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Specchi riflessi 3: Lo scaffale dello sceneggiatore

Il Grande Sceneggiatore

Non so come voi vi immaginiate lo studio di uno sceneggiatore. O meglio, dello Sceneggiatore. Ancora meglio: dello Sceneggiatore Supremo, l’Uber-Sceneggiatore.

No, non questi

Io mi immagino un ufficio piccolo e comodo, all’interno di un palazzo enorme, totalmente occupato da archivi che contengono tutte le sceneggiature mai realizzate.  A portata di mano le cose di successo, tipo Game of Thrones. Nei sotterranei le serie che oggi nessuno sano di mente rifarebbe, come CHiPs (mi immagino che quella zona sia nota nel gergo come il corridoio delle serie perdute o qualcosa di simile); le serie fra loro simili conservate vicine: dietro un elmo con le corna poggiato negligentemente su un attaccapanni c’è un armadio pieno fino a scoppiare di storie vichinghe, mentre le storie di poliziotti occupano almeno due piani, divisi per categorie. Nella hall una fila di distributori automatici uno a fianco all’altro dispensa le serie derivate da film di successo o da altri fenomeni mediatici, destinate a estinguersi nel giro di un paio di stagioni. In una cassaforte sorvegliata da guardie armate sono conservate le ricette segrete delle storie che non passano mai di moda e che si possono sempre riproporre con pochi aggiustamenti, tipo Orgoglio e pregiudizio.

E così via.

Quando lo Sceneggiatore ha bisogno, allunga una mano – ha un braccio molto lungo, mi immagino – e pesca una serie che era di moda in Canada nel 1961. Un inappuntabile maggiordomo gli porge uno shaker, lui ci mette dentro la sceneggiatura, aggiunge una serie francese del 2000, un pizzico di sesso alla HBO, un sentore di zenzero e cinema indipendente indiano, tre gocce di costumi del ‘700 inglese, due cubetti di ghiaccio, agita bene e voilà!, la nuova serie di punta per la stagione è pronta.

Non mi spiego altrimenti Miss Fisher’s Murder Mysteries, se non così.

Ah sì, lo ammetto: pensavo di fare una trilogia di articoli sui telefilm della serie Miss Fisher’s Murder Mysteries in tre giorni. L’avevo anche annunciato.

Il nove gennaio.

Oh, questo è l’ultimo dei tre articoli annunciati. Ci ho messo solo solo un mese, il che dimostra che sono il vostro amabile e cialtrone Roberto Sedda di quartiere che tutti voi amate e adorate.

Parentesi: che cos’è Miss Fisher?

Miss Phryne Fisher è un personaggio letterario inventato dalla scrittrice australiana Kerry Greenwood. È una investigatrice che opera negli anni ’20 in Australia e i suoi casi criminali permettono all’autrice di esplorare il clima culturale dell’epoca (e la storia australiana) mentre presenta un garbato personaggio femminile dentro una cornice di enigmi che devono molto agli autori classici: in particolare la combinazione di ambientazioni veriste e talvolta sordide in stile hard-boiled con enigmi alla Agatha Christie – omicidi della camera chiusa, gruppi di sospetti racchiusi in un unico ambiente e altri ingredienti di questo tipo – mi pare richiamare Rex Stout.

Un pizzico di gusto mancante

In realtà la cosa interessante è che la Miss Fisher dei libri e la Miss Fisher della serie televisiva (Miss Fisher’s Murder Mysteries) sono indubitabilmente lo stesso personaggio ma contemporaneamente sono del tutto differenti, un po’ come il rapporto fra il generale Custer di Raoul Walsh (La storia del generale Custer) e quello di Arthur Penn (Il piccolo grande uomo). E la cosa è abbastanza sorprendente perché i gialli della Greenwood avevano tutto per meritare una trasposizione cinematografica: una solida base di pubblico molto variegata che si estendeva dai giovani alla persone di una certa età, una ambientazione non molto frequentata a livello internazionale, una protagonista femminile interessante, un cast di comprimari ben delineato: perché cambiare?

