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Anabattisti e globalizzazione: di che libro starò parlando?

Di libertà creativa, Odifreddi e Magdi Allam

Preparando la puntata su Q (Luther Blissett, Einaudi 2000) riflettevo sul fatto che forse era un libro che, proposto su una radio diocesana, poteva suscitare problemi.

Poi mi sono chiesto: «Ma perché?».

Cominciamo col dire che durante tutto il ciclo diOggi parliamo di libri su Radio Kalaritana ho goduto della massima libertà creativa.

Va bene, libertà creativa trattandosi di un dilettante come me è un’espressione un po’ altisonante, però ci capiamo: nessuno ha mai messo il becco nelle mie scelte e opinioni. E così c’è stata una puntata in cui abbiamo incrociato alieni transgender, poi anche questa su Q, la proposta di una pausa musicale come Rimini – che sull’aborto non è una canzone proprio proprio allineata – e così via.

Tutto molto normale, in realtà, capiamoci: è il modo normale in cui le cose dovrebbero andare. Ma ogni volta mi sono posto il problema fino a quando, arrivato quasi alla fine della stagione, mi sono appunto chiesto: «Ma perché?».

E ho fatto la riflessione che la più grande vittoria di becere figure di falsi amici come Magdi Allam o veri nemici come Odifreddi è proprio quella di farci introiettare l’idea della Chiesa censoria, degli argomenti scomodi che devono essere rimossi, del conformismo oppressivo, di farci credere vere queste cose fino all’autocensura preventiva, quando in realtà non corrispondono alla realtà delle comunità che tutti viviamo.

Beh, insomma: un po’ di conformismo nelle nostre parrocchie magari c’è; un po’ di preti talarati che non sanno dialogare col mondo in giro si vedono; un po’ di preoccupazione “educativa” a escludere determinati temi ugualmente c’è (altrimenti Famiglia Cristiana non etichetterebbe i film come consigliabile/dibattiti o quelle altre impagabili definizioni che abbiamo visto mille volte), ma in fondo non è roba diversa da quella che si annida in altre organizzazioni complesse – inviterei a farsi un giro nei partiti politici o in certe associazioni culturali – o in molti altri ambienti.

E quindi mi sono reso conto che non dovrei stupirmi di una normale e libera dialettica culturale che mette fianco a fianco nella stessa radio me e, poniamo, Simone Bellisai (ciao Simone!): due persone con idee politiche probabilmente molto diverse (se intendo bene quello che vedo ogni tanto su Facebook) che hanno le loro competenze, che si mettono entrambe a disposizione e che sono capaci di stimarsi dentro le differenze di opinione.

Non dovrei stupirmi, non dovrebbe essere necessario eppure sento il bisogno di sottolinearlo, prima di tutto a me stesso per ripulirmi delle scorie riversate dai falsi amici e dai veri nemici: grande libertà creativa, clima di apertura culturale, coesistenza di opinioni diverse. In barba a Magdi Allam e a Odifreddi.

Di anabattisti, Cristina Arcidiacono e di un professore di cui non avete mai sentito parlare

Comunque decidere di fare una puntata su Q non era scontato, in fondo ci sono molti libri forse più importanti o anche più rappresentativi dei vari sottofiloni del genere avventuroso.

Credo che a spingermi sia stato il fatto che ho sempre avuto molta simpatia per gli anabattisti e le sette cristiane non conformiste. È un lascito che mi viene dal compianto professor Gambino, che insegnava Storia delle Dottrine Politiche quando ero all’Università e che oltre a questa passione – e a quella speculare per i dibattiti teologici nel New Model Army cromwelliano, una cosa che prima o poi infilerò per bene dentro un gioco di ruolo – mi ha anche insegnato ad amare Machiavelli e un buon numero di altri autori, oltre a guardare alla filosofia con occhi diversi.

L’altra cosa che mi girava per la testa era una battuta di Cristina Arcidiacono, la mia pastora preferita (ciao Cristina!), che anche lei ha letto Q e una sera a cena mi ha raccontato che dopo averlo finito ha chiesto: «Signore, Signore, perché tanto sangue?».

