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Orientati male

Il mese scorso ho letto sul Guardian, ma mi sono sempre dimenticato di parlarne qui sul blog, una piacevole intervista a Ethan Hawke. Mi limiterei a segnalarvela – si discute di vita a Hollywood, si raccontano un po’ di cose della carriera di un attore che, dopotutto, è sulla breccia da più di trent’anni, si annuncia una interessante miniserie su John Brown,

ma insomma , niente di trascendentale.

A un certo punto, però, e in una discussione che in realtà voleva parlare esclusivamente di cinema, c’è un passaggio che mi è sembrato molto interessante e che vi traduco:

Una serie che riguarda il rapporto degli Stati Uniti con le razze sembra capitare al momento giusto – anche se, come fa notare Hawke, quand’è che non è il momento opportuno negli Stati Uniti per parlare di razza? Ma Hawke riflette su questi temi da tempo. Si è imbattuto nel libro di McBride [da cui ha tratto la serie su John Brown, NdRufus] mentre interpretava un soldato confederato ne I magnifici sette diretto da Antoine Fuqua e co-interpretato da Denzel Washington. L’ultima volta che i tre avevano lavorato insieme era stato in Training day del 2001, in cui Hawke interpretava un agente di polizia novellino a fianco dell’investigatore intrallazzatore di Washington. Hawke ha dichiarato che parlare di questioni razziali con Washington durante la lavorazione del film è stato «potentemente istruttivo».

Tuttavia guardare Training day nel 2020 è una esperienza lievemente straniante: è stato fatto da un regista nero e ha come potagonista Washington, ma ogni personaggio nero è corrotto oppure si fa di crack e il buono della storia è, insomma, Hawke. Pensa che oggi sarebbe girato diversamente?

C’è una lunga pausa.

«Le persone non erano così otticamente orientate come lo sono oggi e ci sono dei benefici nell’essere otticamente orientati, ma può anche (comportare che non c’è) nessuna consistenza alla base. Sidney Poiter era ingabbiato dal dover essere un eroe tutte le volte e quindi c’era qualcosa di liberante in quello che Denzel faceva. Quindi, se lo si semplifica da un punto di vista ottico, si elimina quanto di radicale c’era nel lavoro di Denzel», dice.

Pensa ancora che sia un atto radicale per un attore nero interpretare un poliziotto corrotto? «Ma non si può semplicemente definire Denzel un attore nero. È uno dei più grandi attori di tutti i tempi – ha trasceso. È un grande attore con il fascino di Tom Cruise e il carisma di Paul Newman, e che lui interpretasse un personaggio negativo in quel momento era radicale».

Bisognerebbe chiedere il parere di Denzel Washington, ovviamente, ma non è questo il punto. Quello che mi ha colpito, invece, è che Hawke offre uno strumento di analisi, l’idea di orientamento ottico, che mi è sembrata una proposta interessante. Il fatto di Training day e di Denzel Washington è l’applicazione del concetto a un caso concreto e può essere più o meno riuscita, ma il concetto continua a sembrarmi convincente.

Avevo pensato, inizialmente, di tradurlo come focalizzato. Poi mi sono reso conto che orientamento ottico ha tutto un suo significato preciso nella cristallografia e nella mineralografia e ho preferito tradurre alla lettera, un po’ per non tradire e un po’ perché non sai mai questi diavoli di attori americani quali interessi inaspettati coltivano, e quindi magari quando Hawke usa l’espressione svela che la notte nel garage di casa costruisce per hobby microscopi elettronici e rifrattori differenziali.

A parte le battute, se ho letto bene le pagine di ottica per deficienti che si trovano sulla rete quello che mi è parso di capire è che Hawke stia tentando di suggerire qualcosa di lievemente diverso da altre espressioni simili, come guardare l’albero e ignorare la foresta o focalizzarsi o simili. Quando uno si focalizza restringe il campo visivo ma la realtà resta là, prontamente visibile se si sceglie di nuovo di allargare lo sguardo; ma se l’orientamento ottico ha a che fare con la struttura stessa del cristallo e con la sua relazione alle possibilità che ha di rifrangere la luce in un certo modo ma non in un altro, questo vuol dire che essere otticamente orientati nel giudizio sugli oggetti culturali come sulle questioni politiche significa essersi fabbricati uno strumento strutturalmente capace di vedere solo certe cose, di orientare la visione solo lungo determinati assi, che è esattamente il problema di tanti, oggi.

Il punto non è, naturalmente, che in questo modo si finisce per dare un giudizio su qualcosa in maniera differente: l’oggettività non esiste e, alla fin fine, tutti i gusti – e le opinioni – sono gusti. E non è neanche che, di questi tempi, trovarsi a parlare sui social o altrove con gente otticamente orientata fa sembrare una gita dal dentista per un’estrazione come un piacevole passatempo, il vero problema è l’incomunicabilità. Un mondo di gente otticamente orientata è un mondo incomunicabile, nel quale fra posizioni contrastanti non è possibile dialogo, confronto o mediazione, perché non è possibile esprimere giudizi condivisi sul mondo.

Un mondo di gente orientata otticamente è un mondo, in breve, tossico. Il che se volete è strano, perché tossico è una parola che quelli otticamente orientati usano spesso con voluttà.

E pensavo, e chiudo, a una cosa che ho scritto qui tanto tempo fa e che rappresenta ancora la mia idea di vita nella complessità:

Ciascuno di noi sperimenta quotidianamente un bombardamento straordinario di informazioni: non è possibile analizzarle e ordinarle razionalmente, perché la capacità cognitiva richiesta è troppo alta. In qualche modo ci si deve affidare a un pensiero laterale: sbarazzarsi di tutto ciò che è irrilevante per concentrarsi su quei pezzetti di informazione che presi insieme danno un senso razionale alla realtà. Il che spesso – direi sempre – vuol dire non ragionare su cosa dicono questo o quello ma sul perché lo dicono.

Parentesi: lì partivo da William Gibson, qui da Ethan Hawke. Direi che come gestione dei frammenti di contemporaneità siamo a posto. Ma quello che volevo dire è che quel modo di procedere, alla Laney, è esattamente il contrario del modo di procedere di chi è otticamente orientato: logica fuzzy contro logica dura, ricerca contro determinismo. Dare un senso come percorso contro dare un senso come giudizio.

C’è tutta la differenza del mondo.

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