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L’ecumenismo dell’odio

Civiltà Cattolica ha pubblicato nel suo ultimo numero un articolo a firma congiunta di Padre Spadaro, direttore della testata, e del pastore protestante e collaboratore della rivista Marcelo Figueroa, dal titolo Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo.

Ok, lo dico subito: la mia prima reazione è stata di pensare, come ha titolato il National Catholic Reporter, «Finalmente!»:

Finalmente qualcuno dotato di autorità ha riconosciuto che  lo sforzo di collegare cattolici ed evangelici ha riguardato sempre più la politica che la religione ed era destinato a allontanare molte persone che vanno in chiesa, distorcendo la fede con una apparenza esteriore politica che è, come fanno notare gli autori, radicata in una visione del mondo divisiva e anti-intellettuale che dovrebbe essere anatema per un cattolico. In effetti questa alleanza richiedeva, necessariamente, la riduzione della religione all’etica, un genere di posizione di ripiego per la Chiesa nel quadro pubblico che è stata fonte di preoccupazione per Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e, ora, Papa Francesco, anche quando è stata la premessa operativa di una folla di cattolici conservatori, neoconservatori e folliconservatori per decenni. Che l’ascesa dell’alleanza abbia coinciso con l’ascesa dei “nessuni”, coloro che non si identificano con nessuna religione, non dovrebbe sorprendere nessuno.

Se andate a rivedervi il mio vecchio articolo (2013!) su Halloween trovate espressioni molto simili.

Detto questo, l’articolo è un po’ strano e capisco che la reazione di una parte dei commentatori americani – l’entusiasmo del Nathional Catholic Reporter sembra sia stato piuttosto isolato sia stata la lamentela che, fondamentalmente, Spadaro e Figueroa parlano di una società e di movimenti culturali e religiosi che non conoscono e non capiscono: perfino a me, che non sono affatto uno specialista di storia americana e tanto meno di storia del protestantesimo, la velocità e superficialità di alcuni passaggi ha fatto digrignare i denti; se si può pensare che il parere negativo di Samuel Gregg, esponente dell’Acton Institute, bastione del neoliberismo cattolico, sia giustificato dal fatto che l’articolo di Spadaro e Figueroa mette nel mirino figure e posizioni con le quali ha oggettive convergenze politiche e ideali, questa spiegazione non può valere per la recensione corrosiva del sito di informazioni (cattoliche!) Crux (mi sono fatto un giro sul sito di padre de Souza, il prete cattolico autore della recensione, e trovo un paio di articoli a favore di Trump, quindi forse la spiegazione c’è; vale la pena però di leggere anche l’editoriale, molto più equilibrato, del direttore di Crux, John L. Allen, Jr).

In realtà il problema, secondo me, è che l’articolo appare molto, troppo, legato a una attualità politica, che è quella dell’America di Trump.

Il piano teologico e pastorale, che è quello che mi interessa di più, è fin dall’inizio dell’articolo intrecciato cioè con quello dell’attualità:

A tratti questa compenetrazione tra politica, morale e religione ha assunto un linguaggio manicheo che suddivide la realtà tra il Bene assoluto e il Male assoluto. Infatti, dopo che Bush a suo tempo ha parlato di un «asse del male» da affrontare e ha fatto richiamo alla responsabilità di «liberare il mondo dal male» in seguito agli eventi dell’11 settembre 2001, oggi il presidente Trump indirizza la sua lotta contro un’entità collettiva genericamente ampia, quella dei «cattivi» (bad) o anche «molto cattivi» (very bad). A volte i toni usati in alcune campagne dai suoi sostenitori assumono connotazioni che potremmo definire «epiche».

