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Popolarità

Michela MurgiaNell’articolo di Michela Murgia sulla sua candidatura alla presidenza della Regione Sardegna c’è una frase che mi ha colpito.

ProgReS è un partito giovane e dinamico, dove la media degli aderenti è intorno ai 30 anni e la competenza più diffusa è la laurea.

Hmmmm. La laurea.

Io e Michela abbiamo militato nella stessa organizzazione, l’Azione Cattolica (lo fa notare anche Michela quando, nello stesso articolo, successivamente parla di democrazia). Siamo di diocesi diverse ma sicuramente ci siamo avvicendati nello stesso incarico, quello di responsabile regionale del Settore giovani dell’AC, io negli anni ’80 e lei fra la fine dei ’90 e il 2000.

L’associazione che ci ha formato si definiva, ai tempi, con tre parole chiave: unitarietà, democraticità, popolarità. Lasciamo perdere l’unitarietà, che fa riferimento a dinamiche interne legate alla nostra storia; sulla democrazia si esprime bene Michela stessa, come ho detto:

C’è poi la questione della leadership: in politica ho sempre criticato le figure solitarie al comando, espressione di un infantilismo democratico che non intendo perpetuare in me. È la mia storia a non permettere equivoci in quest’ambito: da ragazza mi sono formata nell’associazionismo cattolico democratico e da adulta ho alimentato reti e contribuito a creare sistemi di relazione e di impresa.

Rimane la popolarità, e qui ci siamo meno. “Popolarità” vuol dire l’ambizione di fare un’associazione che, poiché sa di affondare le sue radici nella storia di tutta la società italiana, intende rappresentarla tutta al suo interno: uomini e donne senza distinzioni, tutti i ceti, tutte le provenienze geografiche, città e campagna, e così via.

Dei Presidenti della nostra associazione diocesana, da quando alla fine degli anni ’60 fu riformato lo Statuto, ci sono state due insegnanti, un carrozziere, un funzionario dell’ente di bonifica, un’impiegata statale, un falegname, uno studente e un’archivista, e non tutti erano laureati; se mi allargo agli altri vari responsabili diocesani ottengo uno spaccato più ampio, ma altrettanto variegato, della nostra società locale. E anche questi non erano tutti laureati: si è sempre considerato più importante il radicamento sociale, la popolarità appunto, del titolo di studio.

A me non verrebbe in mente mai di indicare come punto di forza di un partito il fatto che i suoi esponenti siano laureati. Perché ho dei partiti un’idea, evidentemente d’antan, che me li fa assomigliare alle grandi associazioni nazionali, e quindi mi fa pensare che debbano configurarsi sulle stesse misure: militanza, democraticità, organizzazione. E popolarità.

Naturalmente non è una trappola in cui è caduta solo Michela: all’apertura del Parlamento ricordo strane competizioni fra PD e M5S per valutare chi avesse più laureati e l’età media più bassa nei gruppi parlamentari. Dipende dal fatto che il discredito della politica si basa anche sulla promozione ai ruoli pubblici di esimie mezzecalzette, se non di nullità assolute o, peggio, di frutti malsani di pratiche al limite del criminale – l’ha detto adesso Battiato con durezza; oppure sulla permanenza in servizio permanente effettivo di brontosauri immuni a qualunque forma di estinzione. E quindi avere persone giovani e culturalmente preparate diventa per contrasto un elemento di merito.

Però non vuol dire: o meglio, dover fare riferimento a patenti di legittimità “esterne” come il titolo di studio o l’età indica semplicemente che non si è capaci di legittimare la propria proposta politica in altro modo, cioè esattamente tramite il fatto che si è espressione di una parte di popolo che ripone fiducia in te – non so se qualcuno qualche volta si ricorda che Gramsci non concluse mai gli studi universitari per dedicarsi integralmente alla politica. Con i criteri attuali sarebbe meglio Sara Tommasi, che è giovane, donna e laureata. Io francamente mi terrei Gramsci, anche se rispetto a Renzi oggi perderebbe sicuramente il confronto televisivo.

Ma divago. In realtà l’insistenza su Progres, le sue lauree e i suoi giovani poggia su un altro tema, che francamente trovo ormai vecchio – anzi direttamente incartapecorito – e al quale mi stupisce che Michela dia credito: quello della società civile.

Al partito dei militanti, al partito popolare, infatti, che alla fine degli anni ’80 ha mostrato tutti i suoi limiti, si possono contrapporre solo altri due modelli. Il movimentismo, magari carismatico: Berlusconi l’ha incarnato al massimo, ma ci sono ormai diversi epigoni. Oppure la fantomatica società civile. L’idea sarebbe cioè quella che ci sono delle dimensioni di partecipazione, di cura della cosa comune, di vita pubblica ma non politica, “civile” appunto, che vivono appena oltre il confine dei partiti, fuori della militanza ma dentro un quadro di competenze, di “saper fare” la cosa pubblica, che permette di chiamarle in campo senza ulteriori preparazioni e di utilizzarle come personale politico senza sobbarcarsi la fatica, il costo e le controindicazioni della gestione di un partito di tipo associativo, come quello che, per chi è cresciuto nell’Azione Cattolica e nell’idea di popolarità, rimane istintivamente il modello di riferimento.

È esattamente alla società civile che pensa evidentemente Michela quando scrive:

ho quindi l’obbligo di chiedermi se esistano almeno in potenza persone appartenenti a quella classe dirigente diffusa che opera nelle imprese e nelle reti sociali, mai o poco coinvolta nella vita politica, che sia disposta ad assumersi con me il compito di esprimere partecipazione nel metodo e piena condivisione nelle scelte

“Classe dirigente diffusa”. Auguri: va bene criticare il partito alla De Mita. Ma la società civile italiana, negli ultimi trent’anni, non è stata capace di riformare la DC, non è stata capace di rifondare il sistema dopo Mani pulite, non si è saputa opporre a Berlusconi, non ha saputo riformare Forza Italia in un partito liberale europeo, non ha retto botta con la Lega al nord, non riesce a immaginare welfare diversi e al passo coi tempi, è stata complice di riforme sciagurate come quelle della Gelmini, ha affondato Monti – uno che di laureati se ne intende, direi – e non riesce a dare benzina sufficiente a Grillo. Diciamo tanto dei fallimenti di D’Alema, ma al confronto della società civile vanterebbe un palmares da olimpionico, sul genere della Idem… no, ecco, magari la Idem (altra esponente della società civile) meglio non considerarla.

Non sono sicuro di quello che penso dell’indipendentismo, ma sono abbastanza sicuro di quel che penso della politica: e non credo, francamente, che fuori della popolarità ci siano molte strade sicure. Anzi, secondo me nessuna. Certo, ci vuole tempo: costruire un partito popolare, farlo crescere… ma nessuno è mai obbligato per forza a candidarsi proprio questa volta, eh.

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3 pensieri riguardo “Popolarità

  • “Con i criteri attuali sarebbe meglio Sara Tommasi, che è giovane, donna e laureata. Io francamente mi terrei Gramsci…”
    CONDIVIDO IN PIENO L’ANALISI!
    Quello della Murgia è semplicemente un grandissimo AUTOGOL!

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  • Complimenti, ottimo articolo… magari non condivido tutto, ma ci sono tante parti che apprezzo nella profondità di analisi e nella pacatezza espositiva, libera da approcci da piedistallo, si possono scorgere puntualizzazioni non indifferenti, che ancora in altri non hanno fatto. Poi magari, la diretta interessata potrà anche essere quella dei passi in dietro, del ritorno alle origini, del reset istituzionale che se non attuato, rischia di proiettarla verso il massiccio muro della politica di tutti i giorni. Il dietro le quinte non è come apparire in TV. Ci sono politici e politici: non è assolutamente vero che tutto è marcio… chi afferma questo o pensa questo, dovrebbe iniziare a smetterla di seguire solo qualche pettegolezzo giornalistico e DOCUMENTARSI su Monizioni, Interrogazioni e Simili. In Regione ci sono anche persone in gamba. Confermo la sottigliezza dell’ultimo passaggio: “classe dirigente” quasi non si può sentire… si richiama prima a una sorta di populismo civico, di non luogo a procedere del LEADER, e poi ne vien fuori una ipotetica Leader, di un ipotetico partito Leader, che cerca little leaders all’interno delle componenti civiche? E perchè non il macellaio sotto casa, l’operaio disoccupato con 3 figli a carico, la venditrice di pesce al mercato? Non è che questo neo puritanesimo da titolo di studio rischia di generare un circuito elitario, ancor peggio di quello attuale?

    Rispondi
  • Però forse sarebbe bene pensare a delle forze politiche alternative valide…
    Moro, Dossetti, Saragat, De Gasperi, Nenni quando hanno fatto la costituente avevano circa 30 anni e venivano dalla società civile e hanno risposto con progetto serio ad una emergenza, senza slogan e demagogia.
    In questo momento avremmo bisogno di questo:
    pensare ad un welfare sostenibile
    scalzare i gruppi di potere
    Il probleme è che dobbiamo fare in fretta perchè non c’è più tanto tempo

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