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Sul percorso elettorale di Banca Etica

Premessa: questo articolo è scritto un po’ come una cipolla, a strati. Se vi interessa solo sapere chi voterò, potete fermarvi all’inizio. Se volete le motivazioni e un po’ di ulteriori riflessioni, andate avanti.

L’immagine qui a fianco serve a dire che sì, non è solo una dichiarazione di appoggio, ma un ingresso nella conversazione: come nelle vecchie BBS, Rufus è entrato nella stanza.

Per quanto riguarda le altre immagini, tranne un logo le foto sono di cose che ho fatto in/per Banca Etica negli anni.

Dichiarazione di voto

Il prossimo 17 maggio si tiene l’Assemblea annuale di Banca Etica; è una Assemblea particolarmente importante, perché elegge il nuovo Consiglio di Amministrazione per il prossimo triennio, e con esso il Presidente. Sarà per forza un Presidente nuovo, cioè al primo mandato nella carica. Nella nostra storia venticinquennale non abbiamo avuto tanti presidenti (solo tre e questo sarà il quarto), quindi è evidentemente un passaggio importante, quasi epocale.

Si confrontano due candidati presidenti e due liste collegate, più alcuni candidati singoli: il mio voto andrà alla lista-P (partecipativa) Per una Banca Etica, inclusiva e dialogante, candidato presidente Aldo Soldi, attuale vicepresidente. Fra i candidati singoli voterò Roberto Barnaba Trinca, espresso a suo tempo dall’Area Centro.

Fatto l’annuncio, e prima di andare alle motivazioni, mi prendo un secondo per una spiegazione di servizio: nel sistema elettorale di Banca Popolare Etica esistono due tipologie di liste; quella partecipativa (familiarmente: lista-P) ottiene il via libera e assembla la lista col via libera dei rappresentanti di almeno tre delle sette grandi categorie di soci (i soci di una delle cinque Aree territoriali – Sud, Centro, Nordest, Nordovest e Spagna -, i soci lavoratori e il gruppo delle grandi realtà associative fondatrici o di riferimento); quella autonoma (sempre familiarmente: lista-A) si forma senza alcun filtro se non l’esigenza di raccogliere 200 firme fra i soci. In questa tornata elettorale ci sono due liste: la lista-P, che sostengo, ha ottenuto l’appoggio di tutti i sette “portatori di valore”; l’altra è una lista autonoma, guidata da un ex Direttore generale della Banca, Alessandro Messina.

Chiusa la parentesi terminologica, andiamo alle motivazioni.

Perché ho deciso di votare così?

Assemblee di epoche fa…

Milito nella Banca Etica dalla sua fondazione: chi mi conosce bene, sia fra i soci della Banca che fra gli altri amici, non credo sia sorpreso dalla mia dichiarazione di voto: per uno come me, la scelta è pressoché automatica fra una lista partecipata sostenuta da tutti i portatori di valore, che fa base del proprio programma il piano strategico della Banca costruito l’anno scorso in maniera partecipata, che si pone in continuità con la storia costruita sinora dalla Banca, che è composta da persone per la maggioranza socie e che è guidata da un signore garbato che sa ascoltare e che non ha nella Banca alcuna ambizione di carriera, e dall’altra parte una lista autonoma che, fra le altre cose, propone di sopprimere i portatori di valore e abolire i gruppi locali dei soci, abbandonare sostanzialmente la Spagna, è composta principalmente di persone che non sono socie e che nei dibattiti sinora non hanno dato l’impressione di sapere nel concreto granché della Banca (più una che a suo tempo ha scritto che il sistema industriale-miliare di Israele era un modello di sviluppo da imitare) e che, infine, è guidata da una persona che, quando era Direttore, ho potuto constare direttamente – ero Referente dei soci del Centro Italia – avere un’idea della Banca piuttosto diversa dalla mia.

Sono anche molto infastidito dallo stile della campagna elettorale fatta dalla lista-A, che è stata molto aggressiva e con toni molto accesi, con poca cura della dimensione reputazionale della Banca nonostante le raccomandazioni iniziali del Comitato Etico: la campagna elettorale ha visto un susseguirsi di dichiarazioni pesanti con necessità di precisazioni successive da parte della Banca stessa, di gruppi di dipendenti, di GIT chiamati in causa, dello stesso Comitato Etico, e non mi è sembrato bello.

