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La filantropia razzista

La settimana scorsa, mentre scorrevo le ultime notizie su The Atlantic con il palmare mi sono imbattuto in tre articoli molto diversi ma che tutti, in uno strano modo, mi sono sembrati collegati fra loro e quindi ho deciso di provare a tradurli tutti e tre (un lavoraccio). Il primo tratta delle vie (molto poco?) misteriose seguite dagli enti filantropici nei loro finanziamenti.

L’articolo originale, della storica contemporanea Maribel Morey, non è propriamente un articolo del giornale, ma una pagina del blog che la Morey conduce per The Atlantic. Il titolo originale è Would Philanthropies Today Fund W.E.B. Du Bois’s Encyclopedia Africana?

L’unica spiegazione utile, prima di iniziare con l’articolo, è precisare che W.E.B. Du Bois è stato un sociologo, scrittore e attivista di colore forse oggi poco noto anche negli Stati Uniti ma al centro del dibattito culturale per almeno un cinquantennio. È morto nel 1963 ad Accra, dove si era recato l’anno prima perché il governo ghanese aveva manifestato la disponibilità a finanziare la sua Enciclopedia Africana, cosa che gli avrebbe permesso di coronare il suo sogno. Aveva 95 anni. Gunnar Myrdal, invece, giunse al premio Nobel per l’economia nel 1974

Gli enti benefici di oggi finanzierebbero l’Enciclopedia Africana di W.E.B. Du Bois?

A molte fondazioni contemporanee piacerebbe dire che, al contrario dei loro predecessori, si, lo farebbero. Ma è vero?

di Maribel Morey

William Edward Burghardt Du Bois (Library of Congress)

Il 7 aprile del 1938, W.E.B. Du Bois, allora settantenne, aveva invitato il suo assistente di redazione ad aspettare con lui la telefonata che avrebbe comunicato la notizia che il consiglio d’amministrazione del General Education Board di Rockfeller aveva votato in favore del finanziamento della sua Enciclopedia Africana. L’assistente ricorda che Du Bois era così fiducioso che il finanziamento sarebbe stato predisposto che l’anziano studioso aveva con sé una bottiglia di champagne ghiacciato. Tuttavia il telefono non suonò mai e il denaro non sarebbe mai arrivato.

Il famoso studioso di scienze sociali avrebbe scoperto ben presto che né il GEB né l’altra fondazione a cui stava facendo la corte, la Carnegie Corporation, avrebbero finanziato l’enciclopedia. Aggiungendo al danno la beffa, la Carnegie intendeva commissionare uno studio sociologico su larga scala sugli afroamericani, finalizzato all’elaborazione di interventi sociali, di una dimensione, finalità, e dotazione di risorse mai visti prima. E non avevano intenzione di invitarlo a dirigere lo studio. Invece avevano selezionato per questa impresa l’economista svedese Gunnar Myrdal e intendevano mettergli a disposizione fondi illimitati per condurre le sue ricerche e perché potesse commissionare studi sociali a ricercatori di tutto il paese.

Du Bois poté soltanto assistere da lontano con un senso di malcelata invidia e di opportunità perduta. Scrivendo a un collega nel 1909, Du Bois aveva descritto la portata del progetto: «Ho intenzione di interpellarvi sul progetto di una “enciclopedia del Negro”. In occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’Emancipazione del Negro Americano, intendo produrre una Enciclopedia Africana che tratti i punti principali della storia e delle condizioni della razza Negra». Sebbene avesse contattato molti altri colleghi, il progetto si arenò. Venti anni dopo, il Phelps-Stokes Fund radunò i direttori di altri enti benefici e studiosi americani bianchi e di colore per discutere le azioni necessarie per coordinare una simile raccolta enciclopedica di africani e afroamericani.Il progetto era quello di finanziare una enciclopedia in più volumi che comprendesse le fasi salienti della vita e della storia dei neri, dagli aspetti «antropologici, etnografici, biografici, storici, [e] dell’istruzione» a quelli «industriali, economici, politici, religiosi, psicologici (comprendendo relazioni razziali, artistiche ecc ecc)».

