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Terra Futura 2006

Non ho granché voglia di andare a Terra Futura: l’anno scorso ci sono stato con Bonaria e mi sono divertito tanto, ma quest’anno sono stanco, veramente stanco.

Tuttavia il progetto Equal per cui lavoro ha fatto il colpaccio di organizzare lì un incontro fra diversi progetti di tutta Italia che condividono la stessa base ideale e di mentalità cioè la proposta delle reti di economia solidale http://www.retecosol.org e così mi sento obbligato ad andare.

È un colpaccio perchè di solito su queste cose la Sardegna è la cenerentola, e invece qui siamo noi a fare gli inviti, a dare il tema e a mettere la gente attorno a un tavolo. Le reazioni agli inviti sono state buone, e se la Regione avesse accettato di venire sarebbe stato perfetto. Invece hanno rinunciato a un palcoscenico prestigioso perchè Firenze era troppo lontana, e dunque ce la dobbiamo sfangare noi.
Noi vuol dire che giovedì scopro che devo fare un intervento di presentazione del progetto, dalla visuale dei soci di Banca Etica della Sardegna. Beh, considerato che sono le 13 di giovedì e parto all’alba di venerdì, il fatto che la cosa non mi turbi più di tanto dimostra la mia stanchezza… o la mia faccia di bronzo congenita.

Preparazione

La mossa decisiva è quella di decidere di partecipare alla riunione del gruppo La Pira giovedì sera e di partire venerdì mattina. Chi troppo vuole nulla stringe…

*

Giovedì sera faccio una cosa che dimostra che sono ormai maturo e organizzato. Invece di fare il biglietto del treno direttamente in stazione, come faccio sempre, vado alla stazione di Cagliari, mi informo doverosamente degli orari dei treni, faccio il biglietto in anticipo e vado via sentendomi molto orgoglioso di me stesso. Il nostro seminario inizia venerdì alle 10.30. Io parto con l’aereo all’alba, trovo un treno per Termini alle 8.05 e lì un treno per Firenze alle 8.55. Arrivo a Firenze alle 10.30, e dalla stazione a Terra Futura sono 200 metri a piedi. Tutto a posto. Povero illuso.

Un segno dal cielo

All’alba di venerdì, addormentato ma di buon umore sono a Elmas. Faccio il check-in con un paio di classi di una qualche scuola femminile in gita scolastica. Galline il giusto, ma carine. Penso che sarà un viaggio piacevole… naturalmente, a fianco a me si siede la professoressa, megera come poche. Ancora non lo posso sapere, ma è un segno di come sarà questo viaggio. Avrei dovuto immolare la professoressa agli dei precipitandola dal finestrino, ma non colgo il segnale del fato.

Potrei fare il bravo bravo e rileggere i documenti che ho stampato ieri a mezzanotte per prepararmi l’intervento: il vecchio progetto Sardegna dei soci di Banca Etica, lo statuto delle reti di economia solidale… devo decidere come armonizzarli e poi cosa dire delle solite cose che ripetiamo ormai da due anni: la contaminazione dell’economia sociale, il territorio… forse parlerò anche del settarismo, di cosa sono le reti sociali in Sardegna… ma mi sento abbastanza preparato e poi in treno avrò tempo a sufficienza, penso. Per cui per sfuggire alla professoressa, che è al suo primo volo e perciò agitata, oltre che megera, mi rifugio nella storia della prima guerra mondiale. L’umore, tutto sommato, è buono, e se la megera stesse un po’ ferma tutto sarebbe perfetto.

La valigia

Correre a prendere il treno per Termini con una valigia pesante non è il massimo. La valigia, poi, non è neanche mia: è di Fabio Faina, mio “capo” in Banca Etica e demiurgo del progetto: l’ultima volta che è venuto in Sardegna alcune avventure lungo la 131 lo hanno separato dalla sua valigia e adesso io gliela devo riportare.

Nonostante il peso aggiuntivo sono al binario alle 8.00, con (ben) cinque minuti di anticipo… e ooops, scopro che il treno è in ritardo di 35 minuti. Tutti i treni dall’aereoporto sono in ritardo di 35 minuti… sarà un caso, ma se il ritardo è superiore ai quaranta minuti Trenitalia ti deve rimborsare… e invece sono tutti a 35 minuti.

File, passeggeri imbufaliti, spiegazioni piccate dell’assistenza clienti… perdo l’attimo sufficiente per prendere un taxi fino a Termini e recuperare il problema, e quando finalmente giungo a Roma sono le 9. Ho perso il treno? Forse no…

Complice una telefonata poco chiara di altri sardi in viaggio verso Firenze, in dieci minuti mi complico la vita più che posso: monto sul treno sbagliato (che va a Firenze ma arriva all’una), scendo alla prima stazione per tornare Termini in metropolitana… e dimentico la valigia sul treno.

Nuova visita all’assistenza clienti, telefonate, attese: alla fine mi promettono che potrò recuperare la valigia a Firenze, tanto io arriverò prima… ma nel frattempo ho perso il treno delle nove e mezza, quello delle 10 e mezza è pieno e insomma partirò alle 11. Mi faccio venire una crisi isterica sui binari, seguono telefonate convulse a Firenze (Fabio con grande aplomb mostra solo un interesse di passaggio per la sua valigia, ma quando scopre che ho preso l’aereo per Roma invece che per Bologna per far risparmiare 100 euro al progetto si incazza un pochino).

A un certo punto apro lo zainetto e vedo i fogli che avevo stampato per prepararmi: per l’ira li appallottolo e li butto via… salvo accorgermi che sul retro ci sono numeri telefonici importanti e procurarmi dunque un altro travaso di bile.

*

Alla fine arrivo al seminario alle 12.30. Ho la faccia in terra e sono furioso con me stesso… ho lasciato i partner a gestire la cosa da soli, sono venuto meno al progetto… invece arrivo e tutti mi vezzeggiano: magia della Sardegna, evidentemente. Persino un francese con aria comprensiva mi fa capire che quando come me si viene da così lontano e si fanno viaggi così disagiati è già importante riuscire ad arrivare: il fatto che lui venga da Parigi rende la sua gentilezza veramente surreale.

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Naturalmente a questo punto non mi fanno più parlare: la nostra parte l’abbiamo già fatta e saprò poi che è andata pure bene; faccio comunque in tempo a sentire un paio di altri progetti, e a scoprire una roba pazzesca che fanno in Emilia per i senzatetto e i barboni, un sistema complesso di affitti collettivi di appartamenti, gestione comunitaria di case popolari, cooperative sociali che riparano le case e microcredito per fino a tre mesi di affitto temporaneo per chi si trova all’improvviso in mezzo alla strada. Purtroppo non trovo niente da portare ad Alberto e Marco Lai: certo rispetto al semplice ricovero notturno qui siamo veramente da un’altra parte.

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Dell’intervento del francese capisco poco, sono ancora stanco e suonato dal viaggio. Ma ammiro il suo italiano perfetto… mentre scoprirò poi che le dipendenti di Banca Etica lo ammirano per qualità puramente estetiche, che io onestamente non riesco a cogliere.

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Recuperata finalmente la valigia e consegnatala al legittimo proprietario, pranzo con il gruppo di Banca Etica delle Marche: a tavola si discute seriamente dell’abolizione della moneta cartacea e della sua sostituzione con una moneta elettronica: niente più privacy, d’accordo, ma niente più corruzione, criminalità economica, fondi neri. Il bello è che a metà pranzo mi accorgo che la discussione non è affatto teorica: lo spilungone seduto all’altra parte del tavolo questa roba la sta facendo sul serio, e vorrebbe l’appoggio di Banca Etica – Fabio prudentemente si nasconde nel piatto di patatine fritte: sarà roba da discutere la sera con qualcuno più importante di lui.

«Un attimo e andiamo…»

Bene, in realtà il seminario ormai è andato e io non ho altro da fare fino a domani sera, quando devo andare a tifare per le signore di Domus Amigas che devono essere presentate a un dibattito come esempio di buona pratica di sviluppo locale.

