dona il suo denaro a quel povero pastore».

Io e il mio amico Giorgio Astara per anni abbiamo usato, per capirci al volo, il Signore degli Anelli: il tale è un Oscuro Signore, gli orchetti, gli hobbit. Non c’entra che Tolkien sia uno scrittore infinitamente migliore della Radcliffe e il suo libro a eoni di distanza da Udolpho: entrambi sono ricchi di materiale purissimo utile per costruire linguaggio e sensibilità comune (cioè: criteri di interpretazione della realtà)  fra i loro lettori. Non ci avevo mai ragionato, ma credo che sia una caratteristica distintiva del buon romanzo, anche (forse: soprattutto) dei buoni  romanzi d’avventura (mi sa che questa me la rivendo prossimamente alla radio – dopotutto i Greci si educavano su Omero). E insomma, un romanzo capace di fare questo non può essere così male: forse di Udolpho  alla fine non mi leggerò cinquecento pagine su settecento, ma perfino seicento, va’.

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4 pensieri riguardo “Gotico, romantico: Udolpho

    • … non ho pensato ai Promessi Sposi …non lo abbandonare però, arriva alla fine del romanzo , e troverai tutto il materiale per i migliori feuilletons dell’epoca 🙂

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      • Ma certo che arrivo alla fine: ma magari salto una pagina ogni dieci, e non una ogni sei-sette 😉
        Ancora grazie per l’immagine della Radcliffe, nella penombra delle giornate inglesi, inseguire la fantasia verso lidi più assolati: a quel punto si perdonano gli aranci in frutto durante la vendemmia 😉

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  • Pingback: L’isola del tesoro

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