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Lo zio Rufus si è fatto mettere sotto

La settimana scorsa il mio socio, compare e compagno Andrea Assorgia mi ha detto che si era iscritto a una specializzazione su Coursera: cinque corsi collegati fra loro su come progettare e costruire un videogame usando un programma specifico che si chiama Unity3D. Almeno uno dei corsi era interessante anche per chi non è un programmatore e Andrea voleva sapere se volevo dare un’occhiata al suo materiale didattico.

Ma io non disprezzavo l’idea di dare un po’ più di struttura alla mia competenza sui giochi (dopotutto sono un autodidatta), pensavo di avere un po’ di tempo per le mani (ah-ah), tutto sommato mi faceva piacere avere uno straccio di attestato di superamento del corso e quindi mi sono iscritto come uno studente regolare.

Mi si è aperto un mondo. Anzi: un baratro.Casey O_Donnell

Coursera, per cominciare

Di Coursera e delle altre piattaforme di formazione on line avevo parlato già in un vecchio articolo del 2012, quindi non è che astrattamente non sapessi che esistono e che hanno un ruolo ormai importante nella formazione.

Starci dentro però è un’altra cosa.

Intanto: l’offerta formativa è ampia. Va da sé che la maggior parte è di taglio informatico, ma c’è un sacco di altra roba: per esempio mi sono prenotato per un corso interessante sulla cultura e l’arte egizia attraverso sei reperti archeologici, e non è proprio un argomento che si trova tutti i giorni. È chiaro che non è un’enciclopedia tipo Wiki, in cui si trova di tutto: è un consorzio di università e grossi enti che mettono sulla rete quella parte dell’offerta didattica che ritengono possa avere mercato – o che possa contribuire al loro posizionamento globale – e quindi certe aree del sapere sono sicuramente sovrarappresentate e altre quasi del tutto assenti: anche così, però, si tratta di una offerta vasta e accessibile di formazione.

Già: accessibile. Perché la didattica è valida, come dirò anche dopo, i costi non sono esorbitanti e tutto sommato basta un tablet da casa tua. Certo, non è l’Università della tua città, che tra l’altro probabilmente globalmente è molto più economica e ti dà un titolo di studio che magari ha anche valore legale, però la sensazione di immediata fruibilità offerta dal sito di Coursera è notevole e, mi pare, maggiore e più amichevole della classica offerta didattica di un’università tradizionale.

Se non vi spiace spenderei però altre due parole sulla questione economica. Per il corso che seguo, che grosso modo corrisponde a mio parere a un esame universitario semestrale, spendo circa settanta euro (molti corsi, soprattutto sulle piattaforme concorrenti ma anche su Coursera, sono comunque gratuiti). La “specializzazione” di tutti e cinque i corsi insieme costa meno di quattrocento euro, per un carico di lavoro che farei corrispondere più o meno a metà di un semestre universitario: due-tre esami. La didattica è valida e al termine sei sicuramente in possesso di abilità immediatamente impiegabili, quindi si tratta di una spesa ragionevole in termini di rapporto costi-benefici. Ma a Cagliari uno studente per dare tre esami come corsi singoli spende circa trecento euro, cioè meno, e se si iscrive direttamente all’Università e non ha un reddito troppo alto con cinquecento euro probabilmente si paga tutto l’anno intero. Altre università italiane costano molto di più e sul lato delle piattaforme online si dovrà ragionare se i massicci server e gli altri apparati di software hardware siano più o meno costosi delle strutture fisiche di una università normale, ma anche così l’impressione è che questo tipo di piattaforme – e nel caso di Coursera i soci sono quasi tutti università americane – probabilmente generano una discreta quantità di sovraprofitti. Diciamo che se io fossi il Rettore di una università italiana comincerei a esplorare questo mondo con una certa attenzione: il mio corso ha quattromila iscritti e viene proposto circa una volta al mese – a settanta euro a cranio fate voi i conti.

Ah, e c’è un altro soggetto che dovrebbe farci un pensierino: tutto il vasto mondo della società civile, delle ONG, dell’attivismo sociale. Se questi sono i luoghi dell’elaborazione del sapere ci si deve stare per forza, e magari ci si può anche far pagare per starci: per dire, c’è un corso sulla finanza per lo sviluppo curato dalla Banca Mondiale e una specializzazione sulla governance delle organizzazioni non profit: secondo me la GABV, per esempio, avrebbe la possibilità di proporre contenuti di pari livello se non migliori.

La didattica

Probabilmente tutti abbiamo in fondo il retropensiero che la formazione on line non sia, tutto sommato, di grandissima qualità. Devo dire che io la trovo molto buona e mi dice Andrea che il corso precedente, che era di taglio più informatico, era anche migliore, con un insegnante bravissimo. A me il Casey O’Donnell di questa unità sembra già notevole, quindi tanto di cappello.

Quello che mi ha colpito è che si tratta di una metodologia piuttosto matura. Non avendo mai studiato in una università americana (ehm) non sono in grado di capire quanto si sfrutti la didattica tradizionale in persona semplicemente trasponendola on line e quanto invece si tratti di elaborazioni ad hoc, ma lunghezza e taglio dei video, suddivisione degli argomenti, periodicità dei quiz e tempi assegnati per i vari compiti mi sembrano molto ben ponderati e frutto di una consolidata sperimentazione sul campo. Mi sembra anche di capire che la stessa metodologia con poche variazioni sia sostanzialmente applicata su praticamente tutti gli altri corsi, quindi questo vuol dire che se un docente deve trasferire su Coursera un proprio insegnamento non deve inventarsi niente ma potrà seguire una qualche forma di progetto standard.