Il fatto, ho l’impressione, è che inizialmente lo Sceneggiatore ha allungato il braccio, ha preso i Montalbano della RAI e ha pensato: «Phryne Fisher la rifacciamo così, all’italiana, con due olive e una insalatina di pomodori e alici».

Aveva ragione: andava fatto così. Hanno anche trovato subito l’attrice adatta, che poteva prestare a Phryne altrettanti tic e particolari quanto Zingarelli a Montalbano.

Poi però, quando lo Sceneggiatore è andato ad assaggiare, gli deve essere sembrato che nel passaggio dalla Sicilia all’Australia qualcosa si fosse perso: quel sole caldo, quel sapore inimitabile di vento e mare, quella cattiveria che Camilleri ha e che alla Greenwood riesce solo raramente.

Però la Greenwood ha il sesso,  e i cucciolotti che Phryne si porta a casa (cioè: nel letto) in ogni romanzo. E quindi lo Sceneggiatore ha pensato bene che si poteva incrociare Montalbano con il softcore della HBO.

Apriti cielo: un pastrocchio indigeribile.

E allora il colpo di genio: lo Sceneggiatore ha allungato un braccio fino al corridoio delle serie recenti e ha pescato Castle. «Faremo un Castle australiano al femminile», ha annunciato. E i suoi assistenti, come i parlamentari di Forza Italia quando Berlusconi racconta una barzelletta, hanno applaudito, rapiti. «È sempre il più forte», hanno pensato. «Altro che pastrocchio».

Castle al femminile

Ok, io non lo so se lo Sceneggiatore esiste, e nemmeno come sia stata scritta la serie di Miss Fisher, ma che sia un Castle al femminile è indubbio. Chi ha preparato l’adattamento ha lavorato su tre fronti: da una parte ha asciugato il cast dei comprimari, eliminando le figure meno presentabili come la prostituta dall’aria efebica e i duplicati (delle due figlie adottive ne è rimasta una, la moglie del maggiordomo è sparita, fra la dottoressa e la pilota d’aereo è stata salvata solo la prima); poi ha reso stabili e ricorrenti alcune figure che nei romanzi compaiono più raramente, come la zia Prudence, a favore del pubblico delle serie che ha bisogno di ripetitività; e, infine, ha risolto il problema della tensione sessuale che veniva a mancare introducendo una relazione sentimentale inespressa, che è nell’aria ma non si dichiara mai, fra Phryne e l’ispettore Jack Robinson: poco importa che nei cinque romanzi della serie che ho letto sinora…

… ah, sì: per poter fare questa trilogia di articoli mi sono procurato i venti romanzi della Kerry e li sto leggendo tutti: sono o non sono il vostro amabile Roberto Sedda di quartiere che si dedica alle cose inutili?

… e dicevo, nei primi romanzi della serie Jack Robinson è felicemente sposato e la sua liaison con Miss Fisher è quindi inventata di sana pianta. Un altro intervento notevole è l’inserimento di un cattivo ricorrente, in grado di garantire la narrazione orizzontale, che nella prima serie è una specie di Hannibal Lecter egittologo e pedofilo (phew!), e nelle due serie successive viene sostituito da altri artifici, anche questi non particolarmente riusciti.

Il risultato? Castle al femminile. Per convincervi provo a elencare:

Richard Castle è uno scrittore molto ricco, Phryne Fisher è un’ereditiera molto ricca,
esperto di tutte le mode del momento, esperta di tutte le mode del momento,
appassionato di gadget tecnologici, appassionata di gadget tecnologici,
che si innamora di una poliziotta affascinante ed estremamente competente, che si innamora di un poliziotto affascinante ed estremamente competente,
che per il suo carattere pieno di buon senso non potrebbe essere più diversa da lui. che per il suo carattere pieno di buon senso non potrebbe essere più diverso da lei.
Padre amorevole, Madre adottiva ammirevole,
ha un rapporto irrisolto con la madre. ha un rapporto irrisolto col padre.