In realtà io e Fabio avremmo anche un appuntamento con una ragazza che vorrebbe fare uno stage nel progetto: io l’ho incontrata fra il pubblico del dibattito e le ho dato appuntamento a domani. Fabio è sconcertato di non averla riconosciuta: sembra scortese non averla salutata, e poi è abbastanza sorprendente che non l’abbia notata in sala… perchè la ragazza, diciamo, non è di quelle che passano inosservate. Si vede che anche lui era teso per il seminario….

Insomma, mi si prospetta un pomeriggio di visita della fiera fino al momento di andare a casa di mia sorella, Iole. Fabio generosamente si offre di accompagnarmi fino da lei a Prato, «solo il tempo di parlare con un paio di persone».

Nello stand di Banca Etica in tre metri quadri si svolgono sei riunioni: Fabio viene risucchiato in un confronto sulla moneta alternativa marchigiana e io sono abbandonato a me stesso. Mi saluta con un «un attimo e arrivo…» e capisco che vedrò Iole per metà sera, se va bene.

Gaffes?

Nel frattempo saluto metà della sede operativa della Banca (l’altra metà sta facendo riunioni o è dispersa per mille dibattiti o convegni nella Fiera); baci e abbracci si sprecano, e rispetto all’anno scorso li trovo molto più rilassati – forse perchè è solo il primo giorno.

Due o tre mi chiedono, per educazione, come va il progetto (di cui sembra che tutta Banca Etica abbia sentito parlare) e che si fa in Sardegna. Io credo che me lo stiano chiedendo sul serio e li sommergo con problemi, dati, necessità di chiarimenti sulle prospettive future, opportunità di sviluppo.

Il risultato è che viene convocata sui due piedi una riunione “sulla Sardegna” da fare quando i vari interessati si saranno liberati dalle attività che stanno facendo adesso. Fabio è basito, avendo chiesto la stessa cosa da un po’ senza risultati. «Che gli hai detto?», mi fa. Io posso solo allargare le braccia. Ci diamo appuntamento verso le sei. Capita l’antifona, avviso mia sorella che ci vedremo per cena… se va bene.

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Nell’attesa, vagabondo per gli stand. Proprio di fronte a quello di Banca Etica c’è quello della Comunità di Lanuvio, i santi monaci, bravi agricoltori ma pessimi amministratori, che un prestito della Banca ha salvato dal fallimento qualche anno fa. Adesso il loro banco frigo traballa sotto il peso di quintali di mozzarella di bufala, che so per esperienza che è buonissima. Accarezzo l’idea di prenderne per cena, ma portare la valigia mi ha sfiancato, e non ho voglia di altri pesi.

«Sai, c’è un guru e una ragazza…»

Sull’altro lato dello stand di Banca Etica ce n’è uno che si occupa di ricerca interiore e sostenibilità e che certamente attira lo sguardo. Praticamente un tizio dall’aria di guru se ne sta sdraiato mollemente su un fianco; di fronte a lui, altrettanto mollemente adagiata, sta una bella figliola (com’è come non è, passerò più tardi e troverò un’altra cliente con le stesse caratteristiche fisiche, dev’essere un segmento di mercato ben definito…) la quale spiega situazioni e malesseri fisici e psicologici; il guru da parte sua elargisce buoni consigli mentre traccia le linee del suo corpo (suo di lei) con una bacchetta da rabdomante. Sto lì che cerco di capire se il tipo è un santo o un satiro che squilla il telefono: è Emanuele Meconcelli, e trovo delle difficoltà a fargli a capire esattamente dove sono e cosa sto facendo…

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Comunque di stand di ricerca interiore e sostenibilità ne troverò almeno tre, di serietà variabile, e un altro paio dove si fanno massaggi shiatzu o simili. Un massaggio shiatzu è una delle cose più rilassanti del mondo, e considero la possibilità di farmene fare uno: ma dovrei togliermi le scarpe e sono in viaggio tutto il giorno. Penso che mi sentirei veramente a disagio, così rinuncio.

