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Parlare della Brexit da sinistra

L’articolo che segue l’ho scritto per il blog di Cagliari Città Capitale in preparazione a un seminario che ho proposto di fare sulla Brexit ed è pertanto un po’ diverso dal mio modo solito di scrivere, perché ha l’obiettivo di elencare letture consigliate in vista del lavoro seminariale (se ne potevano elencare altre millanta, ovviamente: queste seguono la linea di ragionare sull’argomento “da sinistra”, qualunque cosa questo voglia dire); è anche una delle prime volte che scrivo su un blog molto connotato politicamente e anche questo mi ha un po’ condizionato nella scrittura.

Nei prossimi giorni cercherò di tradurre qualcosa fra i materiali citati, quanto meno l’articolo di Paul Mason di cui discuto alla fine.

***

Cagliari città capitaleA qualche giorno dal voto sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione Europea emerge chiarezza che i votanti si sono divisi lungo linee che un tempo si sarebbero definite “di classe”: i ceti popolari e periferici per il Leave, quelli abbienti e urbani per il Remain. Lo dimostra una bella mappa interattiva del Guardian, i cui dati essenziali sono anche disponibili in italiano, che raffronta la scelta di voto con una serie di indicatori (reddito, istruzione, età, nazione di nascita, professionalizzazione) e che porta alla fine il sito del quotidiano inglese a titolare in un articolo di commento: Se hai soldi voti per restare… se non ne hai per uscire.

Già da prima del voto molti commentatori di sinistra avevano rilevato questa dimensione (sia pure dividendosi fra chi la riteneva una rivolta popolare tout court e chi faceva notare che si trattava più propriamente di un dirottamento da parte delle élite), ma la linea di divisione dell’elettorato è riconosciuta da tutti.

Oddio, da tutti: non necessariamente. Se si guarda ad alcuni commenti che si sono visti in Italia il risultato è sconfortante: c’è stata prima di tutto l’ingenua credenza che il voto sia stato frutto di fraintendimento, o che potesse essere ribaltato da una petizione online: un politologo come Richard Rose fa notare che la percentuale dei votanti è la più alta dal 1992 e che il Leave ha vinto con diversi milioni di voti in più di quelli con cui Blair vinse la sua storica elezione nel 1997 (con i voti presi da Cameron alle ultime elezioni non c’è proprio partita).

Fra i commentatori di sinistra c’è stato tutto questo e molto peggio: quando Luca Sofri scrive che

È successo in passato che la cultura che ci governava e muoveva – parlo di tutto l’Occidente o di una sua estesa parte – regredisse, privilegiando di più l’ignoranza sul sapere, il falso sul vero, rispetto a quella che l’aveva preceduta?

viene irresistibile alla mente Contessa di Pietrangeli

Che roba Contessa all’industria di Aldo
han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti
volevano avere i salari aumentati
gridavano, pensi, di essere sfruttati
e quando è arrivata la polizia
quei quattro straccioni han gridato più forte
di sangue han sporcato il cortile e le porte
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire.

per non citare direttamente Maria Antonietta e il suo mangino brioches.

Ma anche nella sinistra radicale, anche a partire da voci di solito molto rispettabili,  molte risposte hanno oscillato fra la reprimenda teorica (magari condivisibile, ma inutile):

avrei gioito dell’uscita della Gran Bretagna se fosse stato il segnale di un popolo che dichiara di non poterne più di questa politica. Invece no: gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione europea perché vogliono alzare muri ancora più alti da un punto di vista umano e sociale

e la ben nota preoccupazione di sinistra di processare prima di tutto nel proprio campo coloro che non sono correttamente inseriti dentro la linea (argomentando benissimo, peraltro, ma il valore pratico di queste riflessioni è prossimo allo zero).

Eppure la linea di divisione è lì e non si può ignorare e chi riflette nel campo conservatore esprime già analisi che sono convincenti e che contengono in nuce suggerimenti immediatamente operativi:

Questa sintesi senza dubbio condensa e semplifica la risposta delle élite allo shock della Brexit, che è solo una piccola scaramuccia in una nuova guerra di classe nelle società avanzate fra professionisti mobili geograficamente, liberali, istruiti e ad alto reddito e cittadini più radicati, comunitari,  particolaristi e patriottici (o ciò che il giornalista inglese David Goodhart chiama persone di “nessun dove” e persone di “da qualche parte”). Le persone di “nessun dove” non comprendono il profilo delle persone “da qualche parte” nel referendum, e non capiscono che molta gente per bene ha votato per la Brexit a partire da ansie rispettabili come la perdita del senso di comunità o, un passo avanti, la trasformazione del proprio paese, come motivi per decidere il proprio voto. E così le élite hanno pensato al peggio.

Detto tutto questo, per avviare un dibattito a sinistra sulla Brexit si potrebbe usare un articolo dell’editorialista inglese Paul Mason (quello del “dirottamento”). Si tratta di un articolo che si propone di suggerire al leaader  laburista Corbyn una linea politica post-Brexit e ha molti meriti: è operativo e non ideologico, esprime comprensione delle ragioni degli elettori del Leave e non paternalismo, è collocato direttamente dentro un orizzonte di sinistra (addirittura dell’ala radicale del Labour) e ragiona in una prospettiva di azione non tanto immediata quanto di alcuni anni.

L’articolo (e la piattaforma programmatica) ha peraltro una serie di elementi che al lettore di sinistra italiano (soprattutto a uno con il mio profilo demografico: urbano, istruito… ok, magari non giovane, ma io sarei un classico sostenitore del Remain, e infatti lo sono) sembrano anatema: per esempio il controllo dell’immigrazione (non, crucialmente, il rigetto dei rifugiati: il controllo dei flussi di lavoratori). Ma anche così rappresenta un punto di vista fresco e interessante, e uno del quale vale la pena di discutere.

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