Sono stato di persona al dibattito fra i candidati presidenti a Firenze, e all’ingresso ho salutato una socia che non vedevo da tempo e che mi ha presentato il compagno, che non conoscevo. «Sei anche tu socio?», ho chiesto, e loro tutti contenti mi hanno detto che lui ci stava pensando e che lei l’aveva portato lì perché vedesse dal vivo la bella vita democratica della Banca. Ho fatto una mezza smorfia e ho abbozzato qualcosa tipo: «Sai, forse non è il momento migliore… c’è molta tensione…». Tempo dieci minuti dall’inizio e siamo partiti col botto. Un secondo dopo mi è giunto un messaggio su WhatsApp: «Ho capito cosa intendevi. Noi adesso andiamo via…». Ecco, è stata la peggiore campagna elettorale della Banca che io abbia mai visto, e ne ritengo responsabile la lista-A e il suo candidato Presidente.

Infine, per me non contano solo i programmi, ma anche la credibilità delle persone che se ne fanno portatrici, e su alcuni punti del programma – anche senza discuterne le specifiche – Alessandro Messina semplicemente non è credibile, per mia conoscenza diretta. Non posso credere che chi ha sempre considerato la presenza dei soci un noioso fastidio per il manovratore e l’organizzazione territoriale dei soci un inutile orpello, possa oggi farsi paladino della partecipazione dentro la Banca (sono abbastanza sicuro che quando ho sentito il bisogno di ricordare qui sul blog che nella nostra Banca i soci comandano pensassi esattamente a un certo stile della Direzione dell’epoca). Lo stesso discorso vale per la valorizzazione dei dipendenti. E il bilancio della sua attività sulle banche armate e su altri temi sensibili nel rapporto con il sistema bancario non corrisponde né alle sue posizioni precedenti alla nomina né a quelle espresse adesso in campagna elettorale, e uno non può essere incendiario o pompiere a seconda dei tempi, anche considerando la diversità dei ruoli. E infine, francamente, ai tempi la sua mi è apparsa una direzione di taglio fortemente aziendalista ed efficientista, e non proprio incline a quel movimentismo a cui adesso chiede il voto.

Sulla partecipazione dei soci tornerò più avanti. Ma prima è giunto il momento di un altro strato della cipolla, che chiameremo:

Il male minore, o no?

Un paio di mesi fa, quando si annunciavano appena i candidati alla presidenza, durante una riunione del gruppo soci il coordinatore mi ha chiesto di raccontare cosa sapessi dei due (sono evidentemente entrato nella fase nonno, in cui fai la memoria storica). Ho detto di aver incontrato Aldo Soldi, che attualmente è vicepresidente della Banca, in un paio di eventi nazionali e di averne riportato una discreta impressione; su Alessandro, come si deve essere capito, avevo molto di più da dire.

Qualcuno mi ha chiesto, esplicitamente, se stessi descrivendo la solita situazione a sinistra nella quale, per non far passare Sauron, ti devi accontentare del male minore, dopodiché alla volta dopo ci sarà sempre un altro Sauron e un altro male minore – chi vota a sinistra credo che capisca benissimo quello che sto dicendo.

Ecco: no, non sto dicendo questo, e anzi credo che ci dobbiamo liberare di certi automatismi di pensiero, noi vecchi votanti di sinistra. Se in questo articolo si è parlato e si parlerà soprattutto della lista-A (il cui candidato presidente, a scanso di equivoci, non è Sauron) è, certo, perché della lista-P invece non c’è molto da dire: è una normale lista di dirigenti di Banca Etica sulla quale si può anche discutere ma che è ampiamente sopra la sufficienza, come tanti altri che volta a volta sinora ci hanno permesso di navigare situazioni ogni volta a loro modo sfidanti. Normalità non vuol dire male minore, evidentemente. Dall’altra parte, la lista-A è una operazione a mio parere inaccettabile che deve perdere e perdere male.

A mio parere, evidentemente.