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In campo shiatzu la cosa più rilevante sta nello stand della Regione Toscana: dove il Servizio Sanitario paga anche questo tipo di cure, pare tra l’altro con ottimi risultati, e dunque c’è tutto un ambulatorio in funzione in fiera con gli operatori che danno dimostrazioni, dall’aria molto seria e professionale; ci sono i lettini invece dei tatami ma le pratiche sono le stesse… no, ragazze e bastoncini non se ne vedono, in giro…

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In questi primi giri per Terra Futura comincio a fare il conto delle “missioni” da svolgere: canottiere in cotone non trattato per Bonaria e materiale sulla casa ecologica per Maurizio; giuro a me stesso che non andrò ai banchi dei libri – ma ho già visto nello stand di Banca Etica due libretti che voglio prendere – poi magari riuscirò a fare o trovare qualcosa per il gruppo La Pira.

Inaspettatamente invece trovo uno stand di tutti i gruppi GAS della Toscana (i GAS sono Gruppi di Acquisto Solidale, famiglie che fanno la spesa in gruppo), dove vengo omaggiato di una fetta di un formaggio da urlo e dove metto le mie avide mani su un elenco di tutti i GAS della zona di Prato e Pistoia, proprio dove abita mia sorella che cercava questi indirizzi da secoli.

I ragazzi dello stand sono di grande simpatia e quando sentono che voglio procurare nuovi adepti tirano fuori tutte le ragguardevoli qualità di formaggio che hanno e mi invitano ad assaggi comparativi: solo con grande saggezza riesco a limitarmi a un paio di scaglie per ogni tipo.

Dal punto di vista organizzativo invece i ragazzi non hanno niente di nuovo rispetto a quello che già so a memoria; e dunque non trovo alcun suggerimento per i moribondi gruppi GAS cagliaritani – ma almeno mia sorella sarà contenta, penso.

Cose da lasciar perdere

Ho poco tempo e così devo farmi una ragione del fatto che non potrò partecipare alle centinaia di dibattiti, confronti e convegni che ci sono, alcuni anche molto interessanti.

Anche il centro di spiritualità interno alla fiera si rivela praticamente fuori portata: ogni una o due ore si alternano figure di diverse religioni o appartenenze che propongono stili di preghiera o riflessione diversi: una cosa penso molto bella, ma nel momento che son libero c’è una qualche figura che non mi convince, e poi non riuscirò più a farcela. Però è comunque una cosa toga, e il cervellino comincia a girare e a pensare se si potrebbe fare anche a Cagliari… mi convinco che la difficoltà sarebbe trovare abbastanza persone diverse e interessanti da riempire una giornata (a Terra Futura ne vengono riempite tre…).

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Una cosa ha tirato l’altra: ho appena grattato la superficie della fiera e Fabio già mi chiama per la riunione; va molto bene, poi ci diamo appuntamento a Oristano per metà aprile; in mezz’ora finiamo e cominciamo un nuovo giro di saluti e congedi: appuntamento a domani mattina e via. Alle otto sarò a Prato. Tornerò domani con Iole, che ci tiene a vedere Terra Futura.

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In macchina con Fabio discutiamo pacatamente delle prospettive del progetto, delle prospettive della Banca e di un paio di magagne organizzative da affrontare appena torno in Sardegna. Non sono più seccato, e anzi perfino soddisfatto delle cose che ho fatto in questa giornata: la riunione del pomeriggio vale un sacco.

All’ultimo realizzo che se Fabio sta andando a Bologna, domani non ci sarà: e ooops, c’è l’appuntamento con Stefania, la stagista… che ci devo fare? Fabio mi guarda sornione e correggo la domanda: che proposta le devo fare? Vvvvabbbene, anche così la domanda è ambigua: ma insomma, che le devo dire?

