Virgin no more
Vi ho stupito, vero?
Il fatto è che sono rimasto abbastanza colpito, recentemente, da un articolo su The Vision intitolato Il concerto del 1° maggio ha finalmente smesso di fare schifo.
Ora, ho visto a una prima occhiata che l’articolo giocava molto, sicuramente troppo, con gli straw man argument: per esempio è strumentale contrapporre i concertoni di un tempo, nei quali si sarebbero esibiti solo
polistrumentisti del basso Lazio che cantavano in Yiddish, arabo e friulano
oppure
gruppi con nomi tipo “Sardabanda” che cantavano di vino e tarantelle o da artisti che parlavano di “Chimica Ormonale” e “Sesso e Amarezza”
a quello di quest’anno, con gli artisti che finalmente piacciono ai ggggiovani e se voi non lo capite è perché siete vecchi, vecchi, vecchi, e borghesi e radical chic (una acuta analisi fintogramsciana ormai non si nega a nessuno):
Il concerto del Primo Maggio era diventato il simbolo stesso dello scollamento fra la sinistra e l’ossessione che la sinistra stessa ha di raggiungere il Valhalla in cui vive il “Paese Reale”.
Cioè, ho trovato un articolo dello stesso autore sul concertone del 2013, con le stesse argomentazioni, nel quale lamenta la presenza di Max Gazzè.
Chi c’era quest’anno? Anche Max Gazzè. E Carmen Consoli. E Gianna Nannini. E apriva il concerto l’alternative pop (qualunque cosa voglia dire) degli Indigo Face, che mi sembrano quanto più Concerto del Primo Maggio che ci possa essere (oh, io l’ultimo concertone che ho visto in TV ricordo che c’erano i Prozac+, e non ci ho trovato tanta differenza, ma naturalmente io non ne capisco niente).
Insomma, mi sembrava uno di quei regolamenti di conti a metà fra politica e musica, ben confezionato (l’ho già detto che una fine analisi fintogramsciana ormai non si nega a nessuno?) e ho lasciato perdere, salvo appuntarmi un attimo in un angolo del cervello di ascoltare qualcosa in più di trap e simili giusto per essere sicuro di avere capito di cosa si stesse parlando.
Solo che poi questa polemica sul concertone, sui gruppi da ascoltare, su quelli che hanno successo, sul perché, sul percome, su ma allora se criticate questi siete come i vostri nonni che criticavano i Beatles, e viceversa sul mancato rispetto della cultura hip hop, l’ho visto riprodursi in un sacco di posti e attraversare continuamente le mie bacheche social. Troppo per essere un caso.
E tutto girava attorno al trap, attorno ai rapper che si sono costruiti i loro pubblici su YouTube e sulle piattaforme di streaming, attorno a nuovi gruppi e gente di cui non avevo mai sentito parlare e dei quali sembra, invece, che non si possa non parlare.
Ora, la parte di me che segue le tracce di Laney fondamentalmente si è fatta l’idea che, in buona parte, è tutto un grosso ambaradan finalizzato a sdoganare musica molto spesso di quarta serie e a costruirgli attorno abbastanza rumore e credibilità da evitare che le voci di quelli che dicono lammerda possano emergere dal rumore di fondo. E un po’ sono regolamenti di conti, come detto, e un po’ sono insofferenza nei confronti della critica paludata, perché ovviamente c’è anche quello e c’è tutta una critica venduta ad altre case discografiche e altri generi che si merita di essere detronizzata. E poi c’è naturalmente il fatto che tutti i gusti sono gusti, anche la musica per bambini, perché francamente io sarei dell’opinione di un buon articolo su Rolling Stone:
Ciò statisticamente non prova nulla, ma conferma una analisi condivisa dalla critica, che vuole il pubblico della trap prevalentemente nei bambini, spesso incapaci di decodificare il senso dei testi dei trapper
e francamente porsi il problema della – ma anche riempire il palco del Primo Maggio con la – roba che ascoltano i tredicenni perché intuiscono che è l’equivalente più maturo di dire cacca pupù non mi pare particolarmente interessante.
Oh, il discorso vale per quelli fra i trapper che si perderanno: di solito la musica per ragazzini dura due anni e poi svanisce, ma qualcuno rimane sempre. Anche Jovanotti ai tempi dei paninari era davvero poco interessante e poi ha fatto una sua carriera rispettabile: anche di questi qualcuno reggerà (per non parlare del fatto che qualcuno di quelli qui sopra è già in attività da diversi anni e la sua carriera se l’è già fatta – anche se non sempre rispettabile).
Ma in realtà quello che volevo dire è una riflessione nata dopo essermi guardato il video di Young Signorino che sta in testa di questo articolo, e che certo ricorda molto il punk, ovviamente, costituendo un ponte tematico fra il trap e quella esperienza: non solo per il look – che altri cantanti trap non hanno – ma per l’energia, il gusto dello sberleffo, il muoversi in territori assolutamente non codificati, l’ignoranza totale della storia e dei canoni precedenti e anche la rozzezza, quando non l’incompetenza musicale.
È facile essere tentati di parlare del trap come del nuovo punk e salutarlo come una necessaria ventata di novità e di freschezza nel panorama asfittico della musica italiana, no? Solo che già il punk non era propriamente genuino, basti pensare al ruolo di uno come McLaren nella fondazione e costruzione del mito dei Sex Pistols; oggi sono passati quarant’anni e l’idea che dalle periferie peggiori della penisola arrivi gente che non sa niente di musica, niente di spettacolo, niente di comunicazione e che basandosi solo sulla propria energia, il proprio talento, la propria visione dell’universo e tutto quanto, la propria ignoranza affermi una visione nuova del mondo – o almeno della musica – è ridicola: la verginità si è estinta da un pezzo, attorno a noi, e tutto il movimento trap non è spontaneo, ma casomai molto molto costruito, come avrebbe detto Gibson:
Io sono molto raffinato. Perciò decisi di sembrare il più rozzo possibile
Ecco, magari io preferisco costruito a raffinato, perché mi pare evidente che sia un prodotto pensato per vendite di massa, ma non era questo che volevo dire: è che la verginità non abita più qui.
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