Specchi riflessi al femminile

Ripeto: è Castle. La cosa che però trovo più stimolante è, avendo a disposizione questa trasposizione, provare ad applicare lo stesso metodo dell’articolo che vi ho tradotto su Orgoglio e pregiudizio  e Emma, per vedere cosa succede quando si invertono i generi in una scrittura già piena di archetipi come quella di Castle. Facendo diventare Richard Castle, scrittore, l’Onorevole Phryne Fisher, ereditiera, cosa succede? E cosa si perde e cosa viene aggiunto nell’ispettore Robinson rispetto alla detective Kate Beckett? E come cambia il rapporto fra i due? Il fatto che a gestire i cambiamenti sia un team di scrittura molto convenzionale come quello di Miss Fisher’s Murder Mysteries è particolarmente interessante, perché si può star certi che rappresentano l’opinione generale.

Da Castle a Miss Fisher

Di base i due personaggi sono simili: ricchi ma alla mano, svagati, appassionati alle mode. Castle è un nerd che segue tutte le tendenze pop degli anni 2000; Miss Fisher incrocia anche lei tutti i movimenti culturali più interessanti della sua epoca: il modernismo artistico, i grandi raid automobilistici, gli aeroplani, il circo, i sensitivi e l’occulto e così via; entrambi sono il modo per lo sceneggiatore di mettere in scena i fenomeni culturali più accattivanti a loro contemporanei. Castle non è particolarmente interessato all’apparenza esteriore, però è vanitoso come ci si può aspettare dal grosso bambinone attento al parere degli altri che è; al contrario, curiosamente, per Miss Fisher questa dimensione, che nei romanzi è molto presente con la minuziosa descrizione di abiti, arredi e cosmetici, nei telefilm viene molto attenuata: lo spettatore vedrà tutte le varie mise della protagonista ma raramente Phryne commenterà palesemente il proprio aspetto o abbigliamento, come capita nei romanzi.

La differenza principale, naturalmente, è nella promiscuità sessuale di Phryne, che è già nei romanzi e che è una caratteristica che non appartiene a Castle, il cui dongiovannismo da scrittore famoso e celebrità del jet set tutto sommato è molto più annunciato che vissuto.

Da Kate Beckett a Jack Robinson

Entrambi sono dei segugi micidiali, dei capi severi ma giusti e dei tutori della legge onesti e inappuntabili ma non privi di un lato di umana empatia nei confronti dei colpevoli, quando necessario. Beckett è il capo di una unità investigativa interamente maschile ma ha un capo donna, Jack è attorniato interamente da uomini, ma questo rientra nelle caratteristiche dell’epoca (anche se nei romanzi c’è una tosta donna poliziotto che nella serie sparisce). La vera differenza è nella dimensione extralavorativa: Beckett deve essere caratterizzata come un maschiaccio – va in moto, ha fatto sport, è una ragazza-che-sa-badare-a-se-stessa – ma contemporaneamente femminile e seducente (e scopriamo che è stata cheerleader, che ha avuto un innamorato del liceo, che ha fatto dei servizi fotografici) e così via. Di Jack Robinson, fuori del lavoro, sappiamo solo una cosa: che è divorziato; la sproporzione di lavoro di approfondimento fatto sul carattere e la psicologia di Beckett rispetto a quello fatto su Robinson è impressionante.

L’altra differenza importante fra i due, come per la coppia Rick/Phryne, è sul versante sentimentale: se a Jack Robinson non si conosce altro se non la moglie, Kate ha lungo le varie stagioni una serie di fidanzati, che servono a tenere lo spettatore col fiato sospeso e a portarlo a solidarizzare con Castle («è davvero finita per Rick?»).

