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Camera con vista – Il romanzo

Camera con vista è da sempre uno dei film preferiti mio e di Maria Bonaria, l’avremo visto insieme una quantità di volte.

Sino alla puntata di Oggi parliamo di libri, invece, al contrario di Bonaria avevo frequentato molto meno il romanzo di Forster, e quindi ho affrontato la rilettura che ne ho fatto per la trasmissione con un punto di vista molto peculiare: chiedendomi molto di più cosa ne potessi tirar fuori da dire agli altri, più che cosa il romanzo dicesse a me.

La cosa mi ha riservato delle sorprese, ma credo che sia il caso di fare una pausa musicale. La mia amica Simonetta Muntoni, che ringrazio, mi aveva consigliato Tumbalalaika, che in trasmissione abbiamo trasmesso nella versione di Theodore Bikel. Qui ve la propongo nella forma a cui pensava Simona, tratta dalla colonna sonora di Prendimi l’anima di Roberto Faenza.

Più o meno a metà della lettura, dunque, mi sono accorto che proprio lo strano punto di vista che avevo adottato faceva sì che il libro mi conducesse su sentieri di riflessione molto personali: per esempio mi sono accorto che mi induceva a ricapitolare alcuni percorsi intrapresi in questi anni con Oggi parliamo di libri: uno quello sull’invenzione del sud dell’Europa, di cui avevo parlato per la prima volta l’anno scorso a proposito di Canne al vento ma che in realtà si ricollegava almeno al fidanzamento di Laurie e Amy in Piccole donne (e questa riflessione ha trovato un suo piccolo spazio in trasmissione), l’altro in qualche modo legato a una riflessione sul “destino dell’Inghilterra” (l’ascesa e crisi degli ideali gentilizi della borghesia inglese e lo spazio da questa dedicato all’amorel’amore, diciamo), collocandosi in posizione intermedia fra i romanzi di Jane AustenQuel che resta del giorno (ma anche Dracula c’entra qualcosa): questo invece avrebbe richiesto una puntata da sola e ho lasciato perdere; forse riprenderò il discorso se dedicherò una puntata a Ritorno a Brideshead, un romanzo che comunque chiuderebbe perfettamente il cerchio dell’argomento e che certamente consiglio. Mi limito a dire che qui, nel contrasto fra convenzioni sociali e autenticità, Forster metta in scena un momento cruciale rispetto al quale esprime un grande ottimismo sull’esito finale della lotta: ed è strano che gli scrittori successivi, che pure dovrebbero aver vissuto in contesti molto più “liberati”, questo ottimismo sembrino averlo smarrito.

Anche altre cose mi hanno colpito, ma prima credo che sia il caso di ascoltare la puntata, sulla quale non ho grandi osservazioni; riascoltandola la trovo un po’ superficiale rispetto alla complessità del libro ma tutto sommato equilibrata: forse potevo riprendere esplicitamente qualche altra scena memorabile oltre la prima in locanda con cui ho iniziato la puntata – in particolare la seconda parte ha diverse scene significative.

Il realtà mi pare che il romanzo abbia un andamento molto teatrale; Forster procede per scene successive, per la quali fissa un set, chiama i personaggi in scena e poi li fa agire: raramente le scene sono, come dire?, dinamiche, nel senso di un cambio di ambientazione durante l’azione narrativa.

Associare un “fondale” diverso a ogni azione drammatica comporta una frammentazione del fluire della narrazione che ne dilata i tempi e contemporaneamente la frammenta in tanti istanti successivi, diversi quante sono le locazioni, come una sorta di palazzo immenso pieno di stanze nelle quali i personaggi si aggirano.

Ok, forse l’Orlando furioso che sto leggendo mi influenza anche nella riflessione sugli altri romanzi, ma di Camera con vista mi porto via un’impressione un po’ labirintica, un dedalo nel quale non solo si aggirano i personaggi – dopo tutto Lucy deve per forza trovare la strada d’uscita per portare la sua anima allo scoperto – ma anche il lettore. E il dedalo è anche ricco di indicazioni ambigue: ho accennato in trasmissione all’abbondante apparato simbolico che Forster profonde nel romanzo, e mi pare una precisa scelta non solo stilistica – cioè caratteristica del modo di scrivere di Forster – ma esattamente narrativa, come se questa storia, così semplice e diretta all’apparenza e così complessa nel profondo, non potesse essere narrata che così, per accenni non sempre immediatamente comprensibili.

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