Editoria varia

La mattina del sabato arrivo a Terra Futura in tarda mattinata, molto più tardi di quanto avrei voluto. Ma Iole ha voluto portarmi da Feltrinelli, e lì abbiamo “perso” un sacco di tempo. Io ho comprato solo poesia, un libretto di Rilke, un altro piccolo della Szimborska e una collezione di poesie sufiche medievali – tacito il senso di colpa pensando che la Szimborska piace molto a Maria Bonaria e che la poesia non è mai di troppo. Iole invece che ha deciso di progredire nel sapere si prende un sacco di roba – più un classico del giallo, Il lungo addio, che le regalo io.

Anche a Terra Futura, comunque, di editoria ce n’è un sacco. A parte la zona della EMI, sterminata, c’è uno stand molto grosso di una strana casa editrice new age che pubblica libri complottistici: “l’orribile verità su…” è più o meno il titolo standard. Ma ci sono anche stand piccolini, di case piccole o medie: e ci si trova un sacco di roba interessante – vedo cose utili sulla cucina e sull’alimentazione, sul giardino, sull’abbigliamento, sulla salute.

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Nello stand di Carta faccio il primo strappo alla regola: trovo Cambiare il mondo senza prendere il potere, di John Holloway, un libro che cercavo da anni, praticamente introvabile nelle librerie normali, citatissimo nei circoli pacifisti… mi metto subito a sfogliarlo e scopro che sarà il primo libro di osservanza marxista che leggerò in vita mia, oh beh, c’è una prima volta per tutto… poi in quarta di copertina leggo che contiene anche una acuminata critica verso il libro sull’impero di Toni Negri e la mia gioia aumenta: criticare Toni Negri è necessario.

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Lo stand, o meglio il padiglione, della EMI, l’Editrice Missionaria Italiana, ha tanta bella roba, soprattutto tanti libri per bambini che non ho mai visto. Sull’educazione, la multiculturalità, sui percorsi scolastici hanno letteralmente cataste di libri. Essendo la mia spalla già un po’ sciancata, decido saggiamente di soprassedere. Tanto mi mandano il catalogo per e-mail tutte le settimane, penso. Il fatto che io non lo legga mai non mi turba più di tanto.

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Mia sorella non è tanto attratta dai libri, qui, ma dai detersivi: quelli ecologici per la casa normalmente non li trova e qui è l’occasione per fare scorta. Gli stand dei produttori abbondano, ma la cosa migliore sta nel grande cortile: il detersivo alla spina, fatto apposta per non dover sprecare centomila contenitori di plastica – ognuno va con la sua bottiglietta e la riempie: poi passa alla cassa a pagare.

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La ricerca del detersivo ci ha portato nel cortile, dove c’è la parte della fiera più gastronomica: e fra formaggi, aceti balsamici, necci alla ricotta cotti caldi caldi, pane di tutti i generi, vini bianchi e rossi ci passiamo quel che resta della mattinata. Solo con riluttanza decidiamo di tornare fra un’oretta, per l’ora di pranzo… nel frattempo, forse, riusciremo a risolvere la questione delle canottiere e della casa biologica.

Il problema delle canottiere sta nell’apparente abbondanza dell’offerta: quest’anno è il trionfo dei tessuti sostenibili, con diversi artigiani e produttori. L’anno scorso ce n’erano solo due, e stenterelli. Così posso trovare facilmente magliette, maglie, pantaloni, vestimenta per il capo, camicie e camicioni, gonne in canapa e cotone non trattato… ma canottiere niente, e nemmeno mutande: saranno troppo banali, volgari?

A un certo punto mi faccio attrarre da bellissimi cappelli estivi: l’artigiano mi spiega che per farli ha riciclato vecchi sacchi per il grano – mentre per il modello si è ispirato a “900” di Antonioni. Sono tentato e chiedo il prezzo: 120 euro – la qualità si paga, senza dubbio, ma io decido di rinunciare.

