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Spie e altre cose stuzzicanti

Churchill's secret warriorsHo finito di leggere in questi giorni Churchill’s secret warriors (I guerrieri segreti di Churchill), di Damien Lewis, edito da Quercus nel 2014.

Il libro, che in sé è piuttosto mediocre, si inserisce in quel filone di ricostruzione storica della vita di una particolare unità d’élite della II Guerra Mondiale, genere che ha avuto in Band of brothers uno dei rappresentanti più noti. Qui l’unità è un gruppo di agenti del SOE, una branca operativa del Servizio Segreto inglese dedita al sabotaggio e alle operazioni illegali in territorio straniero. Gli uomini del SOE di cui si racconta saranno poi il nucleo fondatore della Small Scale Raiding Force (SSRF, la Forza per incursioni su piccola scala, cioè quegli attacchi fulminei destinati a rapire prigionieri da interrogare o a procurarsi altri materiali informativi, per esempio l’attacco a una stazione radio isolata con i suoi brogliacci, cifrari, codici e così via).

Dopo il ’43 la SSRF diventa sostanzialmente la sezione anfibia del SAS, il famoso corpo inglese destinato alle operazioni speciali, si chiamerà SBS e condurrà una guerra senza esclusione di colpi con le guarnigioni greche e italiane stazionate nelle isole del Dodecaneso per poi concludere la campagna sulla terraferma greca. Infine l’unità vede un ultimo sanguinoso epilogo della sua storia nelle paludi di Comacchio nella primavera del ’45, subito prima della resa delle truppe tedesche in Italia.

Il libro è mediocre non tanto perché il materiale narrativo di base non sia interessante: c’è una galleria di personaggi ciascuno dei quali potrebbe essere trapiantato senza problemi in un romanzo o un serial (non parliamo dell’utilizzo possibile in un gioco di ruolo), una serie di missioni mozzafiato e alcuni scenari obiettivamente straordinari, come la guerra nelle isole greche con incursioni portate per mezzo di gozzi di pescatori stazionati in una base segreta in territorio turco, e infine l’intero milieu della SBS, in particolare la Pattuglia irlandese, la sezione più irregolare di una forza già in sé composta di spostati.

Piuttosto si ha l’impressione che le fonti a disposizione di Lewis non fossero abbondanti e che quindi le sue possibilità di racconto siano limitate: non ci sono molti diari personali a cui abbia potuto attingere, pochi documenti ufficiali per costruire il contorno – qui il problema è di ricerca storica, ovviamente – e probabilmente pochi testimoni ancora in vita da intervistare; il libro sembra perciò ogni tanto il tentativo disperato di rivestire un’ossatura di tutto rispetto con quel tanto di ciccia che si è riusciti a raccogliere in qualche modo. Lewis lo fa mentre nel frattempo ci ripete di continuo quanto straordinarie siano le quattro cose in croce che ci fornisce, e questo è alla lunga un pochino irritante.

Andy Lassen
Andy Lassen

Un difetto speculare è legato al fatto che il libro è, come tutti quelli dello stesso genere, molto legato alla figura dell’ufficiale comandante dell’unità: il tenente, poi capitano e infine maggiore, Anders Andy Lassen, un resistente danese che si era unito alle forze armate inglesi e che comandava la Pattuglia irlandese. Lassen è una figura di proporzioni mitologiche che ruba la scena a tutti gli altri (e ci sono parecchie figure straordinarie fra costoro, quindi quando dico mitologico uso la parola non a caso) e ha in più la peculiarità di essere l’unico fra i quattro agenti iniziali del SOE che fondano la SSRF a non lasciarci le penne troppo presto, quindi si presta a diventare il punto focale del racconto. D’altra parte ha lasciato un numero limitato di scritti (il suo diario viene interrotto dopo che dovette sgozzare una sentinella tedesca in una delle prime missioni, le ultime parole sul diario sono la cosa più difficile che abbia dovuto fare in vita mia, e Lassen era un assassino nato) quindi di nuovo Lewis è costretto a lavorare di retorica per mascherare la scarsità di materiale a sua disposizione.

Anche così, comunque, il libro è una lettura piacevole e ha in più alcuni elementi sorprendenti (almeno per me) che spingono a ulteriori riflessioni, magari su testi più approfonditi. Nel titolo ho scritto “cose stuzzicanti”, in realtà sarebbe più corretto dire che sono porte aperte su altre stanze da visitare.

La prima porta: straccioni italiani?

Tutti abbiamo sentito parlare della scarsità e inferiorità del materiale bellico utilizzato dall’Esercito Italiano durante la guerra, no? Curiosamente gli uomini della SBS, saccheggiatori nati, non la pensavano così: e potendo si appropriavano di zaini, scarpe e borracce dei prigionieri italiani, considerati più funzionali del proprio materiale in dotazione. Curioso, no? Naturalmente è un fatto, non un giudizio storico, e il compito della storiografia è proprio quello di discernere i fatti importanti da quelli che non lo sono, ma in ogni caso l’ho trovato interessante. E comunque la cosa non riguarda solo dotazioni di equipaggiamento non bellico: gli incursori si dotano di pistole Beretta quanto più possibile e il sanguinoso scontro sull’isola di Symi è risolto grazie al possesso di un cannoncino Breda “Modello 35” recuperato da una postazione italiana abbandonata. Oh-oh.

