CoordinateLe narrazioniLibriParaboleRecensioni

Gabriella, garofano e cannella

Anni fa, quando ero ragazzino, la mia famiglia impazzì collettivamente per Jorge Amado. Credo che la prima a prendersi la passione fu mia zia Laura, o forse zia Lina. Dalle loro case romane l’eco di questo autore giunse fino a Enrica, e infine a mia mamma.

C’erano libri di Amado dappertutto, in casa, e ognuno scelse il suo preferito (il mio è Alte uniformi e camicie da notte, che un periodo regalavo spessissimo e del quale parlerò magari un’altra volta). Naturalmente tutti leggemmo Gabriella, garofano e cannella, ma a me non mi colpì particolarmente ed è stato infatti con una certa ritrosia che l’ho ripreso in mano per preparare la puntata di Oggi parliamo di libri.

Per me è stata una folgorazione e mi spingerei a dire che Gabriella, garofano e cannella è il libro più importante che ho presentato quest’anno (e ci sono dei grossi concorrenti, badate).

Della peculiare combinazione di storia minuta e di affresco d’epoca che compone il libro ho parlato in trasmissione e non mi dilungo oltre qui sul blog. Invece non ho avuto il tempo di sottolineare la grandissima varietà di personaggi e di caratteri che vanno a comporre il microcosmo di Ilheus: non interessa tanto ad Amado dipanare la trama di ciascuna delle loro storie – alcuni si rivelano figure chiave di un punto o dell’altro della narrazione, altri vengono pressoché abbandonati – e non è neanche tanto questo l’aspetto notevole del libro quanto la maestria con la quale Amado costruisce il suo mondo, popolandolo di personaggi indimenticabili – o almeno interessanti – anche quando nella storia spetti loro di pronunciare solo poche battute.

Questa dimensione corale dà modo, al lettore europeo, di rimanere anche debitamente colpito dallo straordinario impasto multiculturale che compone la popolazione di Ilheus, fin da Nacib, che è un arabo (in Brasile?!) e conduce un bar-ristorante che si chiama Vesuvio. Man mano incontriamo russi, altri italiani, altri arabi, tutte le nazionalità dell’Europa occidentale e così via, e ci sembra strano, perché abbiamo del Brasile un’idea olografica di fazederos portoghesi, mulatte e nulla più, e mentre agli Stati Uniti riconosciamo volentieri la dimensione di crogiolo di culture, tutte le vicende del popolamento e dell’immigrazione dell’America Latina ci sono sconosciute.

Dubbi e curiosità

La lettura mi ha lasciato anche due curiosità, una delle quali non posso risolvere perché non sono abbastanza competente e l’altra… perché non è prudente.

La prima curiosità è stilistica. Quando entra in scena per la prima volta Mundinho Falcão Amado indugia a descriverlo minutamente dal punto di vista fisico, come avrebbe potuto fare un romanziere dell’800. Mi ha colpito molto. Poi però la coralità, il gusto affabulatorio, il procedere nella costruzione della trama per giustapposizioni e andirivieni e certo non in maniera diretta, e il modo con cui il narratore (per quanto onnisciente) porge il suo racconto, sono quanto di più lontano ci possa essere da quel tipo di romanziere. Vedo sulla rete che un noto saggista parla di transizione da un gusto modernista a uno postmoderno, e ho i miei dubbi – anche considerando il periodo di pubblicazione. Vedo che è citatissimo il giudizio di Sartre che parla di “romanzo folk“, e anche qui mantengo le mie riserve. Però noto che è ricorrente il bisogno di etichettare Gabriella, garofano e cannella con due termini (romanzo, ma folk; moderno, ma postmoderno) e mi spiace di non essere in grado di darmi la mia risposta personale.

L’altra curiosità è quella che riguarda Andrea Camilleri. La lettura di Gabriella, garofano e cannella mi ha ricordato infatti in maniera irresistibile le sue storie della Sicilia antica di un tempo, come La concessione del telefono o Un fil di fumo. Mi sono chiesto quanto di ispirazione esplicita (o di omaggio) ci fosse e quanto sia semplice coincidenza (Camilleri, in una intervista, sembra propendere per la seconda ipotesi, almeno su un caso specifico): in ogni caso l’eco è davvero molto forte. Ma perseguire questa curiosità, mi sono reso conto, è davvero imprudente perché in fondo alla strada c’è inevitabile il rischio della contrapposizione o del confronto fra i due scrittori: quello è più spiritoso, l’altro è più bravo, l’affresco storico dell’uno e dell’altro… ci sono volte in cui confrontare due autori fa sì che l’uno illumini l’altro, e altre volte in cui è infruttuoso: qui, mi sembra siamo nel secondo caso (naturalmente appena l’ho scritto scopro dalla rete che l’Università di Bahia non è d’accordo con me).

Precisazione musicale

Durante la trasmissione abbiamo utililizzato come pausa musicale Desalento, che ho annunciato in trasmisisone come cantata da Vinicius de Moraes. Oggi preparando questo articolo mi sono accorto che era invece cantata da Chico Buarque. Vinicius de Moraes è comunque coautore, ma non riesco a capire se l’abbia mai incisa personalmente. In ogni caso mi scuso per l’errore e ve la ripropongo qui nella versione originale di Chico Buarque.

 

Facebook Comments

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:

Questo sito usa cookie o permette l'uso di cookie di terze parti per una vasta serie di funzionalità, senza le quali non potrebbe funzionare con altrettanta efficacia. Se prosegui nella navigazione, scorri questa pagina, clicchi sui link presenti nel sito, commenti un contenuto, condividi una pagina o un articolo, scarichi un file, visualizzi un video o utilizzi un'altra funzione presente su questo sito stai probabilmente attivando un cookie e acconsenti quindi implicitamente all'utilizzo di cookie. Per capirne di più o negare il consenso leggi la cookie policy - e le informazioni sulla osservanza della GDPR

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi