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Ma esattamente, cosa state facendo?

Stasera inizia un trittico di iniziative del gruppo locale dei soci di Banca Etica che si snoderà fra Cagliari e Iglesias e per il quale lavoriamo da mesi, con grandi fatiche.

Parentesi, assolutamente fuori tema: tutte le volte che si parla di fatiche, mi viene in mente un brano bellissimo di San Paolo, dotato di un crescendo fantastico da un punto di vista letterario e che è utile a ispirare modestia in tutti quelli che fanno lavoro di animazione sociale:

Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. 

2 Cor, 11,23b-29a

Diciamo: io posso vantare solo i viaggi innumerevoli, e anche in quel caso il tragitto fra Cagliari e Iglesias, per quanto ripetuto, non equivale certo alle traversate dell’Asia Minore a piedi.

Ma divago. Lo scopo di questo articolo, in realtà, non è tanto raccontare cosa stiamo facendo

E comunque è questo, che stiamo facendo

quanto il perché lo stiamo facendo, cosa che mi sono reso conto non abbiamo detto esattamente da nessuna parte.

Un passo indietro

Da un punto di vista pratico, questo perché sembrerebbe facile da spiegare.

Ce l’hanno chiesto.

I Coordinatori dei gruppi dei soci del Centro Italia di Banca Popolare Etica ci hanno chiesto di organizzare a Iglesias una edizione delle Scuole Popolari di Economia.

Ma già questo richiama un altro perché: cosa gliene importa a un socio di Banca Etica che vive, poniamo, a Senigallia, del Sulcis-Iglesiente?

Beh, ci sarebbe il non trascurabile particolare che la Banca è una cooperativa e che i soci sono stretti da un rapporto mutualistico. Sarebbe già una spiegazione sufficiente, ma anche un po’ vaga.

Più chiaro è il fatto che tutte le volte che Banca Etica pubblica il suo studio sull’esclusione finanziaria, la zona del Sulcis-Iglesiente risulta ai primi posti. Per una Banca che nel suo Statuto dichiara il diritto al credito come diritto umano non è proprio una cosa da nulla.

E poi a Domusnovas c’è la fabbrica di armamenti della RWM, e come sapete questo è un tema che attraversa il nostro lavoro a più livelli: dall’azionariato critico a Berlino alla partecipazione alle attività del Comitato Riconversione RWM.

E quindi quando i soci del Centro Italia guardano alla Sardegna Meridionale ci vedono un sacco di cose che attengono al senso primario del perché Banca Etica esiste.

E ci chiedono di organizzare propri lì una edizione delle Scuole Popolari di Economia.

A quel punto la palla è passata a noi.

Che abbiamo deciso di fare cose che loro forse non si aspettavano.

Economia che crea, economia che distrugge

Una delle prime scelte che abbiamo fatto, quando si è cominciato a lavorare, è stato quella di decidere di non parlare di commercio internazionale di armi, e nemmeno di geopolitica del caos. In parte dipendeva dal fatto che erano temi che, allora, erano stati appena discussi sul territorio da convegni e dibattiti organizzati da noi o da altri, e sembrava un approccio ripetitivo.

E abbiamo anche deciso, con poche esitazioni, di non parlare della RWM. Qui la decisione non era tanto legata al fatto che non ci fosse più niente a dire (infatti ce ne sarebbe, eccome) quanto all’impressione che il dibattito fosse ormai incagliato in una polarizzazione nutrita di argomentazioni ripetitive sempre uguali. Avremmo potuto fare un convegno o una attività che suscitasse entusiasmo nell’area pacifista, ma che non avrebbe interessato nessun altro, e non era quello che volevamo.

Parentesi: il gioco delle coincidenze qualche volta aiuta. Questa decisione è stata presa un sacco di tempo fa e forse non sarebbe stata più così giustificata adesso rispetto a quando abbiamo cominciato a lavorare, ma pochi giorni fa a Cagliari c’è stato l’ottimo convegno nazionale organizzato da Pax Christi in occasione della Marcia della pace di Capodanno: l’uno e l’altra hanno assolto perfettamente al compito di ridare un’occasione di incontro all’area pacifista e riaprire il discorso sulla RWM, consentendo al territorio di cogliere, in un certo senso, due piccioni con una fava.

Deciso cosa non volevamo fare, restava da decidere cosa, invece, volevamo fare.

Credo che la risposta più precisa, e la decisione più giusta che abbiamo preso, sia stata quella di sapere di non sapere. Probabilmente il Sulcis-Iglesiente ha già avuto la sua dose sufficiente di cagliaritani con la ricetta in tasca. Probabilmente la riconversione del territorio non è cosa che possa essere trattata come un problema da tecnocrati con la ricetta in tasca. Probabilmente, in un territorio sui cui problemi si dibatte ormai da decenni nessuno ha la ricetta decisiva, in tasca o altrove.

E quindi volevamo che le persone potessero esprimersi e parlarsi. Però non volevamo che la discussione fosse generica, o retorica, o fine a se stessa. E non è che noi non abbiamo le nostre idee o la nostra identità: è chiaro che una banca che ha Etica nel nome ha già deciso da che parte stare.

Economia che crea, economia che distrugge esprime tutte queste intenzioni: non dà ricette, ma dà per scontato che ci siano alternative che producono effetti molto diversi: puoi creare o puoi distruggere, puoi creare il male o il bene. Pensiamoci insieme.

E Cagliari?

