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Ancora al Festival delle Terre

Dopo un’assenza dovuta alla partecipazione a una grigliata di famiglia ieri sono tornato al Festival delle Terre. In programma c’erano un reading dei Mama Sabot su Quirra e due cortometraggi.

Sul reading, che era di fatto propedeutico alla prima proiezione, passo. Non l’ho trovato efficacissimo – temo che la scrittura di Carlotto renda poco a voce alta – ma comunque era interessante.

Poi è iniziato Materia oscura, che era il motivo per cui era presente la maggior parte del pubblico.

Materia oscura (Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, Italia 2013)

Materia oscura affronta il problema del Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra in maniera ellittica.

Nonostante nella coscienza comune locale si sia ormai abbastanza affermata l’idea della pericolosità del poligono, della quantità di inquinanti rilasciata sul territorio e della connessione con le morti per leucemie e linfoni fra gli abitanti della zona e con le malformazioni e altri problemi del bestiame che pascola nelle adiacenze del poligono, una conferma formale di tutto questo ancora non c’è e chissà se arriverà mai, impigliata com’è la verità fra mille inchieste, perizie e controperizie che dicono tutto e il contrario di tutto.

Di fronte a questa complessità Materia oscura sceglie di limitarsi a far vedere, senza commento, senza voci. Ottanta minuti di sole immagini (ottanta!) in cui si susseguono fra le altre le scene quotidiane della vita dei pastori della zona, i lanci dei proiettili e dei missili, le riprese dei cumuli di detriti lasciati dalle esercitazioni e le carcasse dei bersagli, la vivisezione di un topo raccolto sul terreno della base e una lunghissima sequenza finale sul destino di un vitello malformato nato in un allevamento nei pressi della base. Solo immagini senza commenti, quasi asettiche (quasi), quasi senza prendere posizione (quasi) se non fosse per due interventi sonori in sottofondo molto mirati: uno un pezzo di telegiornale con i risultati dell’inchiesta della magistratura durante l’autopsia del topo e l’altro i commenti dei pastori mentre tentano inutilmente di curare il vitello. Il risultato non è un documentario d’inchiesta, in un certo senso, ma un documentario di denuncia, affidato alla forza delle immagini.

E le immagini sono veramente forti: le riprese notturne delle esplosioni sullo sfondo del mare mentre scorrono i titoli di coda, per esempio, fanno davvero impressione. Anche così, però, ho trovato Materia oscura noiosissimo, una tortura, e credo che una qualche struttura narrativa gli avrebbe giovato: non dico che si deve per forza fare i Michael Moore o le Milena Gabanelli della situazione, ma il linguaggio artistico scelto – così criptico, così gelido – non mi ha convinto per nulla e capisco gli organizzatori che hanno fatto precedere la narrazione dal reading, in modo che ci fosse almeno una qualche parola di spiegazione; so che il documentario sta girando il modo, in questo momento, mi domando quanto ne possa capire chi non vive in Sardegna e non ha mai sentito parlare di Quirra e Perdasdefogu.

Anche perché proprio perché una verità ufficiale su Quirra ancora non c’è chi ne parla ha il dovere di dire da che parte sta. Così com’è emerge dal documentario un territorio ferito, la violenza dei grandi sistemi d’arma, un vitello condannato a morte, un apparato mastodontico e inquietante di documentazione, controllo, indagine. Non è poco ma rispetto alla vicenda del poligono non è neanche abbastanza.

Shady chocolate (Miki Mistrati, Danimarca 2012)

Miki Mistrati è l’autore di The dark side of chocolate (“Il lato oscuro del cioccolato”, Danimarca 2010), un documentario che metteva in luce diverse magagne dell’industria del cacao, soprattutto il numero spaventoso di minori impiegati nelle piantagioni dell’Africa occidentale e i meccanismi di traffico internazionale di persone e di sfruttamento legati all’impiego di questa manodopera infantile.

La denuncia ha avuto un buon successo. In realtà l’impegno da parte delle grandi case produttrici di cioccolato di eliminare l’impiego di manodopera minorile è del 2008, ma dopo l’uscita del documentario ci sono state nuove assunzioni di responsabilità e l’avvio di progetti di sviluppo locale almeno in teoria rispettosi dell’ambiente e delle persone, in linea col tipo di interventi svolto da anni dalle organizzazioni del commercio equo.

Così Miki e i suoi collaboratori tornano sul luogo del delitto (è il caso di dirlo) per provare a vedere se la situazione è migliorata. Dato che The dark side of chocolate è stato proposto durante il Festival delle terre 2012 la proiezione del documentario che racconta questa seconda inchiesta, Shady chocolate (“Cioccolato ambiguo”, ma io direi cioccolato farlocco), si pone in una continuità ideale con il festival dell’anno scorso.

La situazione sembra abbastanza sconfortante, anche se obiettivamente più complessa di quanto raccontato dal documentario precedente: non siamo propriamente nel campo del greenwashing, quanto in quello dell’inettitudine, dell’inefficienza e del semplice menefreghismo: d’altra parte dei progetti sbandierati in Europa dalle grandi idnustrie cioccolatiere, di scuole agricole, di sviluppo locale, di educazione, i ricercatori non ne hanno trovato uno che sia uno che rispettasse le promesse (o anche, semplicemente, che funzionasse). È vero però che almeno alcune industrie (non tutte) mostrano una consapevolezza maggiore del problema, se non proprio la volontà di risolverlo. Uhm, tutto considerato mi correggo: messo così è greenwashing, dopo tutto.

Ci sono poi due temi che il documentario non approfondisce, anche se li evidenzia con più o meno chiarezza. Il primo è quello della complicità delle istituzioni locali, che era messo in evidenza anche in Dark side… Questa volta il traffico di minori è in sottofondo e quindi anche le reti di sfruttamento lcoale hanno meno evidenza.

Il secondo è legato al fatto che i progetti non funzionanti sono in larga parte certificati da enti terzi e co-gestiti da ONG (anche rispettabili, cioè non semplici facciate imbiancate per multinazionali impresentabili), le quali perciò hanno evidentemente delle magagne non da poco al loro interno. Mistrati preferisce alla fine concentrarsi sull’industria del cioccolato, però certo le varie ONG non ci fanno una grande figura, e la istituzionalizzazione e sclerotizzazione di molte di queste organizzazioni è un problema con cui ormai presto il mondo dell’economia sociale e della sostenibilità dovrà fare i conti.

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