L’innamorato è fedele

Quindi le differenze principali del lavoro di adattamento, non sorprendentemente, sono sul versante sentimentale e sessuale, laddove le caratteristiche rimangono legate al genere e non al ruolo: Castle è un farfallone ma è sostanzialmente monogamo, perché essendo il potenziale Principe delle fiabe – o almeno: il Pretendente che si deve meritare la Bella – il suo amore deve essere puro; Jack Robinson ha così tanto autocontrollo da sembrare asessuato. Viceversa Kate e Phryne hanno più storie sentimentali – a prescindere da come la Greenwood descrive il suo personaggio, è difficile che la Bella non si conceda mai al suo Cavalier Servente se non compare ogni tanto l’Altro Uomo a rompere le uova nel paniere all’Eroe. Le loro sono però storie o degne di Madre Teresa – un periodo Beckett stava con un cardiochirurgo che l’ha lasciata per andare a fare volontariato ad Haiti – o nel caso di Phryne pure distrazioni di una donna moderna e liberata che concede il suo corpo ma non il suo cuore, che potrà così consegnare finalmente intonso a Jack, una volta o l’altra.

L’inversione dei generi comporta, cioè, che i due ruoli di Innamorato e di Oggetto del Desiderio non si spostino: l’Innamorato è sempre l’uomo (Rick/Jack) mentre l’Oggetto del Desiderio è sempre la donna. La cosa è curiosa perché così come l’esuberanza di Rick è chiaramente dominante rispetto alla pur rilevante personalità di Beckett, giustificando che sia lui a dare la caccia a lei, così l’altrettanto esuberante Phryne domina la figura di Jack e dovrebbe porsi anche lei nel ruolo di cacciatrice – sarebbe stata una serie più interessante. Invece lo stereotipo di genere richiede che sia sempre l’uomo a concupire e la donna ad essere concupita, e infatti mentre guardando Castle noi sappiamo che prima o poi Jack ce la farà, guardando Miss Fisher’s Murder Mysteries l’impressione è molto più patetica: povero Jack, che brutta vita che fa (infatti è anche un triste divorziato al contrario di Castle che ha un paio di divorzi alle spalle e li affronta con sportività).

I dipendenti e il resto del cast

Il fatto che i due ruoli di Seduttore/Sedotta non cambino al cambiare della struttura di genere del racconto è tanto più interessante se si considera che altre funzioni narrative restano legate al ruolo e non al genere. Per esempio Castle ha una serie di figure che dipendono da lui, la madre e la figlia: oltre a servire ad approfondire il suo personaggio sono anche l’occasione per spunti narrativi, per esempio perché possono trovarsi in pericolo o rappresentare il modo per entrare casualmente in contatto con un mistero. Allo stesso modo Phryne Fisher ha la sua segretaria Dot e una figlia adottiva. Come Jack, Kate non ha praticamente famiglia se non molto in avanti nella serie, ma come Jack ha dei sottoposti e collaboratori: nel suo caso due poliziotti maschi e un medico legale donna. Il mondo poliziesco di Jack Robinson è molto  più ristretto, consistendo praticamente del solo agente Hugh Collins (dando anche la curiosa impressione che tutta la polizia australiana consista in questi due e un paio di agenti di provincia): il fatto è che l’avere dei dipendenti non è caratteristica del maschile, ma del protagonista, attorno a cui il cast dei comprimari si deve muovere, ed è anche vero che la strategia seduttiva di Castle è quella di infiltrarsi nel Distretto di polizia, che pertanto va dettagliato, mentre quella di Jack dovrà essere, casomai, quella di entrare in casa di Phryne, e quindi apparentemente tutto torna.

È anche vero, però, che “ispettore” è una dimensione maschile che non ha bisogno di essere spiegata, mentre quella di “detective donna col miglior coefficiente di arresti di tutto il Corpo di polizia” va invece spiegata e dettagliata. A Jack basta essere severo ma amichevole con Collins, Kate ha bisogno di una Madre-Capitano, un medico legale-Sorella e due fratelli chiassosi nei panni dei due detective della sua squadra, per definire la sua immagine di ragazza indipendente e determinata (c’è anche tutto un tema ricorrente di quanto sia brava a condurre gli interrogatori e dotata di straordinaria empatia, mentre Jack è un uomo e quindi può interrogare e basta). E poi Kate è anche in questo caso l’oggetto del desiderio, e si deve far vedere al pubblico quanto vale anche mostrandola in azione, mentre per Jack non è necessario.

