Le donne negoziano peggio? No, sono gli uomini che gli mentono più spesso
Trovo in questo periodo molto interessante la polemica nata negli USA a proposito dell’iniziativa di Women against feminism (“donne contro il femminismo”) ma mi guardo bene dal commentarlo perché trovo che sia un argomento avvelenato in cui il rischio di tirarsi addosso tutto e il contrario di tutto è troppo alto e in questo periodo davvero non ce la faccio.
In realtà è un dibattito che ha radici piuttosto remote e che periodicamente si riaffaccia, anche se non con questa virulenza: un esempio è lo scambio di cannonate a distanza l’anno scorso fra Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer, cioè sostanzialmente direttrice, di Facebook, e Anne-Marie Slaughter, docente di Scienza Politica e Affari Internazionali a Princeton: i due link che vi ho evidenziato sono in inglese e non ho mai avuto tempo e modo di tradurli ma Internazionale ha riassunto a suo tempo i termini della questione (alla grossa: io trovo che la Sandberg milita nel campo giusto, ma purtroppo non ha ragione).
Ma proprio mentre mi tenevo accuratamente alla larga ho visto su Slate un articolo interessante che ho tradotto come mio contributo alla discussione (ulp!!). Non rivelo niente in anticipo, anche se il titolo è già abbastanza esplicativo, ma segnalo che recentemente Nicoletta Dentico mi ha raccontato di studi analoghi in Italia che rivelano, per esempio, che una donna direttrice di una no profit ha, a parità di condizioni, peggiori possibilità rispetto a un uomo di ricevere assistenza adeguata da parte di una serie di figure professionali come commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati e così via, i quali apparentemente pensano che se sei una donna… non sei in grado di capire, mentre col presidente uomo della cooperativa a fianco ci si può avventurare senza paura nei rischiosi meandri del codice tributario. Purtroppo non ricordo i riferimenti precisi della ricerca di cui mi ha parlato Nicoletta, ma ve li cercherò.
Trovate l’articolo originale su Slate, come vi ho detto. L’autrice è Jane C. Hu. L’immagine che ho usato è quella dell’articolo originale. Un’unica nota di traduzione: per motivi squisitamente ideologici ho preferito rendere “role playing games” con “simulazioni” piuttosto che con “giochi di ruolo”.
Una ragione per la quale le donne se la cavano peggio durante le trattative? La gente gli dice bugie
di Jane C. Hu
Quando infine l’anno scorso la mia Volvo del 1988 si è rotta, la mia prima preoccupazione non è stata quella di essere rimasta senza auto, ma la prospettiva della mia visita al meccanico. È un luogo comune che le donne non capiscano granché di macchine e sebbene ci siano un gran numero di donne dotate di sapienza automobilistica, io non sono una di quelle. Sapevo che quando in officina mi avrebbero prospettato tutti i costosi pezzi di ricambio che mi servivano non avrei avuto modo di capire se mi stavano dicendo la verità o se si stavano approfittando di me. E una nuova ricerca dà nuove ragioni alla mia preoccupazione: lo stereotipo che le donne siano incompetenti rende le persone più inclini a mentirgli durante le trattative.
Ricercatori dell’Università di California-Berkeley e dell’Università della Pennsylvania hanno chiesto a studenti di lauree di secondo livello di partecipare a esercizi in cui si simulavano trattative faccia a faccia. Le false trattative avevano la forma di una vendita di beni immobiliari, in cui uno studente assumeva il ruolo dell’agente dell’acquirente e l’altro dell’agente del venditore. All’agente del venditore era stato incaricato di vendere a qualcuno che volesse mantenere l’utilizzo a fini residenziali della proprietà, ma l’agente del compratore sapeva che il suo cliente progettava di trasformarla in un albergo per turisti e aveva ricevuto istruzioni esplicite di non fornire al venditore questa informazione. Così lo studente che interpretava il ruolo dell’agente del compratore doveva decidere se dire la verità o mentire.