Ora, prevengo anche una seconda critica: perdere e perdere male è un po’ sanguigno, no? Spero che non vi abbia scandalizzato. Per parte mia sono consapevole del rischio, come racconta anche Brecht: «Anche l’ira per l’ingiustizia / fa roca la voce» e, diciamo, è chiaro che non si può insistere troppo a urlare, perché non fa bene prima di tutto a se stessi.

D’altra parte c’è un certo costume, anche nella nostra attuale campagna elettorale, che sembra considerare comunicazione violenta ogni palese contrapposizione, e invita a parlare solo del bene della propria parte evitando la critica altrui: francamente, anche in un ambito etico come il nostro, mi sembra una posizione al meglio ingenua e al peggio strumentale, che non mi appartiene. In linea di principio sottoscrivo la famosa citazione gramsciana: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani…» ma soprattutto, da un punto di vista pratico la polemica politica è, appunto, polemica. Per esempio, se io dico che trovo incoerenza fra un programma presentato e le persone che se ne fanno espressione, non sto facendo un attacco ad personam ma sto rilevando quello che secondo me è un fatto oggettivo e pertinente. Sarebbe troppo comodo mettere la regola che si può solo parlare del proprio bene o solo dei programmi, come se fossimo a un dibattito aristotelico – oltretutto di solito quelli che lo pretendono hanno la coda di paglia; per quanto mi secchi citarlo, trovo che avesse ragione quell’altro: «La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza». Banca Etica è una rivoluzione economica, mica il circolo delle buone intenzioni.

Poi è chiaro che l’essere partigiani non deve trascendere nella partigianeria, personalmente non sono disposto a far scorrere fiumi di sangue (neanche gocce di sangue) per fare la rivoluzione e non sottoscrivo, se non in maniera figurata, il richiamo alla violenza rivoluzionaria, ma spero che ci siamo capiti.

In ogni caso, se in questo articolo si è parlato e si parlerà soprattutto della lista-A, non è tanto per il fatto che sono irritato con loro, ma paradossalmente è perché la trovo più interessante, o meglio, credo che la sua esistenza e il suo agire ponga problemi interessanti che vale la pena di discutere, per la Banca ma non solo. E questo ci porta al prossimo strato della cipolla.

Quattro incomprensioni

A me pare che buona parte delle debolezze della lista-A si basino su quattro incomprensioni della realtà. Sono incomprensioni che non sono complessivamente specifiche di Banca Etica, ma che possono verificarsi anche altrove, nell’economia sociale o nella politica, e che pertanto è interessante analizzare e discutere anche qui.

Prima incomprensione: la partecipazione e la cooperativa

Dietro la proposta, sostanzialmente, di abolire i gruppi dei soci come attualmente esistenti sembra esserci l’idea che questi gruppi, attualmente, siano una sorta di tappo che inibisce la partecipazione altrui, come se là fuori ci fossero decine di migliaia di persone che aspettano solo che si levi il tappo per precipitarsi a lavorare come volontari per la Banca, cosa che evidentemente non è (se qualcuno di voi lavora in una cooperativa o associazione può fare le proprie comparazioni). il punto, naturalmente, sono in particolare i vecchi soci (dichiaro immediatamente il mio conflitto di interesse, qui, perché rientro certamente nella categoria), sospettati di essere aggrappati al ruolo e poco propensi al ricambio. Ora, a parte che conosco bene la struttura della Banca e molto bene quella del Centro Italia, e questo ostruzionismo non mi risulta (c’è anzi un panorama fin troppo mutevole, talvolta), la controprova è data dal fatto che quando nel 2021 un nuovo regolamento soci della Banca ha stretto sul numero dei mandati e la possibilità di essere rieletti – esattamente seguendo le sirene di questa illusione – l’unico risultato è stato, sostanzialmente, quello di mettere ai margini un certo numero di veterani. Il tema del ricambio è, oggi, cruciale in tutto l’associazionismo e la cooperazione, e della crisi della partecipazione si parla (e straparla) ormai da decenni: attraversa mondi diversissimi e con strutture organizzative molto differenti; non può dipendere dal fatto che si abbiano questa o quella struttura organizzativa.

