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Domande in libertà sull’abolizione delle province

Naturalmente il caso Sicilia è all’attenzione pubblica nazionale per motivi evidenti, e con esso uno dei punti centrali del dibattito politico, l’abolizione delle province, che in Sicilia sembra ormai, al contrario che al livello nazionale, cosa fatta.

In materia non ho un’opinione definita ma parecchie perplessità, e siccome so che fra i miei lettori ci sono parecchi economisti e politologi (absit iniuria verbis) ho deciso di mettere giù i miei dubbi nella speranza che qualcuno me li chiarisca.

Prima di elencarli premetto che do per scontata un’abolizione delle province amministrativamente e costituzionalmente ben fatta: cioè con una legge di rango adeguato, con una chiara attribuzione ad altri enti delle competenze prima spettanti alle province e così via. Non è proprio una cosa semplice da supporre, in Italia, ma diamola per scontata: i miei dubbi vanno più sulla desiderabilità della cosa piuttosto che sulla sua fattibilità, quindi per amore di semplicità mi pare opportuno sgombrare il campo dalle questioni accessorie.

Oh, voi però non passateci oltre così velocemente, eh: molte competenze ambientali, per esempio, sono in capo alle province, quindi le possibilità di far danni anche immediatamente gravi non sono poche.

Abolizione delle province e riduzione dei costi

Il mio primo dubbio riguarda i risparmi legati all’abolizione di questi enti.

Vedo stime molto differenti, alcune riduttive e altre molto più ottimistiche. In mezzo il caso siciliano, dove lo stesso Crocetta, quindi una fonte ufficiale, stima il risparmio in 100 milioni di euro l’anno, che è circa il doppio della stima pessimistica ma molto lontano dai dati migliori.

Però la questione non è tanto questa, nel senso che in tempi di vacche magre si può stimare che anche un solo euro risparmiato sia il benvenuto. Piuttosto mi chiedo esattamente da cosa arrivino questi risparmi: dato per scontato che una parte (minima) siano emolumenti di consiglieri e assessori, spese di rappresentanza eccetera, il resto da dove viene? L’inchiesta della Confesercenti, che indica cifre di risparmio molto alte, parla esplicitamente taglio dei consumi intermedi e del personale

ingenti risparmi si potrebbero realizzare attraverso un graduale riassorbimento dei 63.000 dipendenti provinciali, che attualmente pesano per 2,3 miliardi annui, nella pubblica amministrazione, per mezzo del blocco del turnover e di mancate o ridotte nuove assunzioni

Uhm. Questo vorrebbe dire che gli enti pubblici a cui verrebbero devolute le competenze delle province dovranno svolgere i servizi aggiuntivi con lo stesso quadro organico e le stesse risorse materiali? Doppio uhm: ammettendo che il personale delle province attualmente  non si limiti a scavare buche per poi riempirle di nuovo, una parte di economie di scala è credibile, ma così tanto? Senza che questo comporti un calo della qualità dei servizi erogati (per non parlare della perdita di posti di lavoro).

Un altro grosso risparmio verrebbe da tagli agli organismi partecipati (cioè società a capitale parzialmente o totalmente pubblico che gestiscono servizi per conto degli enti territoriali). La Corte dei Conti li ha definiti recentemente un cancro della finanza locale, e sono (anche) un ricettacolo di parcheggi di vecchi politici trombati, di assunzioni clientelari, di sprechi fuori controllo e di finanza occulta. Anche. Poi gestiscono l’acqua, i trasporti, i rifiuti e così via, quindi non è che li si può abolire tout court, salvo che non si sia per le privatizzazioni a tutti i costi.

Ma mettiamo anche che siano sprechi intollerabili e basta. Ma allora perché non concentrarsi direttamente su questi organismi (operazione peraltro in parte già in corso)? Cosa c’entrano le province? Cosa fa pensare che la cattiva politica diventi improvvisamente buona se a nominare i consigli di amministrazione di, poniamo, il consorzio trasporti montani dell’Ogliastra submontana (per citare un ente spero inesistente) è la Regione e non la Provincia?

Il che ci porta a un’altra questione.

Più partecipazione con l’abolizione delle province?

Il modello siciliano prevede, a quanto leggo, la sostituzione delle province con libere unioni dei comuni.

Diamo per buono il fatto che non sono all’opera astuti gattopardi, e che perciò non saranno le province con un altro nome. Diamo per buono allo stesso modo che non ci sarà la moltiplicazione delle cadreghe, sostituendo le attuali nove province con una trentina di consorzi.

Diamolo per buono: la differenza principale dovrebbe essere che si tratterà di organismi snelli i cui amministratori saranno scelti direttamente dai consigli comunali o dai sindaci e non mediante l’attuale meccanismo elettorale.

La domanda è: esattamente com’è che questo fa aumentare la partecipazione democratica e il controllo dei cittadini sull’andamento della cosa pubblica? Cioè, per capirci: voi ne sapete di più su come funziona la Provincia di Cagliari o il CASIC?

Province e beni comuni

La cosa che però mi lascia più perplesso, perché è una curiosità da economista che non ho trovato nel dibattito generale, è questa: se i consorzi dei comuni non  saranno obbligatori, ma basati sulla partecipazione volontaria, come si evitano i problemi di free riding, o viceversa di abuso di posizione dominante?

Detto in altro modo, prendiamo il caso ben conosciuto in Sardegna del Parco del Gennargentu, che prevedeva l’adesione spontanea dei comuni interessati. Il Parco è fallito per millanta motivi, uno dei principali dei quali è stato che alcuni comuni non hanno voluto aderire, mutilando così in maniera mortale il territorio e il progetto del Parco, fino al fallimento (sul perché non hanno voluto aderire non apriamo adesso il dibattito, quello che mi interessa è il meccanismo).

L’esempio potrebbe valere per qualunque altra cosa. Gli enti territoriali sono ad appartenenza obbligatoria proprio perché nessuno possa fare il furbo, beneficiando di opere pubbliche che non ha pagato, paralizzando per interessi specifici un bene utile a tutta la collettività, vincolando le risorse di un intero territorio a favore della sua parte più forte, e così via. Come questo possa essere garantito da enti a partecipazione volontaria mi è francamente incomprensibile: se qualcuno mi potesse illuminare gliene sarò grato.

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Un pensiero su “Domande in libertà sull’abolizione delle province

  • Gianluca Floris

    Abolendo le province non possono venire eliminate le deleghe che lo stato ha assegnato ad esse che dovranno quindi essere redistribuite fra tutti gli altri enti locali, compreso il personale.
    Quindi l’unico risparmio che ne verrà sarà quello dei consiglieri e degli assessori. Una cifra risibile davvero nel bilancio dello Stato, considerando che la stragrande parte dei trasferimenti di fondi rimarrà, andando agli enti locali ai quali le deleghe verranno trasferite.
    La abolizione delle province è fumo negli occhi populista e senza reale motivazione economica e funzionale.

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