Per realizzare un progetto della scala e complessità dell’enciclopedia, il Phelps-Stokes Fund ritenne necessario assicurarsi l’assistenza finanziaria di fondazioni più grosse come il General Education Board o la Carnegie Corporation. Tuttavia la Carnegie aveva in mente una particolare visione di studio dei neri americani. A differenza di una enciclopedia pan-africana che avrebbe evidenziato un moderno sapere scientifico che provasse l’eguaglianza razziale e presentato i successi dei neri americani e degli africani nelle scienze e nelle lettere, la Carnegie voleva studiare i neri americani come un “fenomeno sociale”, o piuttosto, come parte di un problema più ampio nei relazioni fra bianchi e neri. Per il presidente dell’organizzazione un requisito chiave era quello di influenzare il cambiamento sociale. Questo lo condusse rapidamente a concentrarsi sul trovare uno studioso che sia lui che la classe dirigente potesse considerare “oggettivo”. La Carnegie distillò la lista dei candidati e selezionò uno svedese con esperienza nel suo paese nel tradurre analisi empiriche di problemi sociali in raccomandazioni di linee guida operative. Il trentanovenne Gunnar Myrdal era un economista e un componente del Parlamento svedese il cui lavoro era ben considerato e rispettato fra i dirigenti dell’epoca di Washington.

Sei anni dopo, la forma definitiva del manoscritto di Myrdal contenente il suo studio sui neri americani venne pubblicato. Come si erano aspettati i suoi finanziatori, lo studio ebbe successo nell’avere un impatto misurabile sulle politiche sociali. Memorabile, soprattutto, il fatto che la Corte Suprema lo utilizzasse nella causa Brown contro l’Ufficio Scolastico per sostenere la sua affermazione che la dottrina Plessy del «separati ma uguali» non aveva posto nella scuola pubblica. La Corte ragionò: «Qualunque possa essere stata l’estensione della conoscenza psicologica all’epoca della Plessy contro Ferguson, questa scoperta è ampiamente sostenuta dall’autorità moderna», citando specificamente An American dilemma (1944). Rispetto a questo scenario la Carnegie Corporation è giunta fino a definire lo studio di Myrdal «uno dei più importanti risultati della concessione di borse di ricerca» dell’organizzazione.

Myrdal nel 1934 in una foto con la moglie. Anch’essa vincerà il Nobel (per la pace), otto anni dopo il marito, nel 1982
(Wikimedia)

Oggi è ragionevole supporre che molti filantropi e dirigenti di fondazioni loderebbero sia la decisione della Carnegie Corporation di finanziare An American dilemma e l’impatto finale dello studio negli Stati Uniti. Contemporaneamente i filantropi contemporanei e i dirigenti della filantropia direbbero probabilmente che loro, al contrario dei loro predecessori nella beneficenza, non avrebbero mai lasciato Du Bois ad affondare nelle sabbie mobili. Avrebbero perlomeno finanziato entrambi gli studi. Dopo tutto W.E.B. Du Bois era un famoso studioso afroamericano la cui enciclopedia non si proponeva solo di dissolvere i pregiudizi razziali dei bianchi nei confronti dei neri, ma anche di stimolare orgoglio razziale fra i neri americani e africani. Questo avrebbe dato dignità a queste comunità fino a un grado che An American dilemma di Myrdal, scritto da un europeo bianco e concentrato sullo studio dei neri d’America come parte di un problema sociale, non avrebbe mai potuto raggiungere e mai raggiunse.