Che si ponga il tema della partecipazione, anche in Banca, sarebbe ovviamente salutare, perché non è che non ci siano cose da discutere; riproporlo in questi termini è roba da è arrivato Menevado.

L’altra faccia della medaglia di questa incomprensione è che, comunque, punta alla disintermediazione dei soci: abolendo i livelli intermedi rimane solo il centro (che è forte per definizione) e il livello base; vedo che per riempire l’intervallo si torna all’idea un tempo popolare in politica delle votazioni istantanee e perfino del recupero della blockchain, che peraltro neanche il Movimento è mai riuscito a implementare. Ora, sulla fallacia logica dell’idea che Banca Etica sia un brand che possa mantenersi da solo con una comunicazione centralizzata, senza soci veri che lo testimonino, e dell’altra che i soci disintermediati rimangano atomizzati e si formino la loro opinione in maniera libera e individuale senza nessuna relazione fra loro, ho già scritto anni fa (anche in quella occasione parlavo a nuora perché suocera intendesse, e si vede che volevo entrare almeno indirettamente in un dibattito dentro la Banca, in cui questa idea veniva proposta magari dalle stesse persone di adesso): rispetto al 2017 oggi sono ancora più scettico: mi immagino che gruppi di soci, privi di riferimenti territoriali e di una struttura di rappresentanza, immediatamente si organizzino dentro milioni di chat private nelle quali transitano informazioni di ogni genere, rendendo il dibattito non solo poco trasparente, ma direttamente illeggibile; d’altra parte, viste una serie di campagne elettorali vere recenti, colgo meglio l’autoritarismo latente del modello, nel quale il capo aspira a rapportarsi direttamente con la base. Sotto questo punto di vista la presenza di gruppi organizzati di soci e di elezioni di rappresentanti a vari livelli non è depotenziamento del ruolo dei soci di base, ma garanzia a un tempo di democraticità (contro autoritarismo) e di trasparenza (contro comunicazioni privatizzate).

Seconda incomprensione: la differenza e la cooperativa

Quando si è steso l’attuale regolamento elettorale una delle preoccupazioni del gruppo dirigente di allora è stata che, qualora si presentassero, rimanessero rappresentate importanti posizioni di minoranza; inoltre è stata prevista la possibilità di formare liste-A come meccanismo di salvaguardia dal fallimento della costruzione di liste partecipative e antidoto a meccanismi consociativi (posso dirlo con certezza, perché quel regolamento elettorale fu scritto per colpa mia). Se leggete l’articolo che vi ho appena linkato trovate subito dopo il resoconto del lavoro svolto una mia previsione rivelatasi del tutto sballata. Dopo avere descritto i punti salienti del regolamento in termini di teoria dei giochi scrivevo:

Può dare risultati non sensati questo meccanismo? Secondo me no, nel lungo periodo. Nel breve potrebbe farci sputare sangue per capire esattamente come funziona il tutto, ma questo è credo inevitabile. È peraltro un sistema che ha più punti di equilibrio stabile: solo la storia ci dirà se si faranno sempre liste partecipate o  invece liste autonome (la presenza ripetuta di entrambe secondo me sarà eccezionale).

In dieci anni abbiamo avuto credo quattro elezioni con più di una lista, ed è stata sempre una lista-P contro una lista-A, e tanti saluti alle previsioni. In nessuno dei casi c’erano davvero visioni diverse di Banca quanto piuttosto vicende personali, ma soprattutto la lista-A sostanzialmente l’hanno fatta sempre le stesse persone, o perlomeno: l’hanno sostenuta le stesse persone, un’ala intransigente della Banca attorno a cui si aggregano gli insoddisfatti del momento e che curiosamente ogni volta si trova un candidato presidente… meno intransigente.

