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Cyrano de Bergerac e le bugie dell’amore

Devo confessare una cosa: forse perché opera teatrale in versi avevo sempre creduto che il Cyrano di Rostand fosse un’opera più o meno risalente alla stessa epoca dei fatti narrati, più o meno contemporaneo di Corneille e Racine (e infatti i più attenti ricorderanno che l’ho citato in questo senso nella puntata su I tre moschettieri).

Mi rendo conto che è una dimostrazione di ignoranza non da poco (è vero che la letteratura francese non è proprio il mio campo) ma insomma: è andata così. Lo racconto, oltre che per fare ammenda, per dire che quando preparando la puntata ho fatto la scoperta è stato come se miracolosamente i pezzi di un rompicapo fossero andati tutti a posto in un istante. A quel punto tutta la linea  di commento sulla, ehm, modernità del Cyrano ha improvvisamente trovato la sua collocazione corretta e anche il suo ridimensionamento: quella molteplicità di piani, quella dimensione di opera che può essere sfogliata fino a raggiungere un cuore nascosto vale infatti, ovviamente, in maniera molto diversa se messa a raffronto con epoche così diverse come il XVII e il tardo XIX secolo (per non parlare che l’interpretazione dell’epoca, una volta conosciuta l’epoca dell’autore, assume tutto un altro sapore).

Ma dell’opera dirò meglio fra un attimo: prima devo ammettere anche che, preso com’ero nella rilettura degli aspetti avventurosi e soprattutto dalla sapiente gestione dell’intreccio da parte di Rostand ho un po’ scorso velocemente la caratterizzazione dei personaggi, e quindi durante la trasmissione ho avuto il dubbio atroce che la mia descrizione dell’incorruttibile Cyrano dovesse più alla canzone che avevo scelto come commento musicale che alla realtà dell’opera.

Prima di caricare la puntata su YouTube, quindi, mi sono riletto il dramma un’altra volta e devo dire che invece è vero che il testo di Bigazzi è aderente alla figura di Cyrano. Al limite a fianco alla dimensione di rigore morale di Cyrano andrebbe segnalata una sua sfrenata vitalità, che va oltre il rodomontismo con cui è caratterizzato: è davvero una sorta di supereroe ante litteram, per certi aspetti, e questa sua dimensione attenua e rende sopportabile quello che altrimenti sarebbe moralismo – per non parlare del fatto che così ispirano più compassione le sue fragilità (supereroi con superproblemi, davvero) e diventano più commoventi i momenti in cui questo eroe quasi sovrumano viene ferito e calpestato.

Per il resto sono davvero soddisfatto della puntata che, non dovrei dirlo io, ma mi sembra molto buona.

Credo davvero che quella di seguire i molteplici piani di lettura dell’opera di Rostand sia una chiave interpretativa corretta: oltre l’abilissima tessitura teatrale si staglia la bellezza di un personaggio magnifico, la lotta fra eroe e antieroe, fra giusto e ingiusto, fra libertà e oppressione. Ma il dramma non è solare perché oltre questa contrapposizione si vede il dramma di un uomo imprigionato in un corpo che gli è nemico: un uomo che sente che il suo vero nemico è se stesso. E oltre questo dramma c’è il dramma delle amicizie, delle relazioni contrapposte, dell’impossibilità di raggiungere la felicità per alcune persone buone che la meriterebbero; si scopre nella tragedia che come Cyrano ce ne sono tanti: almeno Cristiano, ma non solo; il dramma si fa collettivo, riflessione sulla condizione umana. E oltre ancora si scopre che questo dramma deriva, come avrebbe detto l’Ecclesiaste, dall’illusione: vanitas vanitatum, tutto è vanità, e Cyrano, Cristiano e Rossana, poiché incapaci di liberarsi da questo gioco di specchi, sono alla fine povere vittime. Non sono sicuro che questa mia lettura sia esatta, ma sono convinto che sia giusta, cioè che consenta di cogliere molte più sfaccettature del dramma di quante normalmente se ne colgano: poi ognuno si farà la sua idea (e in realtà mi piacerebbe sentire opinioni diverse in materia).

Chiudo dicendo che è per questa molteplicità di livelli che sono di solito abbastanza insoddisfatto delle varie rese cinematografiche del Cyrano, sia quelle dirette che le trasposizioni (ammetto che ho visto il film con Ferrer solo molti anni fa). Trovo che di solito prevalga un aspetto – mi viene in mente il patetismo di Rappeneau e Depardieu o la dimensione da commedia romantica dolceamara di Roxanne con Steve Martin – e in generale credo che l’opera vada ripresa in mano nella sua genuinità, spogliandola di tutte le sovrastrutture e di quel che crediamo di saperne: in questo senso se sempre considero le puntate di Oggi parliamo di libri come l’invito a riprendere in mano un libro per conto proprio, questo invito non è stato mai così pressante come per il Cyrano.

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