«Abbiamo verificato che nella simulazione le persone erano significativamente più inclini a mentire platealmente alle donne», dice Laura Kray, la responsabile di punta della ricerca. «A una donna, per esempio, l’agente del compratore diceva: «Saranno appartamenti di lusso», ma agli uomini dicevano: «Non ve lo posso dire» ». Dopo la trattativa agli studenti è stato chiesto di rivelare se avessero mentito. Sia uomini che donne hanno riferito di avere mentito più spesso alle donne. Il ventiquattro per cento degli uomini ha detto di aver mentito a una interlocutrice donna, mentre solo il tre per cento degli uomini ha affermato di aver mentito a un interlocutore maschio. Anche le donne hanno mentito alle altre donne (17%), ma hanno mentito anche agli uomini (11%). Forse anche più rivelatore è il fatto che le persone erano più inclini a mettere gli uomini a parte di informazioni riservate. «Era più probabile che gli uomini ricevessero un trattamento preferenziale», racconta Kray. In diversi casi gli agenti dell’acquirente hanno rivelato le vere intenzioni del proprio cliente a uomini dicendo: «Non sarei autorizzato a rivelarvelo, ma…». Questo tipo di informazione riservata non è stata mai offerta alle donne.
Kray e i suoi colleghi hanno anche chiesto agli studenti di valutare le ipotetiche caratteristiche dell’interlocutore e hanno scoperto che i partecipanti percepivano le donne come meno competenti degli uomini (o di persone ipotetiche il cui genere non veniva rivelato). «Quando le persone percepiscono che qualcuno non è molto competente e può essere facilmente fuorviato, danno per assodato che quella persona non verificherà a fondo le menzogne, e che te la puoi cavare [mentendo]», dice Kray. Ai partecipanti è stato chiesto di riferire quanto ritenessero probabile che altre persone avessero tentato di approfittare di un interlocutore maschio o femmina, e i partecipanti correttamente hanno risposto che le persone avrebbero abbassato i propri parametri etici quando trattavano con donne. «Le persone sono consapevoli degli stereotipi, e li usano per il proprio tornaconto quando ricevono motivazioni a comportarsi in questo modo», dice Krays.
Questo complesso di simulazioni non può dirci ogni cosa su come uomini e donne se la cavano nelle trattative nel mondo reale. Forse questi studenti della lauree magistrali sono più tagliagole della persona media, considerato che avrebbero ricevuto dei voti sulla base della propria capacità di negoziazione (c’è una ricerca che suggerisce che – sorpresa, sorpresa – gli studenti dei corsi di economia aziendale barano di più dei loro pari di corsi non aziendalistici). E dei negoziati immobiliari possono non essere il sostituto più realistico rispetto ad altri scenari che nella vita reale richiedono trattative. E tuttavia questi studi mostrano come le donne possono in generale essere considerate nelle trattative d’affari, dove molti dei giocatori saranno simili al campione di studenti di corsi aziendalistici.
Kray suggerisce che può essere d’aiuto alle donne durante le trattative segnalare la propria competenza e fiducia in se stesse. Raccomanda di mostrarsi preparate, di fare domande e di esaminare a fondo le espressioni durante il procedimento. Il suo consiglio si sposa bene con le campagne femministe che puntano ad abilitare le donne a prendere il controllo delle loro carriere: il COO di Facebook Sheryl Sandberg raccomanda di esercitare pressione verso le opportunità per il successo; veterane dei mezzi di comunicazione come Katty Kay e Claire Shipman indicano alle donne di farsi strada avendo maggiore fiducia in se stesse.
Ma con tutto il nostro esercitare pressione e costruire autostima il tentativo delle donne di raggiungere la cima può essere frustrato da fattori che non possono controllare, come le valutazioni sessiste scoperte da Kray e dai suoi colleghi nel loro studio. Un altro lavoro pubblicato la settimana scorsa riecheggia i loro risultati: mentre gli uomini bianchi sono lodati se promuovono la diversità, le donne che fanno lo stesso ricevono valutazioni più basse e sono considerate come meno calorose. Alle fine dei conti incoraggiare le donne a comportarsi come gli uomini è una battaglia perdente; le posizioni di assertività che fanno sì che gli uomini appaiano competenti sul luogo di lavoro si rivelano controproducenti per le donne, che invece appaiono fredde e prepotenti. Il problema non riguarda le effettive capacità di una donna: riguarda gli stereotipi su ciò di cui sono capaci. E finché non incidiamo in profondità su quelli dire alle donne di sforzarsi di più non ci regalerà un trattamento più equo.
Jane C. Hu ha conseguito un Ph.D. in Psicologia nell’Università di California-Berkeley ed è Fellow del progetto AAAS Mass Media. Seguitela su Twitter.