Ora, che la lista-A potesse servire a strutturare una corrente interna non l’avevamo mai immaginato e non è certamente un risultato desiderato, perché ci era molto chiaro che una Banca non è lo Stato né un ente locale, Il CdA non è il parlamento, e il mutualismo di una cooperativa non reagisce bene all’esistenza di parti politiche permanenti, tanto meno di cordate. Oltre tutto, il fallimento di una previsione del regolamento porta con sé il fallimento di altri meccanismi: per esempio il diritto di tribuna dentro il CdA per la lista perdente ma che abbia conseguito un certo risultato elettorale era stato pensato perché ci si immaginava che in caso di forte contrasto strategico e ideale sarebbe stato opportuno che la visione perdente mantenesse una presenza, anche in un’ottica di ricomposizione e sintesi futura; nella interpretazione recente, a parte costituire motivo di ulteriore rivalsa, è diventato il traguardo minimo che giustifica la presentazione di liste sicuramente minoritarie che però possono ambire a una specie di premio di consolazione che gli permetta di proseguire la polemica e la strutturazione della corrente in vista di traguardi futuri, ma per una cooperativa un CdA che funzionasse in questo modo sarebbe esiziale, per non parlare del clima interno alla Banca.

Non è un caso che in presenza di questa incomprensione sulla natura delle liste-A e della presenza di minoranze dentro una cooperativa il clima elettorale si faccia rovente. E infatti:

Terza incomprensione: lo scandalo e la chiamata all’azione

Come scrivevo più sopra, la campagna elettorale della lista-A si è caratterizzata per critiche molto accese – nonostante i richiami del Comitato Etico (che è stato subito definito come schierato), gli inviti dei padri fondatori ad abbassare i toni, e i segnali di insofferenza presenti nelle domande indirizzate alla lista-A dal pubblico durante i dibattiti.

A me pare che sul piano tattico sia stata una scelta necessitata: non esistendo grandi differenze strategiche nei programmi – a tutti piacerebbe, che so, fare più credito, il problema è come, e di questo non c’è traccia – ed essendo l’operazione in buona parte personalistica – in un certo senso Messina & friends contro la Banca – l’unica possibilità è suonare l’allarme, agire l’indignazione e sperare che almeno i soci meno partecipi si mobilitino (fra quelli più attivi che sanno benissimo le cose farà meno presa in ogni caso), creando artificialmente la massa elettorale sufficiente. Come direbbe il settimo stratagemma:

無中生有/无中生有,
Wú zhōng shēng yǒu,
«crea qualcosa dal nulla»

Solo che ciò che non si capisce è che di fronte alle accuse la reazione dei soci non è quella di scendere in piazza a sistemare le cose, ma di convincersi che Banca Etica non sia quell’ultimo bastione della rivoluzione sociale che credevano ma il solito posto schifoso come tutto il resto del mondo, e di decidere di andare via.

Ma anche non credendo alle accuse, a nessuno piace stare nei posti dove si litiga; a nessuno piace stare dove volano gli stracci, chiunque abbia ragione, e quindi quando si trovano in quelle situazioni decidono di andare via (è per questo che più sopra mi sono dilungato a cercare di mettere le mani avanti rispetto al fatto che questo è un articolo sì di analisi, ma anche critico nei confronti altrui).

Siccome Banca Etica, invece, è davvero un importante bastione dei buoni, chi mina la fiducia dei soci nel progetto comune, chi crea le condizioni per l’abbandono o lo scoramento si assume una responsabilità gravissima.

Senza contare l’ingiustizia, perché francamente noi soci volontari – ma anche i dipendenti, d’altra parte – che tutti i giorni sputiamo sangue sui territori per promuovere la finanza etica non ci meritiamo tutto questo, non abbiamo fatto nulla di male per meritarci questa campagna elettorale

Qualunque guadagno elettorale non compensa, in nessun caso, né il male fatto alla Banca né il male fatto alle persone. Che chi si candida alla guida di una organizzazione a movente ideale dimostri di non capirlo è a un tempo sconcertante e squalificante.

Quarta incomprensione: l’orologio fermo

Alla base della presentazione della lista-A, a partire del nome che evoca la ripartenza, c’è l’idea che Banca Etica abbia perso quanto meno smalto, se non direttamente parte delle motivazioni ideali – se non la Banca, il gruppo dirigente.

