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I duplicanti

$(KGrHqJ,!rgE-dIYuygzBPqpuzEh7Q~~60_35Ho letto negli ultimi due giorni I duplicanti di Giovanni Berlinguer (Laterza, 1991), un agile libretto dedicato all’invasione della società civile da parte del ceto politico e alla sua degenerazione sotto tutti i punti di vista.

Se non avete notato più sopra la data di edizione, ve la segnalo nuovamente: il 1991, più di vent’anni fa. Il tema invece è attualissimo, ovviamente, e il contrasto/confronto fra i due periodi, quello di pubblicazione e quello di lettura, è quello che rende interessante il libro.

Prima di andare avanti sarà opportuno specificare che Giovanni Berlinguer è mio parente: un cugino di mia mamma, per l’esattezza, quindi la mia lettura del libro è ovviamente influenzata da una lunghissima conoscenza e il modo di argomentare dell’autore, in equilibrio fra arguzia e vasta cultura, mi è molto familiare nel senso proprio della parola. In questo senso le mie impressioni sul libro sono per forza di cose positive in partenza, e la cosa va riconosciuta lealmente anche per chiarire che il poco peso che attribuisco ad alcuni difetti, che comunque ci sono, non dipendono da questo legame.

Parentesi: devo a Giovanni Berlinguer, fra l’altro, l’aver potuto perseguire nella pace familiare il mio impegno nell’Azione Cattolica. Mio padre aveva frequentato l’oratorio dell’Annunziata in gioventù ed era credente e praticante, quindi non aveva problemi, ma mia madre associava automaticamente all’Azione Cattolica la lunga stagione del collateralismo con la DC. Finché si trattava dello “scendere” in parrocchia non ci furono problemi, ma quando entrai in Consiglio diocesano e iniziai ad assumere delle responsabilità la cosa divenne un po’ più complicata, anche perché comunque nel frattempo avevo definitivamente smesso di frequentare la sezione Lenin di via Leopardi.

Capitò così l’anno della maturità (nel 1983) che, durante una visita a Cagliari, a pranzo Giovanni chiese: «E tu Roberto cosa stai facendo? Di cosa ti interessi?», e mia madre disse: «Eh, sai, è sempre in mezzo a  queste cose di Azione Cattolica» – mia madre riusciva a pronunciare “Azione Cattolica” facendo sì che chi ascoltava sentisse: “Pio XII”, “non expedit” e cose del genere. Giovanni invece rispose: «Ma sai… non vuol dire… anzi oggi sono fra le parti della Chiesa più aperte e più vicine alle istanze democratiche…» o qualcosa del genere, mia madre disse: «Ah!» e non sollevò più la questione.

Per tornare al libro, I duplicanti si apre con una breve introduzione di taglio autobiografico che a un certo punto pone il problema:

oramai questo ceto, duplicante come le materie magmatiche dei film di fantascienza, occupa e ingombra ovunque spazi impropri, sottraendo sempre più responsabilità ai competenti e diritti ai cittadini

Subito dopo ci sono due delle pagine più interessanti del libro, che abbozzano – in forma di domande – una spiegazione di tipo storico e sociologico della degenerazione del sistema dei partiti, ma ben presto il taglio si sposta sull’attualità:

Ho ammesso. Domande senza mie risposte. Altri cercano di darle sul piano delle scienze politiche. Io ho preferito una via più consona alle mie esperienze: richiamare l’attenzione sui fatti, descrivere il paradosso di conquiste democratiche che assumono un significato opposto, indagare le ragioni e le regole non scritte del fenomeno, valutarne le conseguenze, segnalare infine alcune proposte. Questo è in sostanza l’indice del libro.

Devo dire che, fatta oggi, è una lettura sorprendente. Intanto perché i temi di oggi sono già tutti sul piatto, anzi per alcuni aspetti sono anche esposti molto meglio: non ho avuto il tempo di indagare i saggi e gli articoli citati come fonte, ma la mia impressione è che il dibattito dell’epoca, se avveniva sicuramente in ambiti più ristretti di quelli dell’oggi, era molto più competente, meno venato di demagogia e di moralismo e, complessivamente, più interessante.

