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Corpo celeste


A paragone delle polemiche (e apprezzamenti) suscitate da Habemus Papam di Nanni Moretti, è passato quasi sotto silenzio il film Corpo Celeste, presentato nella rassegna di Cannes dalla regista Alice Rohrwacher. Eppure è un film che parla esplicitamente dell’Azione Cattolica, anzi più esattamente dell’ACR.

La trama è abbastanza semplice. Una ragazzina, Marta, torna in Calabria dopo dieci anni passati in Svizzera con la famiglia. La madre la iscrive al catechismo per la Cresima; Marta entra così in contatto con un gruppo di figure ecclesiali palesemente inadeguate: dal parroco, don Mario, più teso alla realizzazione personale che alla cura d’anime, alle catechiste, una serie di figure grottesche che recitano quella che pare proprio una parodia di ACR, ai compagni di catechismo, abbruttiti dalla televisione, fino alle vecchie signore della parrocchia, legate a una religiosità superata e superficiale. Il tutto in una Reggio Calabria da incubo, violentata da uno sviluppo urbanistico dissennato e attraversata alternativamente da discariche ed ecomostri in cemento armato.

Il film ha ricevuto recensioni complessivamente positive (una la trovate qui), alcune delle quali sono state anche capaci di confrontarsi col tema ecclesiale in maniera equilibrata (per esempio qui) mentre altre si sono preoccupate di evitare al film di venire stritolato dall’etichetta di “anticlericale”.

Sui mezzi di comunicazione più strettamente cattolici si segnala un lungo servizio su TV2000, certamente meno entusiasta. Molto poco sulla stampa, certamente meno che per Habemus Papam, eppure la critica di Corpo Celeste è senz’altro più radicale e punta al bersaglio grosso, cioè a quel servizio educativo diffuso che è da sempre l’elemento più significativo della presenza della Chiesa nei territori.

L’impressione è che complessivamente non si sappia come trattare Corpo Celeste: la ricerca spirituale di Marta è presentata come troppo sincera perché si possa accusare il film di sottovalutare il tema della fede, ma i personaggi ecclesiali sono presentati tutti in maniera così negativa e grottesca da suscitare un bisogno istintivo di difesa, se non altro per dichiarare che non tutti i catechisti, gli educatori ACR e i preti sono come quelli presentati nel film. Superare questa ambivalenza sarebbe utile per potersi chiedere se, aldilà di molte esagerazioni e di una certa ingenuità di scrittura, le questioni poste dal film non meritino un’attenzione seria.

È un film che sarebbe bene vedere in AC, magari fra educatori? Si e no. L’impressione è che la sceneggiatura sia stata fatta con un accurato lavoro di ricerca materiale e che peschi esattamente fra i materiali ecclesiali, ma senza una conoscenza diretta di nessuna comunità, perdendo così in credibilità nei confronti di chi potrebbe riconoscersi nei personaggi e nelle situazioni del film.

Un esempio calzante è il terribile canto “Mi sintonizzo con Dio” che viene insegnato ai ragazzi dall’educatrice, e che sembra ricalcato su più di un ban ACR, ma che è così grottesco e disperante da far perdere la similarità; così come nessun nostro educatore minimamente preparato potrebbe riconoscersi nella figura della capo catechista, Santa. In questo senso non è un film “per educatori”, nel senso che parla, apparentemente, di cose diverse dal nostro servizio quotidiano.

Contemporaneamente il film pone alcune domande scomode alla comunità ecclesiale, dall’influenza nefasta della TV e della mentalità “del secolo” assorbita senza alcun senso critico (come il catechismo “Chi vuol esser missionario” che compare ad un certo punto), alla cura della formazione integrale degli adolescenti (che sono, nel caso di Marta e dei suoi compagni, più “oggetti” della formazione che “soggetti”), alla progettualità pastorale. Tutti temi su cui è sempre bene interrogarsi, perché non capiti, come nel caso di Marta, che proprio l’unico ragazzo che vive una seria ricerca di fede venga scacciato dalla chiesa.

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