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Se nemmeno te ci credi…

Ci sono momenti nella vita che sono poetici, anche poetici-tragici poetici-grotteschi, come nessuno sceneggiatore potrebbe immaginarli.

Karma, direbbero quelli.

Sentite questa storia.

Siete un piccolo gruppo inglese di sviluppatori indipendenti di videogame. Se non sapete cosa vuol dire indipendente in questo contesto, pensate al cinema – regista indipendente – e moltiplicatelo per cento. Talento, passione, voglia di fare qualcosa di artistico, magari strafottenza o ingenuità.

Bene. Avete per la mani una grande idea di gioco. La vostra idea di gioco. E, guarda un po’, la Sony è interessata. In realtà non solo la Sony: il pubblico è interessato.

Anzi, il pubblico è molto interessato: nei due anni nei quali il vostro progetto prende forma il pubblico vi sta sempre più vicino, sempre più attorno, sempre più eccitato, sempre più pressante.

Perché il gioco che state facendo promette moltissimo: un viaggio di esplorazione spaziale che catturi l’eccitazione e l’ottimismo della grande fantascienza. Una galassia unica, generata man mano da un algoritmo che è in grado di creare quinzilioni di pianeti tutti diversi, popolati da ecosistemi e condizioni climatiche distintivi. Quinzilioni di sistemi solari unici da condividere con tutti gli altri giocatori.

E tutti vi stanno attorno. Così attorno che, forse dopo avere un po’ ecceduto nel generare voi stessi l’attesa, sentite il bisogno di tirare il freno. «È solo un gioco», dite. Un gioco di nicchia. Un gioco adatto solo ad alcuni. Un gioco un po’ nerd. Calma, ragazzi.

Troppo tardi.

Troppo troppo tardi.

Le ultime settimane sono un delirio. Sarebbero un delirio per l’uscita di qualunque gioco così grosso, così atteso, con milioni di cose da sistemare all’ultimo momento. Ma per voi sono una via crucis: copie rubate, anticipazioni pirata che fanno vedere che il gioco non funziona, polemiche per fughe di notizie che affermano che il gioco non ha alcune delle caratteristiche promesse, come l’opzione multigiocatore, accuse di pubblicità ingannevole.

Una centrifuga mediatica.

Perfino una contesa con Sky perché il vostro gioco si chiama No man’s sky (“cielo di nessuno”) e ci potrebbe essere una infrazione del loro marchio registrato.

Roba malsana che esce dal ventilatore a getto continuo.

E alla fine il gioco esce. E vende moltissimo.

Perché è magnifico, sontuoso. E attesissimo, l’ho già detto?

È pure bruttino, dicono.

Cioè, tanto di cappello, per carità, maaa… il gioco dov’è? Un po’ ripetitivo, dicono. Poco intrigante, dicono. Ti sbattono addosso perfino i fiocchi d’avena: se tu produci milioni di scodelle di fiocchi d’avena tutte differenti… sono pur sempre scodelle di fiocchi d’avena. Quinzilioni di pianeti ai fiocchi d’avena non sono esattamente quel che il pubblico attendeva con tanta ansia.

Gente senza cuore.

E parte una tempesta mediatica che al confronto quella precedente è nulla. Polemica feroce. C’è perfino chi dice che hai chiuso bottega. No, dice qualcun altro, non hanno chiuso, ma gli uffici sono disabitati perché gli sviluppatori hanno paura dei fan e lavorano da casa.

Voci, insinuazioni, delirio.

E tu reagisci da animale ferito. Non parli più coi fan. Letteralmente: da quando è uscito il gioco non sei più sui social, non intervieni da nessuna parte. Non parli coi giornalisti, non fai più dichiarazioni. Lavori a testa bassa, correggi i bachi, correggi gli errori, prepari un grosso aggiornamento che migliori il gioco. Lo fai uscire dopo tre mesi, sopportando il fatto che anche se il gioco migliora, sensibilmente migliora, ormai quello che hai per le mani è un giocattolo rotto, un incantesimo che si è rivelato doloroso.

Passa il tempo. Continui a stare zitto. Lavori. Sono passati in tutto sette mesi e mezzo da quando è uscito il gioco. Il mondo va avanti.

Arriva la Game Developers Conference, l’appuntamento videoludico mondiale più importante, il congresso degli sviluppatori.

Ci vai. Stringi mani, partecipi a conferenze, tieni seminari, incontri gente. Discuti. Tieni un profilo basso? O alto? Stai meglio? Sei ancora ferito? Chissà.

Ma quando viene il momento della consegna dei premi, i riconoscimenti annuali che gli sviluppatori si danno fra loro, tu e il gruppo della tua piccola casa indie ve ne andate a cena. E a tavola discutete di quanto vi sarebbe piaciuto, l’anno scorso a questa data, immaginare di ritirare uno di quei premi. L’anno scorso sentivate la pressione, stavate per pubblicare, poteva andare in qualunque modo. Potevate vincere un premio. Quest’anno l’unica cosa di cui potete discutere è che sicuramente voi, un premio, non lo vincerete.

In quel preciso momento gli amici vi avvisano.

Avete vinto un premio. Per il gioco più innovativo. E voi non c’eravate. È stato un momento imbarazzante. Il presidente della giuria chiedeva: «Non ci sono? Non viene nessuno?». Silenzio. Sguardi smarriti.

Avete vinto un premio e fatto un’altra figura di palta.

Già la stampa è scatenata.

La notizia non è che avete vinto. È che non c’eravate.

In lontananza, sentite una gigantesca centrifuga che si rimette in moto.

Karma.

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