Tuttavia la discussione sulla concessione di borse svolta dai responsabili contemporanei di enti di beneficenza sulla edizione più recente della Stanford Social Innovation Review suggerisce che, nel clima attuale della filantropia, la ricerca di Myrdal rimarrebbe ancora un progetto attraente e l’enciclopedia pan-africana di Du Bois avrebbe ancora difficoltà ad assicurarsi finanziamenti. Nell’ultimo numero responsabili di fondazioni e studiosi come John Kania della FSG, Mark Kramer e Patty Russell hann presentato nuove linee guida che assicurino che le strategie di finanziamento delle fondazioni siano in grado di «risolvere i problemi complessi di oggi». Le reazioni di persone come Zia Khan della Fondazione Rockfeller, la presidente del Monitor Institute Katherine Fulton e lo studioso della beneficenza Kenneth Prewitt hanno espresso disaccordo circa la relativa novità dell’approccio degli autori. Tutti i partecipanti al dibattito, tuttavia, condividevano un linguaggio che rivelava elementi comuni nel modo con cui percepivano il ruolo della filantropia. Gli scrittori e i commentatori usavano tutti parole come “problemi sociali”, “obiettivi”, “valutazione dell’impatto” per descrivere l’operato della filantropia. Detto in modo differente, la filantropia contemporanea sembra ritenersi incaricata di affrontare problemi sociali, semplici o complessi, e di misurare l’impatto delle proprie decisioni di finanziamento ne modo con cui questi vari problemi sociali sono risolti.

L’enciclopedia di Du Bois non intendeva analizzare o risolvere un problema sociale, semplice o complesso. Anche se la sua descrizione scientifica degli afroamericani e africani fosse servita a far abbandonare dei pregiudizi razziali (e in senso astratto a fornire dati utili a inquadrare politiche pubbliche), sarebbe stata redatta da un individuo che aveva poche possibilità di influenzare significativamente la società o il governo degli USA del’epoca. Molti americani bianchi di punta ritenevano gli studiosi sociali americani di colore – diversamente dai loro colleghi americani bianchi – incapaci di produrre analisi oggettive delle relazioni razziali americane. Da questo punto di vista molti bianchi americani dentro e fuori della capitale consideravano W.E.B. Du Bois uno studioso appassionato e di parte la cui scienza era lungi dall’essere obiettiva e così, lungi dall’essere affidabile per impostare politiche pubbliche affidabili. L’enciclopedia di Du Bois probabilmente avrebbe avuto scarso effetto nel cambiare l’atteggiamento degli americani bianchi o le loro politiche pubbliche da un punto di vista di breve periodo e di misurabilità. Invece, aveva l’amorfo obiettivo di lungo termine di correggere le pregiudizi razziali e di incoraggiare l’orgoglio di razza fra i neri americani e gli africani. Al contrario lo studio dello svedese bianco sui neri americani era impostato per analizzare un problema sociale e influenzare le politiche pubbliche a Washington nel breve periodo e in maniere misurabili.

* * *

Sabato scorso, il Presidente Barack Obama ha invitato gli americani a celebrare il sessantesimo anniversario della Brown contro l’Ufficio Scolastico, la fondamentale decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che mise fuori legge la segregazione razziale nelle scuole pubbliche.

In questo sessantesimo anniversario di questa sentenza possiamo ricordare e celebrare il ruolo della filantropia nel finanziare uno studio innovativo del 1944 che aiutò la Corte Suprema a giustificare la propria decisione in questo storico dibattimento. Contemporaneamente possiamo anche riflettere sulla fallita proposta di Du Bois e chiederci se le fondazioni di oggi – così fortemente concentrate sull’affrontare problemi sociali e quantificare l’impatto sociale – finanzierebbero un tale progetto.

Erogare finanziamenti è talvolta un gioco a somma zero, e mentre celebriamo il cammino verso Brown, vale la pena di ricordare che cosa si è perso lungo la strada. Avremmo tratto beneficio dal vivere in un mondo che avesse prodotto sia An American diemma di Gunnar Myrdal che l’enciclopedia di W.E.B. Du Bois.

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