Uomini della SBS a Atene dopo la liberazione della Grecia. Non ce ne sono due con la stessa combinazione di armi e uniformi. La foto proviene da una bella serie sul sito del Telegraph

La seconda porta: i saccheggiatori e i torturatori

Già nel racconto sulle avventure dei paracadutisti americani della “Compagnia E” di Band of brothers si capiva che le truppe, soprattutto le forze d’élite che avevano maggiori possibilità, si davano ripetutamente e liberamente al saccheggio, sia di quanto posseduto dai prigionieri sia in danno dei civili, almeno di quelli formalmente nemici. Gli incursori della SBS che operano spesso a lungo dietro le linee nemiche e che si autodefiniscono rinnegati portano la cosa a livelli da razziatori messicani. C’è un po’ di doppia morale, qui, che presenta magari quelle dei soldati tedeschi come spoliazioni e quelle degli inglesi come simpatiche canagliate: non dovrebbe essere proprio così. E parlando di doppia morale nessuno vuole giustificare la Gestapo, ma forse che l’operato del sergente Priestley del Servizio Informazioni che viene aggregato alla SBS con il compito di estorcere con ogni mezzo ai prigionieri tutte le informazioni possibili sia descritto con parole come “cure non troppo tenere” sembra un pochino ipocrita, ecco.

Terza porta: James Bond

Un soldato controlle le sue armi a bordo di uno dei gozzi della SBS
Un soldato controlla le sue armi a bordo di uno dei gozzi della SBS nell’ormeggio segreto turco

La prima parte del libro, la cronaca della missione inaugurale nella quale molti degli agenti del SOE destinati a fondare la SSFR compiono un colpo di mano del tutto illegale in un porto neutrale spagnolo in Africa, sembra un film di James Bond: il capo del SOE è noto con l’abbreviazione M, gli agenti impegnati hanno uno zero davanti al loro numero di riconoscimento che indica il permesso di uccidere mentre in missione…

Non sembra un film di James Bond, lo è. La fonte di ispirazione utilizzata da Fleming per il suo 007 è esattamente quel gruppo di agenti e la loro organizzazione. E infatti a un certo punto compare Fleming stesso, come agente di collegamento fra il comando e questo piccolo servizio supersegreto voluto da Churchill in persona. Le somiglianze sono impressionanti; d’altra parte mi sono chiesto se la scelta di Fleming di utilizzare questo materiale con questa immediatezza, senza mediazioni, sia dovuta alla comodità di avere una serie di elementi narrativi straordinari già belli e pronti oppure alla volontà di cavalcare opportunisticamente la popolarità, negli anni immediatamente successivi alla guerra, di questo gruppo di operativi. Probabilmente un po’ e un po’.

E a questo proposito: un altro elemento classico dei film spionistici è l’agenzia segreta che non risponde direttamente a nessun governo (come in Kingsmen, per esempio). Credevo che fosse del tutto fantasia ma nell’epilogo del libro scopro che dopo la fine della guerra il SAS venne sciolto ma iniziò una vita fantasma sotto l’egida di una associazione privata con sede a Parigi, presieduta da Churchill in persona e destinata a dare la caccia e eliminare quei militari nemici che si erano resi colpevoli dell’uccisione di militari inglesi catturati (in particolare sotto l’ordine di Hitler conosciuto come Notte e nebbia e destinato a far scomparire senza traccia resistenti dei paesi occupati e incursori inglesi catturati: pare che i desaparecidos li abbiano inventati i tedeschi, dopotutto, e magari si sono portati il know how in Argentina).

Quarta porta: atrocità tedesche contro la Grecia (già sessant’anni fa)

Come ho detto una delle parti più interessanti del libro è quella dedicata alla guerra nelle isole greche, nella quale gli uomini della SBS collaborarono a lungo con i resistenti greci. Per me l’esistenza di una resistenza greca così diffusa è stata una (mezza) sorpresa, nel senso che pur non ignorandola sono più abituato (ed è sicuramente così per l’angolo di visuale tipico dell’opinione pubblica italiana) a pensare alla resistenza francese o a quella jugoslava (sappiamo anche qualcosa dei danesi, degli olandesi e dei polacchi, magari per le questioni legate alla deportazione degli ebrei), ma dei greci onestamente mi pare che si parli poco. Così come si parla pochissimo delle atrocità commesse dalla Wermacht come rappresaglia per le azioni dei partigiani. Al primo massacro, dopo un’azione della SBS a Creta, ho avuto un sobbalzo. Dopo il secondo ho mollato il libro e sono andato a controllare sulla rete. Gli episodi simili avvenuti sono tanti, e forse meriterebbero una maggiore conoscenza; c’è stato probabilmente un problema politico: molti dei resistenti greci erano comunisti, e quindi deve essersi sommata l’assoluzione storica dei crimini della Wermacht – i militari “buoni” in opposizione alle SS cattive – maturata nel clima della guerra fredda alla rimozione operata dal regime fascista dei colonnelli greci. Anche così, comunque, sembra un pezzo di storia europea troppo poco noto.

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