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Avercene

Visto che ho ricominciato a scrivere sul blog sono andato a rivedere una lista fatta molti mesi fa di articoli da scrivere (si vede che anche allora avevo voglia di riprendere) e ci trovo un appunto di una sola parola: avercene.

Si tratta della mia nuova categoria interpretativa di opere varie, narrative e non, che si affianca ad altre importanti conquiste della semiotica e della narratologia, a fianco a cose come il criterio Veneruzzo e altri grandi strumenti, come la nota differenza fra «sticazzi» e «mecojoni» nei titoli dei film.

Avercene.

La prima volta che mi è venuto in mente è stato quando sono andato a vedere Povere creature!

Avevo letto che era un film con una riflessione femminista interessante, di autodeterminazione e di costruzione del sé. Quando sono uscito ho pensato che non mi sentivo proprio sicuro sicuro che Lanthimos avesse realmente qualcosa da dire in materia, ma che era bravissimo a far finta di sì – è da tempo che propongo al Laboratorio28 di vederlo insieme, per verificare se il dibattito mi convince del contrario.

Però, ho pensato subito dopo, è un film girato benissimo, con attori bravissimi e una grande costruzione scenografica, che dice una parola nuova e interessante sul genere steampunk e rivisita in maniera innovativa il mito di Frankenstein. Insomma: basta e avanza, no?

Avercene, ho pensato. A voja.

Non so perché mi vengano questi improvvisi attacchi di romanità.

Devo dire che la nei mesi successivi, in cui ho cominciato a andare al cinema con una certa regolarità, soprattutto al Laboratorio28, l’idea mi è tornata in testa più volte: film imperfetti ma notevoli, che è comunque bene che siano stati fatti, che alzano la media generale; film che… avercene.

Vale anche per altre cose, naturalmente, oltre i film: libri, cose alla radio o alla TV, siti, strumenti di informazione, convegni e iniziative culturali, imperfetti ma… ad avercene di più staremmo tutti meglio. Vale anche per le persone, con tutto il rispetto: gente che regge la baracca e con la quale magari non sei sempre d’accordo ma che, appunto, regge la baracca: avercene.

È anche un modo per praticare la saggezza e l’umiltà; prima di aspirare ad essere Einstein, io spererei che anche di me si possa dire: non un genio sicuramente, anche discretamente rompicoglioni, però, per carità, avercene. Mi sembra un obiettivo personale intermedio augurabile.

Però divago: in realtà volevo cogliere l’occasione per segnalare due film visti ormai un anno fa al meritorio Laboratorio28 e di cui non ho mai parlato perché sto scrivendo molto meno sul blog. Calcolo che tanto non ne farò mai una recensione ampia, anche perché per scriverne di più dovrei rivederli per bene, e quindi preferisco segnalarli. Presi insieme sono una discreta base per un ciclo del tipo adulti che non ce la fanno con adolescenti.

17 ragazze

In una scuola francese diciassette adolescenti, in uno strano circolo imitativo, rimangono tutte incinte una dopo l’altra. Tratto da una storia vera, l’analisi sociologica non è proprio a tutta prova e il film non riesce a decidere bene dove schierarsi, anche in una lettura femminista (forse c’è anche un filo di moralismo), ma nei momenti migliori c’è – perfetto – quel sapore di quando si è adolescenti e porsi sfide più grandi della vita è un atto naturale. Non credo che ci siano più tante occasioni di confronti intergenerazionali, tanto meo paritari, ma questo film sarebbe adattissimo.

Class enemy

In un liceo sloveno l’insegnante di tedesco, materna e comprensiva, viene sostituita da una specie di precettore preparatissimo ma dal cuore di ghiaccio. Quando una delle ragazze della classe si suicida parte un vortice di dicerie, sospetti, recriminazioni e tensioni dal quale tutti sono travolti. Il film d’esordio di Rok Bicek mette insieme tante questioni (metodi educativi, tensioni sociali, il fascismo risorgente, la rabbia sociale – e magari il futuro della Slovenia) e il mix è talvolta politicamente sospetto, ma il film merita per le domande che pone, oltretutto ambientate in un paese a noi confinante di cui però sappiamo pochissimo.

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