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Quel che ho detto alla festa dei quindici anni di Banca Etica a Sassari

Ieri con Gaetano e Claudio siamo andati in trasferta (piuttosto stancante, devo dire, si vede che non ho più l’età) a Sassari per festeggiare anche lì i quindici anni di Banca Etica, insieme ai soci della Sardegna Settentrionale in un incontro davvero molto partecipato all’Università.

Incontro Sassari quindici anniNell’occasione mi hanno chiesto un saluto da Referente dei soci dell’Italia centrale, cosa che ho fatto molto volentieri: ma siccome l’incontro aveva lo scopo di riflettere su cosa è stata Banca Etica in Sardegna in questi quindici anni, mi sono un po’ allargato a riflettere a voce alta su cosa ha voluto dire essere socio della Banca in questa regione per me (e credo anche per altri). Le cose che ho pensato e che ho detto le riporto, più o meno esatte, qui sotto (e poi prometto che dopo una serie di articoli tutti su Banca Etica, la settimana prossima parlo d’altro).

Popolarità e associazionismo…

Cinque su quindici 2Quando sono entrato in Banca Etica, più o meno nel ’96, venivo dall’Azione Cattolica. Venivo cioè da una grande associazione popolare, organizzata territorialmente, che permetteva a milioni di persone di vivere per suo tramite la partecipazione alla vita sociale, sperimentare la democrazia, condividere un’identità.

Entrando in Banca Etica non ho faticato a riconoscere nell’organizzazione territoriale dei soci lo stesso modello, che del resto era condiviso da altre grandi realtà associative che collaboravano a fondare la Banca, l’ARCI, le ACLI, gli scout, i partiti. Oggi, a quasi vent’anni di distanza, osservo che questo modello associativo si è spesso spento o indebolito: cioè che ci sono in giro in Italia molti meno gruppi parrocchiali, molte Case del Popolo sono diventate semplici bar, molte sezioni di partito sono state chiuse. L’organizzazione territoriale dei soci di Banca Etica, pur con tutte le sue fragilità, mantiene la sua vitalità. Non pretendo primati, so benissimo che non è l’unica, però osservo che insieme con altri continua a testimoniare l’utilità di un modello associativo di partecipazione, diffuso sui territori e basato su dinamiche democratiche. Nel momento in cui per esempio la politica sembra tendere verso altri modelli di partecipazione mi sembra un contributo importante che l’organizzazione territoriale dei soci di Banca Etica, aldilà della sua utilità per la vita interna della Banca, propone al dibattito culturale del paese.

Associazionismo e mutualità

Rufus a Cinque su quindiciSempre sul tema di che cosa abbia voluto per me essere socio mi sembra interessante riflettere sul tema della mutualità. Si tratta di un valore che la Banca tende a perseguire nella sua azione in termini di solidarietà, per esempio, fra risparmiatori e destinatari dei finanziamenti, ma io credo che sia interessante rifletterci da un altro punto di vista.

La mutualità è qualcosa che nella vita della Banca in questi quindici anni ho sperimentato anche in cose molto quotidiane: per esempio in questi anni per casa mia, a mangiare, a dormire, è passata mezza Banca, e io stesso, in altre parti d’Italia, ho mangiato o dormito in casa di un sacco di gente.

Ma c’è anche, in una grande organizzazione nazionale come Banca Etica, una mutualità fra territori. Prima di me è intervenuto Riccardo Dugini, responsabile di Banca Etica per l’Area Centro: la Banca in Sardegna non si farebbe senza il suo lavoro, di fiorentino che lavora a Roma, o senza il contributo e il supporto di Roberto Marino, un altro romano, e chi ha vissuto Banca Etica in Sardegna in questi anni sa quanto abbia contato il contributo del predecessore di Riccardo, Alessandro Celoni, o quello di Fabio Faina, il mio predecessore, che partendo da Perugia è stata la persona che più di tutti ha contribuito a dare a Banca Etica la forma che oggi ha in Sardegna.

Mi faceva piacere citare e ringraziare, nella festa dei quindici anni, Alessandro e Fabio, ma non è stato solo un trucco retorico per i ringraziamenti: penso davvero che la Banca, come grande organizzazione nazionale, contribuisca a far sperimentare una mutualità fra territori, la possibilità di contribuire a una identità nazionale e una capacità di proiettare lo sguardo oltre i confini, tutti cose che trovo molto assenti dal panorama del dibattito cuilturale in Sardegna, in questo momento.

«Sono qui per reclutarvi…»

Sono arrivato a Sassari un po’ in ritardo, dopo l’inizio del convegno, e sono entrato nella sala già affollata. Mi ha colpito la presenza di tanti che erano palesemente studenti: mi sono chiesto i motivi dell’interesse, se fossero venuti al traino di qualche docente (ce n’erano diversi fra gli organizzatori e il pubblico), se fossero capitati per caso, o perché in fase di preparazione di una tesi, di un esame…

Più in generale, ho pensato che dopo quindici anni una nuova ondata di giovani farebbe bene alla Banca, considerato che chi l’ha fondata adesso ha vent’anni di più, e quindi quell’età l’ha per forza lasciata da un pezzo.

A me sulla soglia dei trent’anni entrare in Banca Etica ha cambiato la vita. Tutt’ora ritengo che ci siano poche battaglie culturali e politiche così importanti come fare Banca Etica: non è una cattiva cosa di cui innamorarsi, conoscendola per caso a un convegno all’Università. E quindi in conclusione ho fatto un po’ di mozione agli affetti, invitando gli studenti presenti a farsi avanti. Ho citato Harvey Milk, l’attivista dei diritti degli omosessuali in California (quello del film con Sean Penn), che iniziava tutti i suoi comizi con la frase: «Sono venuto a reclutarvi».

Vedete lo zio Rufus: solo lui può iniziare un intervento con l’Azione Cattolica e chiuderlo con Harvey Milk!

(le foto a corredo di questo articolo sono state scattate da diversi partecipanti)

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