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Nel frattempo Iole ha trovato l’enorme stand di Legambiente, in cui c’è anche una bella selezione di detersivi – ma poi ci facciamo attrarre da tutte le altre cose: le vernici ecologiche (e perdo l’occasione di prendere un catalogo per Maurizio), i tessuti in fibra naturale… Legambiente peraltro fa il gioco grosso: e lo spazio maggiore è dedicato ai combustibili ecologici, alle fonti di energia rinnovabili, a grandi attività.

Parlando di energie rinnovabili, si vede che l’attualità ha suscitato una rinnovata fiammata di interesse: di nuovo non c’è sostanzialmente niente, ma le attività legate a queste tematiche occupano molto spazio e molti stand, a scapito dell’acqua e del riciclaggio dei rifiuti, che erano i protagonisti della scorsa edizione.

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È in sviluppo anche il turismo responsabile, e trovo un paio di cataloghi e di organizzazioni. So che a Bonaria piacerebbe proprio. Sfortunatamente, gli stand sono stati pensati per il pubblico “locale”, così trovo una marea di proposte per gite fuori porta in Toscana, visite ad aziende biologiche, cose del genere, mentre di viaggi-viaggi c’è poco. Però ho la soddisfazione di trovare dal vivo quelli che mi mandano sempre le novità per posta elettronica: è divertente poter associare le facce ai bytes.

L’amico di Zorro

Con Iole ci sediamo a guardare l’abbigliamento e l’aspetto delle persone, che si dividono sostanzialmente in tre categorie: i “regolari”, che sono la maggioranza, i palesemente no-global e gli strani strani. Complessivamente la fiera anche in questo trasmette una grande sensazione di semplicità, serenità, normalità. Non è il “popolo no global” a raccolta, c’è semplicemente il popolo. E basta.

Certo alcune figure sono inquietanti: il mio preferito è un tale avvolto in un enorme mantello di lana e con un bellissimo cappello di feltro a larga tesa: lo soprannominiamo immediatamente “il cugino di Zorro”.

Iole invece guarda una coppia giovane con figli, vestiti di canapa, maglioni larghi e slabbrati, accessori del commercio equo, molto alternativi-salutisti, e mi chiede: «Ma questi che lavoro fanno? Cioè, durante il giorno, dove li trovo?».

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Anche a noi tocca un soprannome, comunque. Un venditore del giornale di strada di Firenze ci abborsa per piazzarci qualcosa. Chiama Iole continuamente “maresciallo”, così al maschile. Alla fine capiamo che è perchè porta gli occhiali scuri, ci dice che al suo paese i sottoufficiali della polizia si riconoscono per gli occhiali scuri. Non so perchè ma l’immagine mi dà qualche brivido, o forse lo so benissimo. Compriamo giornale e libro, ennesimo strappo alla regola…

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Le conversazioni che si colgono tra la folla, invece, sono impagabili. Mentre facciamo la fila per la nostra razione di pane e formaggio avvolto nell’olio captiamo: del perchè a parità di fisico sia meglio fare l’obiettore di coscienza invece del buttafuori nelle discoteche, di quanto sia falso e nemico del popolo Cofferati, della cooperazione italiana in Sudan, della cooperazione sociale nell’alto Lazio, di quanti chilomentri al mese possa fare in treno colui che fa economia civile.

In generale siamo circondati da gente che si sbatte con allegria per fare migliore il mondo. Forse allegria non è la parola giusta, diciamo piuttosto “rassegnato buonumore di fronte alle difficoltà del mondo”. Sento che gli voglio bene a tutti, poveri spaventati guerrieri come me.

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Il mio formaggio bagnato nell’olio è buonissimo, ma il caprino morbido di Iole ancora più buono. Ci starebbe bene un po’ di vino per mandarlo giù, ma nessuno vende il vino al bicchiere: solo bottiglie. In compenso ci vanno giù larghi con le degustazioni, e Iole mi suggerisce di raggiungere la quantità desiderata con quattro o cinque assaggi. Dopo matura riflessione, decido di no: altrimenti mi vedo già steso su una panchina.