Al contrario delle deduzioni e delle proposte successive, questo punto di partenza del programma un suo fondamento ce l’ha. La Banca ha compiuto ventisei anni e come io non avrò più i miei vent’anni così anche la Banca non sarà mai più la fonte di meraviglia continua che era per noi nei suoi primi anni – parlo della Banca come sistema, per il singolo che entra adesso nel progetto la percezione di alternativa e di scoperta rimane molto forte; le innovazioni non verranno più a catena, ma ognuna dovremo sudarcela e meritarcela. La base sociale invecchia e in molti casi le facce – di soci e dipendenti – non sono più quelle e saranno sempre più diverse da quelle che abbiamo conosciuto. Il linguaggio è differente.

Dove c’è una incomprensione grossolana, però, è nel pensare che ci sia stato un cambiamento di idealità e motivazioni – in una parola, di etica – e non invece un cambiamento della realtà circostante: se la Banca appare differente, oggi, è perché è cambiato il mondo, non perché è cambiata la Banca. Noi siamo nati col movimento contro la globalizzazione, col commercio equo, con un altro associazionismo e un’altra cooperazione sociale. Dopo l’89 e prima dell’Ucraina. Prima dell’11 settembre. Siamo una Banca del Novecento dentro il secondo decennio del XXI secolo. In ventisei anni la storia è un’altra ed è impossibile pensare che il nostro modo di declinare le risposte ai dilemmi etici vecchi e nuovi sia rimasto lo stesso. Ma anche se fosse, con noi sono cambiati anche i nostri mondi di riferimento e i nostri clienti e quelle risposte, in ogni caso, non andrebbero più bene. Per forza.

Se il richiamo alla Banca che non c’è più non è tatticismo elettorale, è un errore grossolano; se è tatticismo elettorale, peggio mi sento. In particolare mi sembra incredibile il richiamo ripetuto al Terzo Settore, quando da anni ad esso si sono affiancati come nostri riferimenti altri mondi; del resto, l’apertura al privato sociale e oltre è una caratteristica della direzione di Alessandro Messina (apertura sulla quale, peraltro, io ero e sono del tutto d’accordo).

L’evento sentinella

Rubo l’espressione a una cara amica: secondo me, la presentazione della lista-A è un evento sentinella, un fatto singolo che segnala fenomeni più grandi e magari ancora nascosti. È per questo che trovo interessante la lista e vi ho trascinato fin qui, perché l’evento pone questioni. Domande che faccio prima di tutto a me stesso e che riguardano forse Banca Etica ma certamente non più la lista-A, che in questo nuovo strato della cipolla lasceremo andare per la sua strada.

Per la Banca l’evento sentinella segnala l’ingresso, per la prima volta, di linguaggi e toni sinora sconosciuti; segnala una strutturazione di soci più orientati all’influenza elettorale che alla partecipazione; pone sfide al tema della inclusività caratteristico della Banca, chiede di chiarire e rafforzare il ruolo degli organismi super partes ma anche di riflettere se il ruolo politico dell’organizzazione territoriale dei soci vada reso più incisivo, e come gestire all’interno di questo ruolo la dimensione delle differenze – come segnalare, per esempio, il ruolo di posizioni minoritarie senza che queste debbano strutturarsi in alternativa, ma anche come permettere a posizioni maggioritarie di agire sulla base del consenso ottenuto (sì, sto evocando il metodo del consenso, ma ci sono millanta altri modi). Chiede di verificare la rispondenza del regolamento elettorale e del regolamento soci del 2021 alle mutate condizioni.

Sono cose da discutere fra soci, quindi passato il prossimo paragrafo lascerò andare anche la Banca ai suoi percorsi, per formulare alcune domande generali, che riguardano secondo me tutte le realtà associative e cooperative di medio-grandi dimensioni (e, a cascata, anche quelle piccole che abbiano relazioni con queste) e anche alcune grandi organizzazioni economiche, se a movente ideale come cooperative e associazioni.