La ferita ricorrente

Quello che transita da Kate a Phryne seguendo il genere, invece, è l’Arcinemico (per Phryne nella prima serie, per Kate per molti anni di seguito). In entrambi i casi viene ipotizzata una ferita risalente alla giovinezza: per Kate la morte della madre che l’ha spinta a diventare poliziotta, per Phryne la sparizione della sorella. Dietro a entrambi i misteri c’è un avversario ricorrente, che cambia da solo il tono di ciascuna serie, di solito molto più giocoso: quando compare lui i toni diventano più oscuri e morbosi e le fragilità di Kate e Phryne – di solito donne molto più sicure di sé – vengono a galla. Che sia l’eroina, a essere perseguitata, è una vecchia convenzione della letteratura di genere che attiene al ruolo della donna come preda e quindi la scelta degli sceneggiatori – soprattutto quelli di Miss Fisher’s Murder Mysteries – è comprensibile, e però d’altra parte è anche banale: se in Castle questo può corrispondere a criteri di riequilibrio del ruolo dei protagonisti – Rick Castle è già piuttosto a tutto tondo, e a Beckett non fa male avere una dimensione di fragilità che compensi il ruolo da ragazzaccia – in Miss Fisher ancora una volta svela una certa banalità della scrittura – poteva essere interessante avere Jack in crisi e vedere Phryne essere costretta a gettarsi allo scoperto per lui – e l’esigenza di riportare, ancora una volta, un personaggio anticonvenzionale come Phryne Fisher dentro canoni più ristretti: è già superpotente, mettiamola un po’ a posto, con criteri non molto diversi da quelli adottati per Lara Croft di cui ho parlato tempo fa: si ritiene che al pubblico piaccia, ogni tanto, vedere l’eroina spezzata.

Riassumendo

Ed è questo un po’ il punto: valeva la pena di perdere un sacco di tempo per controllare, nel gioco di specchi fra Castle e Miss Fisher’s Murder Mysteries, cosa cambiava nell’inversione dei generi? Dopotutto sono due telefilm probabilmente minori (beh, Castle non tanto, ma insomma). Secondo me sì, nella misura in cui si svela il senso del perché, pur partendo da gialli di successo e godendo di tanti vantaggi compresa una protagonista notevole, alla fin fine la trasposizione dei gialli di Kerry Greenwood non decolli fino in fondo: perché la scrittura è, appunto, convenzionale. E come è convenzionale nel trattamento del genere è tutto sommato convenzionale anche in altri aspetti della narrazione, anche da un punto di vista tecnico e artistico: mentre guardiamo questi gialli Maria Bonaria sta anche facendosi una maratona di rivisitazione di Downton Abbey e il confronto, pur nella diversità del tipo di narrazione, è impietoso: laddove al polpettone nobiliare basta una carrellata per il palazzo e due note struggenti per creare pathos, ai gialli australiani non riesce mai, così come l’ironia non è mai completamente liberante (cosa che a Castle riusciva spesso) e raramente i personaggi entusiasmano da farti venir voglia di battergli una pacca sulla spalla. Che le tre stagioni ricavate dai romanzi della Greenwood rimangano, nonostante questo, molto godibili dice, considerati questi difetti, della bontà della struttura narrativa e del materiale di base: però poteva essere la creazione di una icona mondiale, e invece è rimasto un personaggio come tanti.

Ah, e poi valeva la pena perché raramente capita di trovare una così perfetta inversione dei generi in due storie specularmente uguali, e mi pare che si confermi che a quel punto fare il confronto – pur da dilettante che sono – può dare risultati interessanti, come capitava per i due romanzi austeniani dai quali siamo partiti. E se andate a riascoltare la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata alle investigatrici al femminile mi pare che qualcosa di quello che ho scoperto con Miss Fisher veniva già fuori allora e non sarei l’amabile Roberto Sedda di quartiere che tutti apprezzate se non mi piacesse gloriarmi di avere avuto ragione.

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