Come vedete le puntate alla radio nascono da spunti anche un po’ imprevisti, no? Che questo tema della lacerazione della chiesa d’Occidente stesse dentro un libro d’avventura mi sembrava un fatto importante, da segnalare: tanto più dentro una radio diocesana. Poi in trasmissione mi sono un po’ allargato a prendere Q come esempio dell’uso delle forme del romanzo di genere per trattare argomenti squisitamente politici – l’esempio classico che ho citato anche in trasmissione è Umberto Eco e Il nome della rosa, che usa il giallo in maniera speculare a come Luther Blissett/Wu Ming usa il romanzo d’avventura – ma avrei potuto allargarmi ancora di più, ritornando fino al Manzoni dei Promessi sposi con cui ho iniziato questo ciclo: e di fatto in questo ultimo gruppo di puntate cercavo di ricapitolare, concludere, raccogliere i fili. In questo caso la solita concitazione della registrazione mi ha portato a perdermi e i fili sono rimasti… sparsi per ogni dove.

Di no global, cyberpunk e Wu Ming

A parte questo alla fine la puntata non è male, ma come al solito mi sono rimaste fuori un sacco di cose (alcune avrebbero migliorato la comprensione vera e propria, come la relazione molto forte nel romanzo fra anabattismo e rivolta dei contadini: per come ne ho parlato il nesso non si capisce). Mi sono anche accorto che ho incomprensibilmente detto delle imprecisioni gravi sulla trama.

La cosa più importante che è rimasta fuori, comunque, è l’idea che ho letto qualche volta espressa dai WuMing, di Q come di un «manuale di sopravvivenza all’epoca della globalizzazione». I protagonisti sono, al fondo, dei marginali e degli avventurieri e anche delle persone con un forte movente ideale: le loro trame per sbarcare il lunario si confondono e si intrecciano con le loro azioni motivate da senso di giustizia sociale di volontà di purezza religiosa. Alla prima lettura di Q non avevo particolarmente colto il nesso, ma è chiaro che se si sostituiscono a Lutero e alla curia romana le corporazioni attuali e le forze politiche socialdemocratiche, per esempio, e alla magmatica realtà di piccoli riformatori religiosi in cui si muovono i protagonisti tutti i mille rivoli del movimento antiglobalizzazione il paragone diventa evidente.

Per spiegare questa cosa che volevo dire, però, probabilmente avrei dovuto impostare la puntata in modo diverso, magari partendo dai Wu Ming: invece così a un certo punto mi sono un po’ perso.

Ora mentre scrivo mi viene in mente che ci sono anche qui un paio di fili che avrei potuto riannodare. Uno riguarda la puntata successiva, e Corto Maltese, e ne parlerò quando metterò in linea quella puntata (morirete di suspense, immagino). L’altro va invece fino al ciclo sulla fantasy e la fantascienza, e precisamente fino alla puntata sul cyberpunk: perché questa storia di corporazioni e movimenti di base è, evidentemente, molto cyberpunk, anzi mi verrebbe da dire che come genere sarebbe forse più adatto del romanzo storico per mettere in scena gli stessi temi.

La cosa mi ha incuriosito e mi sono fatto un po’ di ricerche in giro. Vedo sulla rete che ai tempi dell’uscita di Q la scelta di non fare un romanzo cyberpunk aveva anche il significato di sbilanciare la casa editrice ed evitare di farsi imprigionare in uno stereotipo, però… boh. La riflessione sul cyberpunk che si trova in mezzo alle cose di quell’epoca di Luther Blissett/Wu Ming non mi convince granché, d’altra parte Q alla fine funziona, quindi chi sono io per mettermi in mezzo?

Di jazz, Bibi Bozzato e Fabio Figus

Prima di registrare il gruppo di puntata di cui fa parte anche questa ho chiesto aiuto in rete, per avere indicazioni sulla musica da usare. Ne è nato un dibattito carino, e su Q ho accettato il suggerimento di Bibi Bozzato, mio vecchio collega IACiner, che mi pare che di musica ne sappia un sacco (ciao, Bibi!). Lui in realtà mi ha suggerito l’album, poi è toccato a Fabio Figus, angelo protettore e tecnico residente della trasmissione (ciao Fabio!), scegliere specificamente Green in blue. Mille grazie ad entrambi.

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