Il punto di partenza: la polarizzazione delle competizioni elettorali, anche la competizione accesa, non è estranea al mondo cooperativo e alle organizzazioni a movente ideale. Per noi però è la prima volta che si dipana in maniera importante attraverso strumentazioni relativamente più sofisticate – per dire, entrambe le liste hanno un sito, account sui social, presumibilmente degli addetti alla comunicazione, mailing e, a giudicare dal mio WhatsApp, catene di messaggi. Un processo di comunicazione che si sovrappone e in parte si sostituisce a quello ufficiale della Banca. In più, nella lista-A, come detto, la ricerca di una legittimazione attraverso una presenza abbastanza intensa sui mezzi di comunicazione di settore. Mi immagino che queste dinamiche possano riprodursi anche in qualunque altra organizzazione.

La prima domanda, allora, è se oggi possano le organizzazioni a movente ideale, che vogliano vivere un processo democratico reale e allargato, pensare di riuscire a tenere il dibattito elettorale e la relativa comunicazione al proprio interno, in spazi appositi. Perché a me pare che non si possa, soprattutto in presenza di attori spregiudicati, ma questo pone una serie di problemi non da poco, sia sui luoghi (la prossima campagna elettorale di Banca Etica sarà su X?), sia sulla possibilità che questi luoghi esterni siano influenzabili da attori esterni, sia sulle tempistiche: perché sui luoghi interni puoi fissare dei limiti temporali al dibattito, sui luoghi esterni si possono svolgere campagne elettorali ininterrotte.

La seconda domanda, collegata alla precedente, è: quanto può resistere una organizzazione a movente ideale in una situazione del genere, nel quale non controlla gli spazi e i tempi del proprio dibattito interno? O meglio: quanto può resistere una organizzazione a movente ideale che non controlla gli spazi e i tempi del proprio dibattito interno a una comunicazione aggressiva e continuativa, che alza i toni e la contrapposizione?

Non è solo il problema che ho citato più sopra a proposito della sofferenza dei soci, che dai e dai possono sentirsi respinti e abbandonare. È anche il fatto che questa situazione non potrebbe non portare con sé polarizzazioni, arroccamenti, autoritarismi, meccanismi difensivi, propagande contrapposte: se un po’ di contendibilità ringiovanisce l’organizzazione, questi fenomeni sclerotizzano e, alla lunga, ammazzano. Lo dico anche a livello personale: il desiderio dell’autoritarismo per combattere l’autoritarismo è una tentazione sempre presente.

Terza domanda: non so se il fare affermazioni forti lasciando la pena della smentita all’avversario, delegittimare gli attori deputati a far rispettare le regole, gridare all’attacco ad personam e fare le vittime di fronte alle critiche sia uno stile comunicativo che vi ricorda qualcosa. A me sì. L’evento sentinella segnala solo che l’istituto è sotto attacco, come diceva Soldi ieri in una intervista, o è lo stile comunicativo rivelatosi vincente in diverse situazioni politiche che dobbiamo aspettarci imitato anche nei nostri mondi? Questa gente che viene eletta al governo degli stati con questo stile comunicativo – ognuno si scelga il suo caso – genera infiniti tentativi di imitazione come la Settimana Enigmistica anche a livelli molto diversi e anche nel mondo dei buoni? Oppure la similitudine è solo apparente, e dipende meramente dallo spirito dei tempi e dall’incattivimento generale? Entrambe le risposte, per le organizzazioni a movente ideale, non sono rassicuranti.

Quarta domanda: dicevo che Banca Etica è una organizzazione novecentesca. Non lo è solo nella generazione all’interno degli ideali di precisi movimenti storici, ma anche nell’adesione a certi tipi di modelli organizzativi per quanto riguarda la dimensione associativa: gruppi circoscrizionali, zone, rappresentanti, coordinamenti. È lo stesso modello organizzativo di infinite altre grandi organizzazioni, dagli scout al sindacato, dalle ACLI a infinite ONG. Sino a un paio di anni fa tutti abbiamo pensato che in qualche modo il modello andasse aggiornato, per renderlo più al passo coi tempi, per renderlo meno rigido, anche senza arrivare alla blockchain. Ma il punto è: è possibile che quel modello organizzativo sia più resiliente rispetto agli esiti peggiori delle tre domande che precedono? Se la risposta è sì (secondo me è sì) come si fa a integrarlo e infrastrutturarlo tenendo conto delle dimensioni comunicative e tecnologiche prevalenti? A quali costi? Dentro quali limiti di partecipazione?

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