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E nessuno chiudeva la porta

Questo pomeriggio, come sempre dopo pranzo, a casa era accesa la radio e ascoltavamo Radio3, per la precisione Fahrenheit. Si parlava del rapporto Oxfam diffuso oggi, l’articolo di inquadramento della loro campagna Un’economia umana per il 99%, dove il 99% sarebbero le persone normali e l’1% quella minoranza di super-ricchi che da soli si dividono gran parte delle risorse mondiali (come avrete letto sulla stampa uno dei punti centrali del rapporto è l’aumento incalzante del divario di ricchezza posseduta, fra una sorta di rarefatta aristocrazia mondiale transnazionale da una parte e tutto il resto della popolazione dall’altra).

Parlava uno scrittore del quale non ho colto subito il nome (era Francesco Maino) che diceva, sostanzialmente, che si son persi dei livelli elementari di comprensione della “misura” umana delle cose, e saltati questi livelli ci si avvia a stili di vita e rapporti fra le persone (politici, culturali, sociali e, ovviamente, economici) disumanizzati e in vario modo degradati e degradanti.

È un punto di vista, come immaginerete, che in linea di massima condivido, ma nelle parole che uscivano dalla radio assumeva un suono un po’ fesso, che inclinava alla idealizzazione acritica della società contadina o industriale, a una specie di laudatio dei tempi passati, a una scarsa profondità dell’analisi storica, e in generale a un tantino di vuota retorica.

Stavo per farlo notare a Maria Bonaria quando ci siamo distratti, abbiamo iniziato a sparecchiare e il momento è passato. Ma la radio era ancora accesa e a un certo punto ho colto che la voce era cambiata: parlava qualcuno che appariva rassicurante, confidente, che sminuiva alcuni temi e invitava a guardare le cose da un’altra prospettiva.

Stavo per dire a Maria Bonaria che quello doveva essere chi, in questi dibattiti, si assume il compito di difensore dello status quo quando mi sono reso conto che era Leonardo Becchetti.

Ohi.

Ho avuto anche Becchetti nel mio pubblico, si direbbe

Leonardo Becchetti è, per definizione, uno dei buoni. È un economista che si occupa di felicità sociale, di terzo settore, di economia civile, di voto col portafoglio. È stato per molti anni presidente del Comitato Etico di Banca Etica.

Già.

La trasmissione, in un certo senso, è finita a schifio. Maino, alla fine, si è dichiarato quasi impotente rispetto al mondo. Un altro ospite, il poeta Franco Arminio, ha accusato Becchetti di essere un cantore del neoliberismo. Becchetti di rimando gli ha dato dell’ignorante.

C’era una certa quantità di incomunicabilità reciproca fra persone probabilmente d’accordo.

È possibile che la redazione di Fahrenheit non sia stata fortunata nella composizione del gruppo degli ospiti. Magari se ci fosse stato un quarto ospite che, all’inizio, avesse fatto un intervento che dava una nota di partenza diversa forse anche gli altri sarebbero stati valorizzati: così invece un po’ vagavano per i campi. E certo sono successe delle cose curiose e forse irripetibili: due scrittori a cui mancavano le parole, per esempio, e che tartagliavano indignazione fino a essere quasi incomprensibili. Leonardo, che dovrebbe essere portato al ragionamento, perfino didascalico, forse condizionato dal mezzo invece ha inclinato alla propaganda, per dire, e oltretutto ha scelto come registro linguistico il “noi” («Noi diciamo da tempo…», «Noi proponiamo…») che magari confondeva interlocutori e ascoltatori (esattamente noi chi? Noi economisti? Noi economia civile? Non è proprio la stessa cosa).

E naturalmente si potrebbe pensare che la discussione di questo pomeriggio sia l’ennesima riproposizione del dissidio fra massimalisti e riformisti, fra ribelli e mediatori (Becchetti a un certo punto ha detto che il mercato si riforma stando dentro il mercato: io e lui e svariate altre migliaia di persone abbiamo deciso di rifare l’economia fondando una banca, quindi non potrei che essere d’accordo; ma detta così la frase ha davvero troppi significati, per molti dei quali preferirei farmi mettere in prigione piuttosto che acconsentirvi).

Ma, al di là delle spiegazioni puntuali, secondo me il bisticcio è stato di straordinario interesse proprio per la sua capacità di mostrare plasticamente l’incapacità (il gioco di parole è voluto) a venire a capo della cosa.

La catastrofe è su di noi e mancano le parole, mancano le teorie, gli intellettuali che dovrebbero mostrare visione si ripiegano sul passato, i maestri del discorso si perdono, terzo settore, sussidiarietà, sostenibilità sono ricette sempre meno convincenti. Come direbbe Brecht:

[…] Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha travolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Per questo consiglio di ascoltare la trasmissione (è già on line): non tanto per le risposte che dà, quanto per le domande che suscita, nell’imperfezione stimolante del dibattito che c’è stato.

Stavo per segnalarlo nella pagina Facebook dei soci di Banca Etica, poi ho deciso di scriverne qui: perché sono domande che riguardano tutti. Direbbe ancora Brecht:

Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

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