Segue una lunga elencazione di difetti del fondamentalismo protestante americano: il dualismo manicheo

Il pensiero delle collettività sociali religiose ispirate da autori come Stewart considera gli Stati Uniti una nazione benedetta da Dio, e non esita a basare la crescita economica del Paese sull’adesione letterale alla Bibbia. Nel corso degli anni più recenti esso si è inoltre alimentato con la stigmatizzazione di nemici che vengono per così dire «demonizzati»,

la mancata assunzione di responsabilità per le cause dei problemi, non solo per i loro sintomi

dentro questa narrativa, ciò che spinge al conflitto non è bandito. Non si considera il legame esistente tra capitale e profitti e la vendita di armi,

mancanza particolarmente grave nel caso del dominionismo, quando i disastri ecologici sono giustificati col presunto diritto conferito da Dio a dominare la natura

Vi è come una sorta di «anestesia» nei confronti dei disastri ecologici e dei problemi generati dai cambiamenti climatici,

la visione della religione come guerra santa

Si tratta di una formula profetica: combattere le minacce ai valori cristiani americani e attendere l’imminente giustizia di un Armageddon, una resa dei conti finale tra il Bene e il Male, tra Dio e Satana. In questo senso ogni «processo» (di pace, di dialogo ecc.) frana davanti all’impellenza della fine, della battaglia finale contro il nemico. E la comunità dei credenti, della fede (faith), diventa la comunità dei combattenti, della battaglia (fight),

a proposito della quale vengono assestati colpi durissimi

La dottrina di Rushdoony, infatti, sostiene la necessità teocratica di sottomettere lo Stato alla Bibbia, con una logica non diversa da quella che ispira il fondamentalismo islamico. In fondo, la narrativa del terrore che alimenta l’immaginario degli jihadisti e dei neo-crociati si abbevera a fonti non troppo distanti tra loro.

Infine, la polemica si sposta verso la teologia della prosperità, accusandola di avere tradito l’impostazione della originaria etica protestante del capitalismo (peraltro, la teologia della prosperità è tipica delle chiese pentecostali africane). E poi, l’ultima cannonata:

Un terzo elemento, accanto al manicheismo e al vangelo della prosperità, è una particolare forma di proclamazione della difesa della «libertà religiosa». L’erosione della libertà religiosa è chiaramente una grave minaccia all’interno di un dilagante secolarismo. Occorre però evitare che la sua difesa avvenga al ritmo dei fondamentalisti della «religione in libertà», percepita come una diretta sfida virtuale alla laicità dello Stato.

A questo si aggiunge che è ricorrente l’accusa di non saper leggere la Bibbia: «adesione letterale alla Bibbia», «le loro esegesi bibliche si sono sempre più spinte verso letture decontestualizzate dei testi veterotestamentari», «non mancano anche oggi pastori che cercano per questo un fondamento biblico, usando brani della Sacra Scrittura come pretesti fuori contesto», «comprensione letteralistica dei racconti della creazione del libro della Genesi», «una simile lettura unidirezionale dei testi biblici». E scusate se è poco: praticamente un’accusa che ritorna ogni tre paragrafi.

Il sunto di tutta questa prima parte (nella quale Bush padre e Reagan vengono citati due volte e Tuump tre, sempre in connessione con questi difetti del fondamentalismo) potrebbe essere parafrasato così: «E voi, cattolici, volete allearvi con questi?».

Parrebbe di sì, parrebbe, e il passaggio centrale, peraltro breve, dell’articolo è secco:

Alcuni che si professano cattolici si esprimono talvolta in forme fino a poco tempo fa sconosciute alla loro tradizione e molto più vicine ai toni evangelicali. In termini di attrazione di massa elettorale, questi elettori vengono definiti value voters. L’universo di convergenza ecumenica, tra settori che paradossalmente sono concorrenti in termini di appartenenza confessionale, è ben definito. Quest’incontro per obiettivi comuni avviene sul terreno di temi come l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole e altre questioni considerate genericamente morali o legate ai valori. Sia gli evangelicali sia i cattolici integralisti condannano l’ecumenismo tradizionale, e tuttavia promuovono un ecumenismo del conflitto che li unisce nel sogno nostalgico di uno Stato dai tratti teocratici.

La prospettiva più pericolosa di questo strano ecumenismo è ascrivibile alla sua visione xenofoba e islamofoba, che invoca muri e deportazioni purificatrici. La parola «ecumenismo» si traduce così in un paradosso, in un «ecumenismo dell’odio». L’intolleranza è marchio celestiale di purismo, il riduzionismo è metodologia esegetica, e l’ultra-letteralismo ne è la chiave ermeneutica.

