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Diari di progettazione: le cose che mi sono portato dietro per parlare di conflitto

Il 30 aprile i soci di Banca Etica hanno fatto una giornata di formazione, nella sempre accogliente Domu de sa Contissa di Selegas, sul tema del conflitto.

Non era, nelle intenzioni, un incontro di formazione sulla gestione del conflitto, tanto meno sulla gestione nonviolenta dei conflitti, per quanto quello fosse evidentemente il panorama culturale, esplicito o implicito, dei partecipanti. Quello che ci eravamo ripromessi di fare era di esplorare il concetto di conflitto, ponendo eventualmente le basi per un percorso successivo.

E il formatore, nell’occasione, ero io. Questo articolo serve a raccontare come mi sono preparato e una serie di altre osservazioni a margine dell’incontro, senza insistere particolarmente su come si è svolto e cosa è stato fatto. In origine volevo semplicemente pubblicare la bibliografia dei testi utilizzati, poi l’articolo pian piano è diventato qualcos’altro di non ben definito, come vedrete.

Un tema da dinosauri

Questi erano già introvabili appena pubblicati

Fra tante attività formative che ho condotto, prima in Azione Cattolica e poi in Banca Etica o coi Fabbricastorie, non ne avevo mai fatto una sul conflitto: decine sui gruppi e le loro dinamiche e una serie di temi collegati, e tantissime sui vari temi specifici delle diverse organizzazioni, ma sul conflitto direttamente niente. Avevo però partecipato a diverse attività condotte da altri, pensavo di avere un’idea chiara di quello che volevo dire e, per verificarla, sapevo di avere a casa un certo numero di testi sull’argomento accumulati negli anni.

Con mia sorpresa, quando ho iniziato a studiare mi sono reso conto che la mia bibliotechina era composta, per quanto riguardava l’argomento in sé, quasi esclusivamente da testi ormai fuori circolazione.

Ohibò.

Ho pensato: «saranno stati sostituiti da qualcos’altro». Ho dato un’occhiata al materiale equivalente disponibile, e in realtà non c’è un materiale equivalente: l’impressione è che quell’editoria sui temi del conflitto che originava dall’attivismo sociale, e che riteneva la riflessione in materia una necessità per chiunque operasse dentro un’organizzazione, e un prerequisito per la conduzione di lotte sociali e politiche, si sia sostanzialmente esaurita. Il che è sorprendente – se ci si pensa – perché il conflitto sociale non sembra propriamente esaurito anch’esso. Quello che è sparito, forse, è quel tipo di formazioni sociali che facevano attività sociale e politica in un certo modo, e con loro la consapevolezza di una disciplina e un metodo necessari durante le lotte (e questo a occhio corrisponde al livello di rabbia sociale che si riscontra, che viceversa è massima; rabbia e disciplina si negano a vicenda), ma dicendo questo magari mi sto allargando troppo e insomma, prego la Corte di non tenere conto della mia sociologia di terza mano.

Quello che però mi sono portato via dalla preparazione dell’incontro, insomma, è che parlare di conflitto e parlarne in un certo modo è un po’ roba da dinosauri – o da boomer, insomma. Il campo è ora occupato in buona parte dagli aziendalisti, ma il materiale che producono – quello che ai tempi dell’Azione Cattolica chiamavamo animazione nera – per chi continua a fare attività sociale, o vuole riflettere su lotte sociali e politica, è sostanzialmente inutile e, spesso, direttamente controproducente..

Un’ultima nota: abbiamo assistito in questi ultimi tre mesi a una grandissima crisi del pacifismo storico italiano. Se il mercato editoriale è affidabile, vorrebbe dire che negli anni recenti l’elaborazione culturale di quest’area si è fermata, o più probabilmente ha continuato a rimasticare stancamente se stessa, e quindi forse la sconfitta brutale di questo periodo non è sorprendente. D’altra parte, non vale solo per l’area pacifista, ma per molti altri, e gli ultimi quattro anni ci stanno mostrando una sconfitta dietro l’altra e un pezzo dei nostri mondi dopo l’altro che si rivela non all’altezza.

Parentesi: riflettevo che Enrico Euli è uno dei pochi che ha visto un sacco di roba sua uscire dal mercato e ha continuato però a scrivere e pubblicare, e non rimasticature ma materiale che evolveva con la sua riflessione. Massimo rispetto.

