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Basta una ricerchina?

Beffa. Quella qui sotto non sembra ma è una beffa. Bellissima.

Quello che vedete proiettato sul muro è lo stemma del Presidente degli Stati Uniti. Solo che non è lo stemma vero.

Se uno guarda con attenzione nota che l’aquila ha due teste, non una. È l’aquila russa che è bicipite, e l’inserimento non è casuale.

E l’aquila fra gli artigli dovrebbe stringere un fascio di frecce, a rappresentare delle folgori. Invece ha un fascio di mazze da golf. Nell’altro artiglio stringe una mazzetta, e dovrebbe essere un ramo d’ulivo.

Sopra le teste dell’aquila il motto dovrebbe essere, E pluribus unum, cioè “da molti uno”, in riferimento agli Stati Uniti, riunione di molti Stati e di molte genti in un’unico popolo e nazione. Ma se ingrandite vedete che la frase ora è in spagnolo e dice 45 es un titere, cioè “45 è un burattino” (Trump è il quarantacinquesimo presidente dell’Unione).

Se lo stemma è satirico la domanda, ovviamente, è: cosa ci fa Trump lì, davanti a un oggetto che ricorda le sue relazioni coi russi, il fatto che passa una quantità di tempo mostruosa giocando a golf e che lo definisce burattino?

Eh, è perché non lo sapeva. Non si è accorto e, per la verità, non si sono accorti neanche gli organizzatori, una lobby di giovani conservatori. Pare, dice il Time, che dovessero proiettare il simbolo sul megaschermo dietro il palco e, con una ricerchina su Google, abbiano preso il primo che hanno trovato. Peccato che fosse un falso satirico, creato fra l’altro da un ex repubblicano pentito (molto pentito, sembrerebbe).

Mi sono appuntato la notizia qualche giorno fa, quando l’ho vista passare su Feedly: nel frattempo ne ha parlato Il Post e altri. Se ho deciso di pubblicare anch’io la notizia è per condividere due riflessioni.

La prima è che quando si parla di analfabetismo funzionale o incapacità di comprendere ed elaborare immagini e informazioni reperite sulla rete si dovrebbero includere non solo i montanari isolati, le donnette di parrocchia e gli autotrasportatori molisani ai quali sembrano pensare spesso certi intellettuali ma anche stagisti laureati e responsabili di uffici elettorali. Questo tipo di incidenti nei quali si pesca qualcosa su Google e lo si pubblica senza controllare, infatti, sta aumentando esponenzialmente e non può dipendere tutto dal fatto che si lavora in tempi stretti.

La seconda osservazione riguarda, invece, l’aspetto satirico e il possibile sabotaggio come spiegazione dell’episodio, ed è che più politici e celebrità hanno come punto di forza un certo tipo di presenza mediatica, più diventano vulnerabili: lo striscione calato dietro il palco, il photobombing, lo sviamento della simbologia, il meme che travisa sono tattiche di lotta mediatica efficaci.

Naturalmente non sta tutto lì: Trump ha parlato lo stesso davanti a quattrocento giovani reazionari osannanti. Salvini dopo il bacio di qui sopra è comunque cresciuto nei sondaggi per effetto di altre cose che ha fatto. Ma la beffa dello stemma presidenziale nega comunque a Trump la possibilità di rilanciare su Twitter il racconto del successo della manifestazione (o gli restringe gli spazi entro i quali può farlo). Il bacio fa fare a Salvini una figura da sprovveduto. E non va sottovalutato, in questi tempia aggressivi, che è tutto un segnare il colpo e strappare lo scalpo, e come per i Sioux quelli che segnano più colpi hanno già messo in inferiorità morale l’avversario.

Poi, naturalmente, dove ci porti tutto questo, che è solo una ritualizzazione delle botte in piazza fra sostenitori dell’una e dell’altra parte, è tutto un altro discorso, ma qui mi è sembrato segnalare il punto, che non è – attenzione – il fatto che le immagini nella nostra società sono importanti – ma la lotta per poter preservare lo spazio nel quale poter usare le proprie immagini.

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