Altra cannonata non da poco, come si vede.

Inizia qui la terza parte dell’articolo, che si potrebbe intitolare Invece, Papa Francesco…

È la parte più strana: intanto perché parla di Papa Francesco in terza persona quando tutti sanno che i testi di Civiltà Cattolica sono rivisti in Segreteria di Stato. Il tono, diventa, insomma, abbastanza agiografico. E poi è strana perché è ricorrente la sensazione che si parli a nuora perché suocera intenda; se dovessi azzardare una ricostruzione – del tutto inventata, ovviamente – sembra quasi che Trump o chi per lui abbia avanzato delle profferte di alleanza e l’articolo sia una risposta che mette i puntini sulle “i” senza mai menzionare l’ambasciata ma in maniera così palese che chiunque “che sa” non possa che capire benissimo i riferimenti.

Oh, forse ho visto troppe puntate del Trono di Spade. Ma il brano

Francesco intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa. La spiritualità non può legarsi a governi o patti militari, perché essa è a servizio di tutti gli uomini […] Ed è anche per questo che la diplomazia della Santa Sede vuole stabilire rapporti diretti, fluidi con le superpotenze, senza però entrare dentro reti di alleanze e di influenze precostituite. In questo quadro, il Papa non vuole dare né torti né ragioni, perché sa che alla radice dei conflitti c’è sempre una lotta di potere. Quindi non c’è da immaginare uno «schieramento» per ragioni morali o, peggio ancora, spirituali.

veramente questa impressione. E la presa di distanza da Trump (citato nuovamente due volte) è nettissima, fino a accusarlo, sostanzialmente, di cesaropapismo (per l’esattezza, peraltro, di costantinismo).

Devo dire che a me questa parte sarebbe apparsa più interessante se si fosse limitata a descrivere la visione teopolitica del Papa e la sua avversione per la teopolitica millenaristica e fondamentalista («Un tratto netto della geopolitica di papa Francesco consiste nel non dare sponde teologiche al potere per imporsi o per trovare un nemico interno o esterno da combattere. Occorre fuggire la tentazione trasversale ed «ecumenica» di proiet­tare la divinità sul potere politico che se ne riveste per i propri fini», «Francesco intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa») senza entrare direttamente nella polemica pro o contro Trump: d’altra parte è anche vero che l’articolo, fin dal suo esordio, è sull’America.

Il che è un peccato perché è almeno vent’anni che va avanti questa convergenza a destra fra cattolici conservatori e fondamentalisti evangelici, e non è nemmeno guidata dalla politica e tanto meno da Trump (né, all’epoca in Italia, da Berlusconi): è casomai guidata, l’articolo lo nota en passant all’inizio, dal rapporto irrisolto con la modernità. Lo dico perché la risposta ecclesiale al fenomeno non può collocarsi sul piano di vertice della politica o delle relazioni internazionali, ma sul piano di base della pastorale, della formazione, del pensiero teologico, della comunicazione, sul quale c’è, mi pare, parecchio cammino da fare: vedo che sui siti cattolici in lingua italiana la nota stampa sull’articolo di Spadaro e Figueroa è incapsulata fra una presa di posizione contro il gender, un articolo sui segreti di Fatima e la storia lacrimevole di una conversione improbabilmente sentimentale, e insomma direi che così non può andare.

E, naturalmente, il rischio è che sembri che la cosa riguardi l’America e Trump, e cadesse Trump o non vivendo negli USA il problema si risolva o non ci riguardi. Sotto questo punto di vista però è interessante l’intervista che America, il giornale dei Gesuiti statunitensi, ha fatto a Spadaro, dove alcune cose vengono direttamente precisate fin dalle prime domande:

Qual è il punto centrale che volevate sollevare col vostro articolo?

Il punto centrale è la reciproca manipolazione fra politica e religione, che non è un rischio esclusivo degli Stati Uniti.

e più avanti Spadaro dirà che anche in Italia, nel passato, si sono corsi rischi simili (bontà sua) e almeno altre due volte puntualizzerà che il tema attraversa la vita della comunità cristiana in diversi paesi (l’intervista è molto interessante, non ho il tempo di tradurla ma la consiglio).

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