Per quanto ampio, Economia che crea, economia che distrugge comportava anche delle rinunce. Tutta una serie di cose comunque sarebbero per forza restate fuori. Per esempio per quanto riguardava l’identità della Banca e di noi che organizzavamo l’evento. E anche da un punto di vista geografico, se aveva il pregio di valorizzare un territorio periferico, però poteva tagliare fuori la città dove, dopotutto, vive la maggior parte dei soci della Sardegna meridionale. Il problema non era togliere a Iglesias per dare a Cagliari, ma dare spazio a tutti.

Da subito, insomma, abbiamo deciso che gli eventi di Iglesias avrebbero avuto un’anteprima a Cagliari. Questo voleva dire, in qualche misura, dilatare i tempi, rischiare di creare confusione nella pubblicità, bloccare la gente che sarebbe venuta da fuori per un lasso di tempo maggiore, gestire trasbordi, però in questo modo ci sembrava (ci sembra tuttora) più equilibrato.

E una delle cose che mi porto via da questa faticosa organizzazione è che l’equilibrio della ideazione e della composizione è (quasi) tutto quello che importa, a costo di apparire squilibrato tu, o muoverti continuamente nella precarietà organizzativa.

Credo che la presenza di Anna Fasano, ovviamente, ci aiuti a esprimere questo equilibrio: nel rapporto coi soci, che possono conoscere direttamente la nuova Presidente, nella manifestazione della identità della Banca prima di tutto attraverso chi la rappresenta e ne è responsabile, nel dialogo ideale fra l’evento di oggi, dedicato alla finanza al femminile e il tema principale che lega tutto il fine settimana.

Certo, nel gioco finale questa scelta eclissa, forse eccessivamente, il fatto che la Banca porta a questi appuntamenti tutta una serie di altri protagonisti, funzionari, dirigenti, responsabili dei gruppi dei soci, Marco Piccolo che è il Presidente della Fondazione Finanza Etica che materialmente ha permesso che questo evento delle Scuole Popolari prendesse vita. Ci potevano essere in astratto altri modi di dare visibilità a questa dimensione di pluralità di protagonismi che è tipica di Banca Etica: il rischio, però, era quello di occupare troppo spazio e ridurre gli spazi per il territorio; l’equilibrio che abbiamo trovato passa, come è giusto che sia, per la Presidente.

La questione dei linguaggi

Durante la preparazione, nel frattempo, ci siamo persi un sacco di cose per strada, come sempre succede: parti per fare mille, arrivi a cento. Una delle cose che ci siamo persi, ma che inizieremo a costruire appena passato questo fine settimana, è quello di un approccio più laboratoriale a determinati settori: per esempio c’è un sacco di gente, nelle nostre reti, che lavora nella filiera del grano, e vorremmo farli incontrare, conoscere, confrontarsi.

Una cosa che invece avevamo chiarissima dall’inizio, ma che è rimasta in maniera molto incompleta, era quella dei linguaggi. Fare la maggior parte della edizione locale delle Scuole popolari di economia senza conferenze, ma con altri linguaggi (dal cinema alla preghiera) sarebbe stato bellissimo. Così com’è, è rimasta solo la passeggiata lungo parte del Sentiero di Santa Barbara, che comunque sarà una bella cosa, e per il momento va bene così: almeno il cinema siam sicuri che lo recupereremo più avanti, e il resto si vedrà.

Un’ultima cosa, in punta di piedi

L’ultima scelta, decisiva, è stata quella di affidarci ai partner locali. Ci sono stati momenti in cui, senza alcun dubbio, non eravamo d’accordo con le loro scelte. Il punto di svolta è stato quando, col GIT, ci siamo detti che era il loro territorio e che era giusto che, pur nel dibattito fra differenti visioni organizzative, facessero come volevano, se no tornavamo alla storia dei cagliaritani con la ricetta in tasca. Poi, certo, ci siamo fatti aiutare a stendere gli inviti e a leggere il territorio anche da tante altre persone diverse appartenenti alla nostra rete e non tutte neanche del Sulcis-Iglesiente, però il pallino generale l’abbiamo tenuto lì.

Devo dire che, in questo lavoro di riunioni, contatti e colloqui vari, oltre che nel resto del lavoro organizzativo, ho scoperto molte cose e molto modificato la mia idea del territorio. Il dubbio che mi porto via, in un certo senso, non è più quello della ricoversione (o della ri-generazione, o dello sviluppo territoriale, ognuno sceglie il nome che preferisce) quanto quello del conflitto.

Lo metto come dubbio, perché se no sono di nuovo il cagliaritano eccetera. Quello che però mi sembra è che, sotto una dimensione solidale dove tutti si conoscono, dove l’associazionismo è forte e il tessuto sociale reso più coeso dall’eredità industriale e mineraria, il territorio è imbottigliato in un conflitto perenne, a bassa o bassissima intensità ma multiforme e pervasivo, che appena può salta fuori prendendo le forme più disparate: ambientalisti contro antiambientalisti, operaisti contro antioperaisti, industrialisti contro antindustrialisti, a favore o contro del Piano Sulcis, e così via.

Dopo questo fine settimana, continueremo a lavorare nella zona. Ce lo siamo promesso e ce lo prendiamo come impegno. Credo che quando, fra un annetto, magari scriverò un nuovo articolo per spiegare il perché di questa o quell’altra iniziativa, questo tema del conflitto sarà ai primi posti nelle motivazioni.

O forse no, perché i cagliaritani non hanno tutte le ricette in tasca. Come per questa occasione, sarà meglio chiedere ai partner locali cosa ne pensino.

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