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Le uniche eccezioni all’ambiente uniformemente informale e rilassato di tutti i partecipanti, venditori, espositori eccetera sono le quattro standiste di una ditta che produce pannelli fotovoltaici. Evidentemente non hanno capito a che iniziativa andavano a partecipare, e hanno preteso il tailleurino d’ordinananza, con tanto di scarpe décolleté con tacco alto. E così le quattro povere soffrono il caldo e spiccano come mosche nel latte… mentre sarà un caso ma il loro è l’unico stand non frequentato.

«Mi sono commossa»

Di nuovo dentro la zona stand, giriamo un angolo e mi imbatto in Domenico, il presidente dell’associazione dei giovani di Riace! Il paese albergo finanziato da Banca Etica! Dove sono andato in viaggio di nozze… Domenico ha una memoria di ferro e si ricorda di me a distanza di cinque anni. Soprattutto si ricorda di Maria Bonaria, mitica, le fa mille complimenti, si raccomanda che la saluti. Ripenso con un sorriso a come ci siamo inseriti nel loro tran tran familiare, nei loro progetti… un viaggio bellissimo nel sud profondo… sfido che si ricorda di Maria Bonaria: gli aveva perfino fatto… terapia familiare.

Domenico mi racconta della famiglia, di qualche difficoltà coi figli, mi dice: «Per tanto tempo siamo stati una famiglia molto volta verso l’esterno, orientata a dare, dare, dare… e un po’ l’abbiamo pagata», ma insomma, pare che tutto si aggiusti. Speriamo.

Nel frattempo mi racconta del ristorante che hanno aperto, del frantoio, la produzione di sottoli, il laboratorio di bambole, c’è sempre anche il laboratorio di tessitura, l’ospitalità per stranieri. E poi, mi dice, c’è una grossa novità, sai, ci sono state le elezioni e abbiamo fatto una lista Un’altra Riace è possibile, «con chiaro riferimento ai Forum Sociali Mondiali», dice proprio così, nella migliore tradizione del “pensare globalmente e agire localmente”, e insomma, il sistema tradizionale dei partiti era andato in crisi, quelle scelte sciagurate che avevano portato a sfigurare la costa con le costruzioni abusive non reggevano più, hanno colto l’attimo, «e sai com’è andata a finire? Adesso sono sindaco di Riace!». Io esulto, Iole si commuove, mi dirà poi che le è venuto in groppo in gola.

La notizia dà la stura a un altro giro di chiacchiere: Domenico racconta dell’opposizione di impiegati e tecnici del Comune, «ma io non voglio mai sentir dire: Non è possibile, non si può fare», del tentativo faticoso di sperimentare un nuovo modello di gestione del territorio. Alla fine ci salutiamo con calore, mi regala il DVD che hanno fatto per illustrare il paese.

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Periodicamente ci troviamo tra i piedi milioni di bambini, impegnati in qualche laboratorio di animazione. C’è anche uno stand che offre un nuovo gioco di costruzioni fatte col mais soffiato, ecologico, anallergico… ma la cosa più bella è la sezione ludica di una Bottega del commercio equo, con giochi in legno meravigliosi, “biliardini africani”, non so spiegarli meglio. C’è un capannello di giocatori accaniti, e io ci starei per ore, ma Iole mi trascina via.

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La situazione canottiere è radicalmente migliorata: adesso si tratta solo di capire dove costano meno – pare che l’offerta più bassa sia di 13 euro – alla fine si rivelerà in effetti la scelta migliore.

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Un altro settore in fortissima espansione è quello dei cosmetici naturali. Saponi meravigliosi, erboristeria di gran classe: adesso tocca a me trascinare via Iole.

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A fianco a un negozio di cosmetici, lo stand contro le pelliccce: «Una donna in pelliccia si sente sempre osservata» e poi pigiano il tasto sull’orrore dei poveri cuccioli massacrati e così via. È un po’ forte, come propaganda, comunque prendo il volantino: ed apprendo che in percentuale siamo il paese col più alto consumo di pellicce. Più della Russia, perbacco!