Nella prima settimana mi aveva colpito uno stile di insegnamento che mi pareva tipicamente americano. Detto in due parole: lezioni molto interessanti ma un po’ vaghe, quiz molto facili e poi un compito finale invece molto impegnativo: un modello che chiama alla responsabilità individuale dello studente, nel senso che certo non è con il solo ascolto delle lezioni, senza riflessione personale e senza leggere per conto tuo la bibliografia suggerita – che è mooolto più sistematica dei contenuti proposti nei video – che puoi sperare di scrivere l’elaborato richiesto: se i quiz inducono una falsa sicurezza la prova finale è invece brutale.

Quindi: molta meno attenzione rispetto al modello europeo nella trasmissione di contenuti, enfasi sull’autonomia dello studente e sulla capacità di svolgere da subito compiti pratici.

Ah-ah, mi dicevo, ho capito tutto.

Già nella seconda settimana, peraltro, le letture consigliate diventano piuttosto necessarie anche per seguire al meglio le lezioni e la complessità concettuale aumenta notevolmente, quindi forse non ho proprio capito tutto, tutto, ecco.

I contenuti

I quali contenuti del corso sono un curioso impasto di cognitivismo americano alla Dewey, robuste iniezioni di cultura geek e riferimenti politico-sociali della sfera d’oltreoceano, tipicamente ai gender studies e in generale alle politiche sulle identità. Non è proprio il mio piatto di zuppa preferito e però lo trovo molto meno indigesto di quando viene servito non adulterato nel contesto politico: sarà che i giocatori sono il mio popolo e le femministe no, forse.

Anche lo stile di concettualizzazione mi suona talvolta un po’ strano: mi pare che in Europa si miri di solito a formalizzazioni più semplici, o le si evitino direttamente. Qui c’è un bisogno notevole di definire la strumentazione analitica con espressioni precise, formare un linguaggio adeguato e creare una scatola ordinata per ogni pezzetto di idea: alla fine sembra un po’ l’Ufficio Complicazione Affari Semplici, come dicevano in parrocchia ai miei tempi. D’altra parte per il neofita come me l’impossessarsi di un linguaggio specifico è culturalmente molto stimolante (uno dei motivi per i quali mi sono iscritto) e alla fin fine anche questo lo trovo molto meno indigesto di altri contesti ludici dove si è sentito il bisogno di fare operazioni di concettualizzazione dello stesso genere, per esempio The Forge per i giochi di ruolo: lì mi parevano esercizi molto più fini a se stessi rispetto al taglio delle letture proposte da questo corso. Può darsi che a maggiore digeribilità dipenda dal taglio pratico del lavoro e dalla sensazione che ci si sta impadronendo di strumentazioni immediatamente utili, senza jihad ideologiche nel mezzo.

Dewey e Huizinga

Mi diceva dopo i primi giorni di studio Andrea: «Ma Huizinga dov’è?».

Spero che apprezzerete l’immanente cultura delle nostre conversazioni, peraltro, che buttiamo lì Huizinga come nulla, davanti a una birra, come altri citano Belén o Fazio.

A metà della seconda settimana trovo Huizinga nascosto nelle pieghe dei contenuti: nell’idea del mondo di gioco come un cerchio magico in cui per i giocatori tutto è possibile, nel concetto di “inclinazione ludica” (lusory attitude) e in altre pezzi delle lezioni nelle quali peraltro non è mai citato direttamente.

Come ho detto, peraltro, il punto di riferimento principale è Dewey soprattutto ovviamente a proposito delle ricadute politiche e educative dei giochi. Devo dire che mi scopro più aperto al confronto con questo tipo di posizioni, quando sono già rielaborate da gente che si è messa là, a tavolino o alla tastiera, a provare a fare dei giochi che esprimessero quel che sentono, tanto più quando ti fanno vedere gli strumenti che si sono costruiti per essere più aderenti alle proprie idee.

Con tutto questo che si parli di cooperative learning, di learning by doing, di learning by gaming o di user experience mi pare che rimanga intatta la sfida intellettuale di Huizinga: il gioco è libero. Non ho dubbi che quando uno l’hai portato a giocare succedano in lui e nell’ambiente cose interessanti: il problema rimane come portarcelo senza trasformare l’esperienza del gioco in qualcos’altro.

Il baratro

Tutto bene, quindi. E allora perché mi sarei fatto mettere sotto, come ho scritto nel titolo?

Beh, mi sono iscritto a prima settimana di lezione già iniziata, di mercoledì.

Giovedì ho scoperto che l’iscrizione non l’avevo fatta bene e quindi l’ho dovuta rifare. Poi ho chiamato Andrea: «Scusa, ma non è che adesso subito mi arriva fra capo e collo il primo compito?».

«Nooooo, è fatto tutto perché tu studi nel fine settimana, lontano dal lavoro, e consegni il compito entro mezzanotte di domenica».

Ahhhhhh, perfetto. Come mi vogliono bene.

Venerdì sera e sabato sono a Firenze per Banca Etica.

Domenica c’è il matrimonio di Alberto, guarda un po’.

Un fine settimana di studio, proprio.

Ma c’è una salvezza, badate bene.

La mezzanotte di domenica, ora del Pacifico. Le sette di lunedì, da noi.

Anzi: avevo addirittura un altro asso nella manica. Siccome domenica da noi entrava l’ora legale, e invece in California parte dal 2 novembre, avevo anche un’altra ora in più.

Fino alle otto del mattino di lunedì.

Che culo.

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