Leggendo il libro si capisce meglio, anche, il sottofondo culturale e il retroterra politico di una serie di riforme caratteristiche della sinistra dei tardi anni ’90, leggi Bassanini, insistenza sulla riforma del procedimento amministrativo (curiosamente a un certo punto si cita la legge 142 del 1990, ma si pone maggior fiducia in una riforma dei concorsi pubblici), legge sulla privacy. Avevo sempre pensato che queste leggi fossero opera di azioni di gruppi ristretti illuminati, colgo meglio adesso un disegno complessivo di riforma istituzionale, purtroppo non andata in porto.

Allo stesso modo è sorprendente come non solo i temi, ma anche i pericoli siano già tutti elencati, solo che non sempre i protagonisti sono al posto giusto. Chi avrà scritto che vedeva

il montare nell’opinione pubblica di sentimenti di preoccupazione e di angoscia

e anche

il pericolo che qualche gruppo spregiudicato si impadronisca di un potere ormai stanco e corrotto, già in larga parte preda della criminalità organizzata.

Ma Gianfranco Miglio, ideologo della Lega: eppure sarà proprio l’appoggio determinante della Lega che permetterà l’ascesa al potere di Berlusconi e del suo spregiudicato gruppo, pochi anni dopo: è solo un esempio ma ce ne sono diversi altri, solo che adesso al volo non li ritrovo. Altri protagonisti della degenerazione del sistema dei partiti, e della Repubblica, invece, sono saldamente al loro posto: Andreotti su tutti, nel caso che qualcuno avesse dimenticato.

È chiaro che il libro è molto datato. Mani pulite sarebbe stato solo l’anno dopo, quindi il quadro politico dentro cui si svolgono i ragionamenti è completamente differente. In un certo senso siamo dentro una finestra di opportunità destinata a chiudersi ben presto: fra la riforma del PCI, che in questo momento è gia PDS, e il crollo della Prima Repubblica e l’ascesa di Berlusconi.

È questo che in un certo senso rende il libro distante da noi: perché non è urgente. Ha in abbondanza indignazione morale, finezza di ragionamento, informazioni interessanti, identifica con precisione i nodi: ma lo fa con il passo di chi ritiene di muoversi in un quadro istituzionale assodato, in cui può esserci, certamente, alternanza fra i partiti, caduta di assetti di governo, ma non un mutamento istituzionale radicale, e quindi ci si muove in un’ottica di riforme che possono permettersi di essere graduali. Infatti i rischi eversivi, sul genere di quelli prospettati da Miglio, sono complessivamente liquidati in nome della fiducia nell’opinione pubblica e nella qualità complessiva del popolo italiano. Una fiducia che, col senno di poi, forse non era del tutto ben riposta.

Se la storia in qualche modo ha dato torto a questa mancanza di urgenza, ne deriva una sottovalutazione dei problemi? Direi di no: l’analisi mi pare adeguata, e direi ancora interessante ed attuale. Piuttosto mi pare che ci sia una sottovalutazione degli avversari: per esempio c’è tutto un discorso sui funzionari di partito, che corrisponde, come si capisce in molti punti, con una lotta dietro le quinte che Giovanni conduceva dentro il PDS e che nel libro viene lasciata in sottofondo; per alcuni aspetti mi sono chiesto se quei giovani funzionari di partito contro cui è rivolta la polemica, che non hanno mai lavorato un giorno in vita loro e che sono del tutto lontani dai cittadini e dalla società, non siano esattamente il nucleo del gruppo dirigente del PDS/DS/PD che ha condotto il partito fino al disastro attuale; aspettarsi che fosse un partito imbottito di quei funzionari a guidare il rinnovamento nazionale forse era troppo: d’altra parte è una illusione che è stata condivisa da tanti. Mi ha colpito la lettera scritta a Giovanni da un amico dopo un suo intervento particolarmente polemico al Congresso di Rimini del PDS:

Per il tuo pezzo di stamane, ovazioni da Curva Sud. Ma temo che non una fievole eco di questa ovazione sorvoli la rete che recinge il campo di gioco. Sempre sull’Unità di stamane, poche pagine più in là, leggo i criteri con cui sarà formata la Direzione. Sulla quercia ha fatto il nido Cencelli. E figuriamoci quando si tratterà di comporre le liste, le designazioni per le municipalizzate, per la RAI e così via. Io che sono uno sportivo sedentario, non praticante, continuerò ad andare alla partita e tifare per l’unico partito socialista rimasto in campo, il PDS; ma non posso dimenticare come retrocesse (per dilaniamento) il vecchio partito socialista, quando ero giovane.

Parole profetiche, direi.

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