Per chiudere osserverò che a partire dall’incontro e dalle riflessioni che mi ha suscitato a me sembra che la riflessione sul conflitto, e più in generale sul rapporto fra organizzazioni sociali e metodi di azione, e sul rapporto fra mezzi e fini di azione sociale, sia una campo di lavoro abbandonato, e immenso, e necessario, e mi piacerebbe continuare a frequentarlo, anche riproponendo l’incontro altrove.

Ah, e questa è un’occasione buona come un’altra per fare coming out: sto scrivendo un libro di sei giochi di comitato sui conflitti ambientali.

Sorpresona.

Studiare fa male

Studiare fa molto male. Ripensandoci, avevo un mio programma in testa e un po’ di cose da dire, basate sull’esperienza e sulle mie convinzioni personali e arricchite dal fatto che per gli ultimi tre o quattro mesi in tutte le mie varie riunioni e incontri e attività analizzavo ogni cosa chiedendomi se potesse avere a che fare con l’argomento, aggiungendoci anche la catalogazione in sottofondo di quello che mi veniva raccontato da altri.

Però avevo un po’ di sindrome dell’impostore e quindi mi sono messo a leggere sistematicamente, facendo malissimo. Avrei dovuto spizzicare i classici per fargli fare il loro mestiere, che è quello di farti sembrare nuove e interessantissime cose che avevi già letto e sempre dato per scontate, e puntualizzare i vecchi pensieri con sangue nuovo. Invece mi sono messo a studiare, col risultato di trovarmi senza abbastanza tempo per aver fatto sedimentare e distillare le letture, e avendo così un gran guazzabuglio in testa, in cui il consolidato e il recente erano… in conflitto pure loro.

Qualche tempo prima dell’incontro avevo scritto in una chat di WhatsApp con il mio socio e compare Andrea Salidu che i temi rilevanti, da far emergere appena possibile, mi sembravano questi (li riporto esattamente come li ho scritti là, per dare un’idea):

  1. il concetto di posta in gioco (e le tre poste principali nei gruppi: potere, identità, affetto)
  2. il concetto di agenda
  3. definizione di conflitto come posta in gioco + altro (coinvolgimento emotivo)
  4. competere a collaborare o collaborare a competere
  5. giochi senza regole e regole senza gioco
  6. il framing
  7. eludere, nascondere o mascherare il conflitto; buonismi vari
  8. escalation (su cui c’è tutto un mondo di cose da dire)
  9. colpevolizzazione dell’avversario solo perché entra nel conflitto
  10. quando entrare in conflitto e quando no
  11. il rapporto con la violenza
  12. i tre grandi modi sbagliati di vivere il conflitto: a) opportunismo, b) eliminazione dell’avversario, c) conflitto come “problema” da risolvere o “curare”
  13. schismogenesi
  14. se le identità sono fisse, il conflitto ha solo soluzioni win-lose

Immagino che non si capisca niente, ma per me era tutto abbastanza chiaro, per quanto in ordine sparso. Però cercavo un qualche modo di dare una struttura ordinata alle varie suggestioni, e mi sono orientato soprattutto, erroneamente, verso la Grammatica dei conflitti di Daniele Novara (edito da Sonda, vale come prima indicazione bibliografica) che ha una impostazione totalmente diversa da quello che volevo dire. La lettura de Grammatica dei conflitti, che ho portato all’incontro e prontamente prestato – per fortuna è uno dei pochi ancora edito, anche in e-book – si consiglia lo stesso, soprattutto per la parte sul come leggere i conflitti, ma ho l’impressione che fuori del campo familiare e pedagogico la sua utilità sia abbastanza limitata, anche per un certo insistito schematismo.

È difficile avere l’occasione

Avevamo deciso di non fare nessuna attività di formazione frontale, quindi mi sono portato dietro cinque giochi, con l’intenzione di far emergere almeno qualcuno dei famosi quattordici punti di cui sopra a partire dall’esperienza del gioco e dalla discussione dei partecipanti.