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Trovo due stand di benessere interiore che non avevo ancora notato (alla fine immagino che non sarò riuscito a vedere moltissimi stand, sebbene abbia girato e rigirato): uno è quello di Damanhur che gestisce anche l’organizzazione della parte “spirituale” della fiera – mi pare una proposta sincretistica, tutto sommato, ma loro sono molto simpatici. Prendo una brochure di tutti i loro villaggi ecospirituali, alcuni anche in Italia, e mi riprometto di leggere meglio.

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Di fronte a Damanhur trovo il Giornale delle Buone Notizie: inizialmente credo che sia la versione italiana di un famoso giornale amricano che publbica solo buone notizie, poi capisco che è solo un altro periodico diretto al mondo del volontariato e dell’economia sociale… cominciano a essere molti, forse troppi, tra questo, Valori (che è quello di Banca Etica), lo storico Altreconomia e un paio di altri. Sono tutti qui, tranne Vita, il giornale del volontariato – con cattiveria penso che sarà perchè ormai il volontariato ha poco da condividere col sociale, ma poi mi pento e mi fustigo spiritualmente.

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Per Iole ormai è tempo di andarsene, e Stefania non mi ha chiamato. Rimango solo e decido di chiudere con le mie missioni. Acquisto le canottiere e poi batto palmo a palmo il settore dell’edilizia biologica pensando a Maurizio: ma non trovo niente di leggibile da portargli – in compenso, se avessi un container avrei l’imbarazzo della scelta fra tutti questi materiali fighissimi: il mio preferito è il blocchetto isolante e autoportante di cemento e sughero.

Più tardi in treno mi chiederò se tutto ciò poteva interessare ad Alberto e se non avrei dovuto portarmi via le brochures con le specifiche tecniche: mi consolo pensando che Alberto è un bravo professionista capace di curare da solo il proprio aggiornamento.

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Dalle stesse parti trovo lo stand di Alisei, il progetto umbro di autocostruzione per cui in passato ha lavorato anche Fabio. Prendo un depliant, caspita, queste famose casette sono veramente bellissime. Diamine, ma se è possibile costruire da soli la propria casa, non potrà farlo anche l’AC? Dopotutto, molte cose del progetto Alisei si potrebbero copiare: lavorare in gruppo, sostenersi a vicenda, progettare la propria casa…

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Ho compiuto una missione, e l’altra è sicuramente fallita: in compenso in fondo alla zona bioedilizia trovo lo stand dell’Unione Uomini Casalinghi, servita da un gruppo di ribaldi con la scopa e il grembiule. Un po’ sono paraculi, e si mantengono vendendoti il grembiule e il guanto da cucina con lo stemma dell’UUC, un po’ sono una associazione di autoaiuto dedita al sostegno a quegli uomini che “per scelta o necessità” si trovano improvvisamente confinati in casa. A questi sono indirizzate una serie di pubblicazioni sul “saper fare” (la spesa, le pulizie…); è l’unica realtà che conosca in Italia che promuova una riflessione di genere sul versante maschile, e solo per questo gli va reso merito.

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Anche per me comincia a giungere il tempo di andare via: giusto un attimo allo stand dei “Politici Co.Co.Co.” (i politici sono i nostri impiegati – assunti a tempo determinato) ma non ho il tempo di approfondire.

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Sto per usare gli ultimi rimasugli di tempo per cercarmi uno zainetto in canapa, ma chiama Stefania, e poi visto come è andato il viaggio di andata è meglio arrivare alla stazione in tempo: ci faremo una bella chiacchierata andando verso Santa Maria Novella. Non ho tanti rimpianti: dopotutto ho girato la fiera in lungo e in largo.

Alla stazione finisco di parlare con Stefania e vedo venire verso di me sul binario Luigi Lai, del comitato sulla democrazia partecipativa di Cagliari! Era anche lui a Terra Futura per la riunione della Rete dei Nuovi Municipi. Cagliari (e il gruppo La Pira) mi riassorbe: dedicheremo il viaggio in treno verso Roma a parlare dell’incontro coi candidati a sindaco.

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