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Piccola nota per gli amanti di cose sarde (e anche no)

Gods and Myths of Northern EuropeSto leggendo The road to Hel proprio così, con una sola “l”, perché Hel non è l’inferno ma la dimora dei morti nella concezione dei popoli del Nord Europa, quelli che noi chiamiamo comunemente vichinghi. L’autrice è Hilda Roderick Ellis Davidson, una grande esperta della cultura medievale scandinava, di cui ho già consigliato Gods and Myths of Northern Europe. Il libro è del ’43 e quindi temo un po’ vecchiotto: mentre mi riservo di riparlarne quando l’avrò finito ho trovato già dall’inizio delle cose molto interessanti che sono forse anche applicabili alla Sardegna, e che segnalo qui agli appassionati.

Il libro tratta della concezione della morte, di una possibile idea della vita oltre la morte e dell’oltretomba nella visione e nella religione dei popoli scandinavi. Per sviluppare il suo discorso compiutamente la Davidson inizia col passare in rassegna ciò che viene suggerito dalle scoperte archeologiche, anche quelle dell’Età del Bronzo e dell’Età del Ferro che cronologicamente precedono di molto l’epoca vichinga ma che possono essere utili per segnalare l’origine preistorica di certe usanze dell’età storica. A quanto pare il metodo normale con cui nella prima Età del Bronzo si disponeva delle spoglie dei morti era quello dell’inumazione, inizialmente nella nuda terra e poi dentro bare di legno o tombe rivestite in pietra. Poi nella media Età del Bronzo l’inumazione è sostituita progressivamente dalla cremazione (ho scoperto peraltro che è più corretto tradurre cremation con incinerazione), finché nella tarda Età del Bronzo l’uso è pressoché generale e corrisponde a un mutamento culturale che è generale in tutta l’Europa, almeno in quella continentale

un cambiamento così radicale adottato con una tale unanimità attraverso tutta l’Europa deve avere soddisfatto i desideri e le credenze più profondi riguardo ai morti coltivati da popoli ampiamente dispersi mentre contemporaneamente presuppone stretti legami fra pratica e credo in regioni assai distanti

È un passaggio, intanto, molto suggestivo: di tanti popoli europei dell’età del bronzo non ci è rimasto granché in termini di testimonianze culturali, quindi possiamo soltanto immaginarci come debba essere stato il cammino di quella che appare una vera rivoluzione religiosa, attraverso quali tensioni, lotte, rovesciamenti e meraviglie  si possano essere affermate le nuove usanze: ci saranno stati profeti considerati eretici crudelmente messi a morte? Contese magiche fra sacerdoti di culti diversi come quella fra Elia e i sacerdoti di Baal (1 Re 18,18-40, dove, incidentalmente, c’è un sacrificio per cremazione)? Drammatiche conversioni di potenti sovrani seguiti dal loro intero popolo? Improvvise ascese o decadimenti di uomini saggi, di santuari, di centri commerciali? Sono domande che ho trovato affascinanti, anche perché non posso non notare che c’è qui materiale in abbondanza per una meravigliosa saga fantasy, direi.

Quello che riguarda la Sardegna, però, non è questo. In un passaggio successivo la Davidson precisa i contenuti di questa presunta rivoluzione religiosa:

un culto della fertilità connesso con l’adorazione del sole e che forse poteva comprendere, come ritiene Almgren, una concezione della rinascita; idee simili, sorte in Oriente, possono essere osservate pienamente sviluppate nell’arte e nella religione dell’Egitto e sembrano aver viaggiato verso settentrione per raggiungere la Scandinavia durante l’Età del Bronzo […] C’è stato un dibattito acceso riguardo a se un primitivo culto dei morti, connesso con l’adorazione del sole e con credenze riguardanti la fertilità, si sia sviluppato fino a divenire primariamente una religione del vivere lontano dalla tomba; o se il culto primitivo riguardasse la fertilità e il culto del sole e sia in seguito giunto a comprendere credenze e pratiche connesse coi morti, passando dal principio della rinascita nel mondo della natura a quella dell’uomo dopo la morte.

A seconda dell’interpretazione che si dà e al ruolo che si ritiene abbia assunto il dio del sole la pratica dell’incinerazione assume un significato differente:

Era ispirata dal desiderio di liberare lo spirito del morto dalla zavorra stringente del corpo, o dall’ansia di proteggere i viventi dalla dannosa influenza del cadavere mentre ancora non si era decomposto?

Ricordando che sullo sfondo c’è l’ascesa di un dio del sole, seguiamo la Davidson interessarsi in particolare del simbolo della nave. Si tratta di una simbologia importante per i fini che si propone perché sepolcri a forma di nave o funerali che comprendono navi in varie forme sono particolarmente legati, anche se non esclusivi, alla cultura vichinga, e pertanto rintracciarne esempi nella stessa regione in epoca preistorica potrebbe fornire la chiave circa lo sviluppo di determinate credenze o leggende. Ma nell’età del bronzo la nave è essenzialmente un simbolo solare, e viene trovata scolpita insieme con altri pittogrammi nei pressi di sepolcri e di altri luoghi di culto, tutti associati all’affermarsi della nuova religione proveniente dal meridione

In questo rituale la nave giocava un ruolo importante, poiché è mostrata continuamente, talvolta insieme con ruote e dischi solari, alberi, serpenti, animali cornuti, o uomini danzanti, saltanti o impegnati in atti di adorazione; le figure umane sono talvolta dentro la stessa nave, talvolta formano un gruppo insieme con essa, e talvolta sembra che la stiano portando nelle loro mani […] Se noi conoscessimo con sicurezza quale fosse il significato della nave nei graffiti, saremmo ben più che a metà strada nel comprenderne il significato della nave funeraria. Era originariamente la nave del dio del sole, che si muove attraverso il cielo, come in Egitto? E venne in seguito creduto che i morti potessero viaggiare col dio verso un’altra vita? O era semplicemente un simbolo del sole, e perciò di fertilità e rinascita, senza alcuna concezione di un viaggio compiuto dal morto all’interno di essa?

navicella nuragicaÈ stato a questo punto che ho spento il tablet e mi sono chiesto: ma tutti i bronzetti a forma di nave che sono stati ritrovati in Sardegna, e la cui fattura presumibilmente risale alla stessa epoca di questi costumi di cui stiamo discutendo, hanno qualcosa a che fare con tutto questo discorso? Ci danno indizi sulla religione dei nuragici? Anche lì la nave era un simbolo del sole? E se sono stati ritrovati dei bronzetti che riproducono carri, questi sono, come leggo sul web, «riproduzioni di oggetti della vita quotidiana», oppure rappresentano una analoga simbologia solare? E le navicelle, lungi dall’essere il simbolo della potenza navale shardana, oltre che simboli religiosi potrebbero essere legate al culto dei morti? Insomma, domande così, che mi sembrano interessanti anche senza andare troppo a fare il fantarcheologo, Dio mi scampi.

Sulla rete non trovo granché anche se chi vuole può usare un articolo di Anna Depalmas per cominciare a farsi un’idea (certo, il 57% è stato ritrovato in complessi destinati al culto, ma potevano essere oggetti votivi, il che comunque non risolve il problema). Insomma, io tutto sommato la butto lì, magari qualcuno legge l’articolo e mi sa dare una risposta.

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