Il primo gioco era Dammi la sedia!, una attività tratta da uno dei vari libri di Passaparola o di Enrico Euli: Enrico Euli, Antonello Soriga, Piergavino Sechi, Stefano Puddu Crespellani, Percorsi di formazione alla Nonviolenza. Viaggi in training (1983-1991), Pangea; Enrico Euli, Antonello Soriga, Piergavino Sechi, Reti di formazione alla nonviolenza. Viaggi in training (1992-1998), Pangea; Enrico Euli, I dilemmi (diletti) del gioco. Manuale di training, La Meridiana; Enrico Euli, Casca il mondo! Giocare con la catastrofe. Una nuova pedagogia del cambiamento, La Meridiana; sono tutti introvabili in commercio, ma più o meno ampiamenti disponibili in biblioteche pubbliche, e tutti sono letture molto consigliabili, non solo per chi è interessato al tema del conflitto, che anzi spesso è solo in filigrana.

A questi, per somiglianza di argomento, si può aggiungere Martin Jelfs, Tecniche di animazione. Per la coesione nel gruppo e un’azione sociale non-violenta, Elle Di Ci, di cui ho già parlato, che è anch’esso fuori commercio ma di cui l’editrice offre, curiosamente, il pdf liberamente scaricabile; ho anche usato AAVV, Best of communities VI: agreement, conflict and communication, Fellowship for international communities, una curiosa raccolta di casi pratici e articoli teorici a cura del movimento per il cohousing inglese, materiale vecchio come il cucco ma ancora in circolazione).

Il secondo gioco era una variante dell’asta del dollaro, letta in un qualche testo di filosofia prestatomi da un’amica diversi anni fa e che avevo sempre desiderato riproporre (ho anche perso un sacco di tempo a chiedermi se dovessi proporre una versione del gioco dei falchi e delle colombe e del gioco del coniglio, perché un po’ avevo l’aspirazione di presentare visioni del conflitto di diverse discipline, in questo caso la teoria dei giochi).

Il terzo gioco era una variante appositamente costruita del classico e solidissimo Mondi che funzionano dei Fabbricastorie; speravo di avere tempo per fare un quarto gioco, e avevo con me le bozze di due dei giochi del libro, Muro contro muro e Fammi parlare!! fra cui scegliere al bisogno. Naturalmente il tempo a sufficienza non c’è stato, e ci siamo fermati al terzo gioco.

Io personalmente ho trovato le discussioni sui giochi molto interessanti, ma certo difficili da orientare, e quindi onestamente non so quanti dei temi che avevo in testa siano passati: i partecipanti erano contenti, ma per certi aspetti considero il seminario del 30 aprile una specie di prova generale che suggerisce dal vivo come gestire i temi, scadenzare le attività, quando chiedere di fermare la discussione e su quali concetti concentrarsi.

Cose fuori programma

Al seminario ho messo tutti i libri su una sedia, in esibizione per chi volesse curiosare e tastare con mano. Quello probabilmente più strano era la Laxdæla saga (Iperborea), una saga islandese piena di vichinghi.

Ora, io so benissimo, e l’ho detto a Selegas, che le saghe vichinghe non sono adatte a tutti. Di solito hanno un titolo tipo Saga di Höskuld ma nelle prime dieci pagine si parla di un tizio di nome Þorgeir che vive in Norvegia. A pagina dieci Þorgeir se ne va in Islanda, a pagina dodici alleva pecore, a pagina tredici sposa una che si chiama Guðrún figlia di Helgi e per dieci pagine ci raccontano che anche Helgi viveva in Norvegia ma poi se n’è andato in Islanda a allevare pecore. Comunque finalmente a pagina venticinque nasce Höskuld ma subito ci viene presentato il personaggio di un tizio mai sentito prima che si chiama Froði e vive a Snagastollir (da non confondere con Stegastollir) dove, ovviamente, alleva pecore. Rimaniamo perplessi a leggere la genealogia di Froði (gente che viveva in Norvegia ma si è spostata in Islanda per divergenze con un indovino finlandese) finché a pagina quaranta tutto si chiarisce: durante una festa in campagna per mangiare pecora arrosto Froði compie un oscuro rituale che è anche un insulto mortale nei confronti di Höskuld, il quale, per tutta risposta, pronuncia un paio di pagine di versi incomprensibili, poi prende un osso (ovviamente di pecora) e gli spacca la testa. Seguono una decina di pagine di faida sanguinosa finché un anziano parente di entrambi parla saggiamente al consiglio e tutti fanno la pace, tranne nei casi in cui è tutta una finta e tutti o quasi muoiono ammazzati, a partire dal parente saggio.

Va bene, scherzo, ma il punto qui non è direttamente il valore letterario delle saghe. Il punto è che sono, secondo me, uno dei corpus letterari più rilevanti in cui una cultura si è interrogata sui conflitti al proprio interno, sui meccanismi regolatori, sulla violenza e sul rapporto, in presenza di un conflitto, fra bene della comunità e diritti dei singoli. Non forniscono risposte perfette, ma pongono domande interessanti e per prepararsi a gestire un incontro sul conflitto – o per iniziare a riflettere sull’argomento – hanno un loro (secondo me grandissimo) perché. Naturalmente in letteratura c’è molto altro: non l’ho riletto recentemente, ma un lavoro simile si potrebbe fare, per esempio, anche con I duellanti di Conrad.

Comunque Sun Tzu era cinese e quello è un samurai giapponese

Un altro vichingo che avevo in mente, preparando l’incontro, era Uhtred di Bebbaburg, il personaggio fittizio creato da Bernard Cornwell e ora protagonista anche della serie The last kingdom, di cui mi girava in testa la frase predatoria: «Nella pazzia è posto il cambiamento, nel cambiamento è posta l’opportunità, e nell’opportunità si trovano grandi ricchezze», perché volevo citarlo a proposito di quelli che entrano nei conflitti per opportunismo. Poi ho visto da qualche parte che la frase echeggia una espressione simile di Sun Tzu: «Nel mezzo del caos, c’è anche l’opportunità» (e anche: « Le opportunità si moltiplicano mentre vengono colte»); devo dire che mi sono riletto L’arte della guerra e, secondo me, sono due citazioni del tutto apocrife, comunque il libro l’ho portato lo stesso e messo in esposizione sulla famosa sedia, sempre per l’idea di stimolare la consapevolezza dell’esistenza di discipline diverse che si sono occupate del conflitto, fra le quali il pensiero strategico – oggigiorno nella cultura popolare soprattutto quello orientale – ha certamente un suo posto importante.

Sempre per l’arricchimento disciplinare durante la preparazione dell’incontro ho casualmente preso in mano il libro, curato da Antonietta De Feo, Mirella Giannini, Marco Pitzalis, Scienza e critica del mondo sociale. La lezione di Pierre Bordieu (Mimesis) e devo dire, non avendo mai saputo nulla di Bordieu, che ho trovato stimolante e pertinente l’idea di campo e in qualche modo affine alla visione di conflitto che avevo in testa.

L’ultimo libro, diciamo così, fuori sacco che mi sono portato era Amanda Foreman, A world on fire, Penguin, una storia diplomatica della Guerra di Secessione, non tanto perché tratti direttamente di un conflitto ma perché pensavo che potesse venire fuori il tema della guerra russo-ucraina, volevo un libro da consigliare per riflettere sull’argomento e la Guerra di Secessione mi sembra un termine di raffronto più utile e appropriata di tutti i vari dibattiti sulla II Guerra Mondiale, Hitler e le resistenze.

Violenza e non violenza

Alla fine, per dire che non volevo fare un incontro sulla gestione dei conflitti, il grosso dei testi apparteneva comunque alla riflessione su violenza e non violenza, e insomma, conoscendomi non credo sia strano. Il principale, che per me era stato fondativo molti anni fa, quando preparavo l’esame di Sociologia per l’università. e di cui conservavo ricordi molto precisi, è Johan Galtung, Gandhi oggi. Per una alternativa politica nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele; devo dire che nelle prime pagine Galtung dichiara di essere nato nel 1930 e io ho un po’ avuto un sobbalzo, chiedendomi se fosse ancora vivo (lo è). A prescindere daid ati anagrafici, la lettura denuncia la distanza con quella generazione e i temi (Guerra Fredda, blocchi, minaccia di olocausto nucleare) con cui si è dovuta confrontare – lo so che in qualche modo sono temi che oggi si ripresentano, ma in realtà anche no. L’analisi dei conflitti, e la presentazione della figura e del pensiero di Gandhi, anche fuori di ogni facile agiografia, restano del tutto fondativi anche oggi.

