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Non ho più tempo

Io sono nato nel 1964. Ricordo benissimo che quando avevo dieci anni, ero in quinta elementare e non capivo niente, un pomeriggio entrai in cucina. Mia mamma stava dando da mangiare a uno dei passerotti caduti dal nido che avevamo salvato. Aveva una faccia agghiacciata e mi disse: «Sai che a Brescia oggi hanno messo una bomba dove gli operai stavano facendo una manifestazione e sono morte tante persone?». Era il giorno della strage di piazza della Loggia.

Avevo tredici anni e stavo in terza media il giorno di marzo che ci fecero uscire tutti da scuola a metà mattina e ci mandarono a casa. Avevano rapito Moro e ucciso gli uomini della scorta. Mio nonno comprava Il Giorno e io ci leggevo Modesty Blaise. Per mesi trascurai i fumetti e lessi tutto quel che riguardava il sequestro, su quello e sugli altri giornali che passavano in famiglia. Non capivo ancora granché, ma leggevo, leggevo, leggevo: questo è quasi tutto quel che ricordo di quel tempo. Leggevo quotidiani che parlavano di morti ammazzati.

Mi ricordo invece benissimo tutto quel che dissi e feci il giorno della strage di Bologna. Avevo compiuto sedici anni da poco e ormai capivo benissimo. E a Ustica da poco era caduto un aereo.

Potrei facilmente raccontare la storia del mio paese durante i miei primi sedici anni di vita come la storia di un paese stretto fra bombe, ammazzamenti per strada, violenza politica e trame di Stato. Ma tutta la gente che avevo attorno era convinta che le cose sarebbero migliorate, che andando avanti il paese sarebbe diventato più democratico, più giusto, più libero.

Intanto erano cominciati gli anni ’80. Li facemmo come in una bolla di gomma: «Non moriremo democristiani», aveva un bel dire Luigi Pintor, ma l’agonia del sistema democristiano e dei partiti della prima Repubblica appariva intollerabile, e su noi cattolici pesava anche il dogma dell’unità politica richiesta da Giovanni Paolo II. E se c’era meno violenza politica c’erano ancora stragi, questa volta di mafia, e ancora e sempre trame di Stato. Ci sono stati momenti in cui nessuno più vicino a me pensava che ci fosse la possibilità che l’Italia diventasse un paese più giusto, più democratico, più libero.

Poi venne il crollo del Muro e dell’Unione Sovietica, la fine della Guerra Fredda, e qui da noi il referendum sulla preferenza unica e Mani Pulite: finiva finalmente il sistema dei partiti. Finiva in mezzo ai contorcimenti delle stragi di mafia del ’92-’93, ma almeno finiva. Di colpo attorno a me la gente era di nuovo convinta che si poteva avere un’Italia dopotutto più libera, più democratica, più giusta. La mia generazione se l’era meritato: perché i primi sedici anni non erano andati bene, e compivo trent’anni pensando che i successivi erano stati pure peggio.

E poi c’è stato un ventennio, sostanzialmente, di Berlusconi. Si è sparato forse meno in patria, ma il mio paese ha fatto tre guerre (Kossovo, Afghanistan e Iraq). L’esperienza berlusconiana poteva dirsi fallita già a inizio degli anni 2000, ma ci sono voluti altri dieci anni di agonia e convulsioni prima di giungere a poter mettere un punto a capo. E in questi vent’anni l’Italia certamente non è diventata più democratica, libera e giusta, casomai tutto il contrario.

Scacchi2L’anno prossimo compio cinquant’anni e improvvisamente mi rendo conto che non ho più tempo. Il ciclo che comincia ora durerà altri vent’anni: e se sarà sbagliato alla prossima occasione ne avrò settanta e presumibilmente a quell’età starò pensando ad altro e sarò meno interessato a verificare se finalmente l’Italia potrà diventare un paese come si deve.

No, il momento è questo. Egoisticamente, non mi posso permettere di sprecare altri vent’anni. È per questo che reagisco con rabbia verso le proposte politiche inadeguate che affollano il panorama: perché non basta non essere complici dello sfascio precedente, avere la fedina penale pulita, essere diversi, evocare alternative. A me (e all’Italia, permettemi) serve gente che oltre a questo sia capace di cambiare il paese, e non cialtroni, demagoghi, populisti, improvvisatori, arruffapopoli, venditori di sogni, criptofascisti (in Sardegna aggiungerei i nazionalisti) o semplicemente benintenzionati.

Insomma: ci sarebbe da rendere più giusto, più democratico e più libero un paese. Però astenersi perditempo: per me è l’ultima occasione.

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4 pensieri riguardo “Non ho più tempo

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  • Il problema è: dove si trova qualcuno che non sia al meno peggio benintenzionato? Cioè, benintenzionato e capace? E che, beninteso, sia in grado di sopravvivere nel panorama politico italiano, arrivare a livelli in cui conti senza che tutti gli altri ti seghino prima?

    Io di anni non ne no molti di più, prima di Piazza della Loggia mi sono visto qualche altra strage, ma niente di sostanzialmente diverso. E ho visto progressivamente diminuire la possibilità di contare. Ora ogni votazione mi propone un elenco di persone decise da altri, in cui non posso neppure esprimere una preferenza. L’impressione è che, almeno qui in Italia, nessuno dei candidati sia all’altezza dei compiti per cui si propongano, che nessuna abbia una vaga idea delle cause dei problemi che viviamo, o di possibili soluzioni. Molti ne hanno di facili, ovvie, popolari e chiaramente sbagliate. Il problema è che non ne ho neppure io.

    Non so cosa dovrei fare. Ho fatto le cose che abbiamo fatto insieme, sperando che almeno a qualcosa servano. Dubito che tra 20 anni guardandomi indietro vedrò un miglioramento. Finora non mi è mai capitato.

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