Uno che tenta di aggiornare la riflessione di quella generazione all’oggi è Giuliano Pontara, che firmava già l’introduzione al libro di Galtung, con L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo (la mia edizione è de l’Unità, ma c’è una edizione ampliata delle Edizioni Gruppo Abele); io peraltro, in prima battuta resterei fedele a Galtung, che per quanto datato mi sembra un filo più liberante nelle riflessioni che suggerisce.

Meno utile mi è stato un altro grande vecchio di questa area di pensiero, Gene Sharp, di cui peraltro a casa avevo solo l’agilissimo (cioè: è un libro piccolino) Liberatevi! Azione e strategie per sconfiggere le dittature, ADD.

Non l’ho ripreso in mano adesso, peraltro, ma di Sharp mi sembra comunque opportuno segnalare l’ampio Politica dell’azione nonviolenta, disponibile in pdf nei tre volumi: Potere e lotta, Le tecniche, La dinamica; a me è capitato di tornarci sopra l’anno scorso su richiesta di un’amica insegnante e si tratta evidentemente di un manuale di riferimento molto utile, una summa delle idee di questa corrente di pensiero (con qualche travisamento, forse, o personalizzazione di troppo, ma traduttore e traditore e questo vale anche per i compilatori).

Meno utili, invece, ho trovato (a cura di) Paolo Naso, L’altro Martin Luther King, Claudiana, peraltro molto stimolante nell’impostazione, e Roberto Dall’Olio, Entro il limite: la resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana. La loro natura di raccolta di testi sparsi mi sembrava promettere quel tipo di confronto coi classici di cui parlavo sopra, ma non è scoccato il colpo di fulmine: magari voi sarete più fortunati.

Invece mi hanno fatto una gran compagnia due testi che non appartengono strettamente al filone della nonviolenza, tantomeno gandhiana, ma che in realtà muovono la loro riflessione lungo linee simili: il primo è Hannah Arendt, Sulla violenza, Guanda, un testo datatissimo rispetto agli avvenimenti che commenta fino al punto da essere respingente, e che quindi chiede di scavare un po’, ma la fatica è ricompensata (la mia edizione è fuori commercio, ma per fortuna l’agile libretto viene ripubblicato periodicamente da Guanda).

L’altro testo corrispondente è Amartya Sen, Identità e violenza, Laterza, un altro testo esaurito nella mia edizione ma riproposto in un’altra collana, e anche un altro testo che ragiona su tematiche molto occidentali a partire da un punto di vista, anche rispetto alle cose che si vede che l’autore ha davanti agli occhi mentre scrive, che occidentali non sono per niente (o, perlomeno, non del tutto). Sia il testo di Arendt che di Sen mi hanno aiutato svolgendo quel famoso ruolo dei classici già citato più volte: peccato che nella preparazione finale li abbia molto trascurati a favore di altre letture, maledetta sindrome dell’impostore.

L’ultimo testo del quale mi sembra utile riferire è Pat Patfoort, Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza, ai miei tempie dito dalle Edizioni Gruppo Abele e oggi dalla Pisa University Press (in realtà ho utilizzato anche un più breve pdf estratto da Pedagogia oggi trovato in rete – purtroppo in inglese – e intitolato Nonviolent education).

A me Patfoort piace molto, ha il merito di presentare un modello di analisi dei conflitti e delle loro cause originale e coerente, il cosiddetto modello Maggiore/minore o, più propriamente, Maggiore/minore/Equivalenza, e mi sembra un punto di riferimento migliore su temi come l’escalation dei conflitti e le strategie per una comunicazione nonviolenta o, come direbbe Pino De Sario, una comunicazione ecologica. Ha un po’ il difetto, come peraltro Novara, di partire da un’ottica di pedagogista e quindi di voler risolvere i conflitti preventivamente, però insomma, a fronte dei danni di milioni di altri pedagogisti sono peccati lievi e il suo modello, al contrario di quello di Novara, incorpora coerentemente il tema della violenza – anche aiutando a distinguerne tipi diversi e cause diverse che la originano – e non lo risolve semplicemente spostandolo da qualche altra parte, e questo è un gran punto di vantaggio.

A questo punto siamo arrivati alla fine: buone letture!

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